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"History of Sound" non emoziona nonostante Paul Mescal e Josh O’Connor Almeno abbiamo scoperto che i due sanno cantare

Avere Paul Mescal e Josh O’Connor e non riuscire a fare un buon film è un’impresa impossibile, eppure Oliver Hermanus ce l’ha fatta. Presentato in anteprima nella sezione del concorso del festival di Cannes, History of Sound è la storia di due amanti e studiosi di musica che, per una breve parentesi della loro vita, intraprendono un viaggio nel cuore dell’America rurale per registrare e classificare una serie di canzoni folk con cui tracciare una mappa del genere musicale. Nel frattempo, i due vivono la loro relazione d’amore tra una canzone e l’altra, prima di separarsi con il sottofondo degli orrori della Prima Guerra Mondiale che perseguiteranno il personaggio di David White, interpretato da O’Connor. In realtà, History of Sound non fa né l’una né l’altra cosa. È vero, vediamo il doppio racconto scorrere spento davanti i nostri occhi sul grande schermo, ma senza avere la capacità di approfondire nessuno dei due perni principali del progetto. Hermanus li lascia così naufragare realizzando una pellicola che resta vertiginosamente in superficie, non sfruttando alcuno degli elementi a disposizione. Problema di una sceneggiatura su cui ha voluto lavorare Ben Shattuck, autore del libro omonimo da cui trae il film, forse dimenticando che, a differenza di un romanzo in cui si può andare a fondo con pagine su pagine, parole su parole, il cinema è un mezzo in cui è necessario condensare con brevità e immagini i mondi – esterni e interiori – dei personaggi.

History of Sound priva lo spettatore di scoprire di più sulla connessione tra David e il personaggio interpretato da Paul Mescal, l’effettivo protagonista Lionel. Per non parlare della totale assenza di approfondimento sullo studio dei brani folk, che diventa una nota a margine di un film che preferisce la vacuità e i silenzi, la dilatazione al ritmo, non delineando una geografia musicale che rende il lavoro dei due protagonisti (e lo sfondo stesso del film) del tutto irrilevante - cosa che invece fa, pur in un unico tempo e luogo, il Sinners di Ryan Coogler col blues e la musica black. Se, dunque, le premesse di History of Sound si basano sul rapporto tra i protagonisti e sul loro legame con la musica, è impressionante notare come la pellicola svanisca gradualmente di fronte allo sguardo dello spettatore, che si ritrova ad osservare un’innocua opera in costume, pallida come la fotografia di Alexander Dynan, l’ambientazione tra l’Europa e gli Stati Uniti e la relazione (troppo) sussurrata tra i personaggi. Di cui si percepisce la volontà di non renderla urlata, di mantenerla equilibrata ed elegante come i suoi due protagonisti, ma che finisce per risultare inconsistente. Il film esclude l'intimità non solo dei corpi, ma dei sentimenti stessi, entrambi vaganti all’interno della pellicola.

Il dato più rilevante di History of Sound resta perciò l’aver scoperto le voci di Paul Mescal e Josh O’Connor che, pur impegnandosi in performance di cui sono da ammirare alcuni dettagli - dai sorrisi timidi e innamorati dell’attore irlandese alle mani e la postura tesi del collega britannico - restano bloccati nella cornice antica del titolo di Hermanus. Pulito e sciolto il cantare di Mescal, in contrasto con la profondità e i tratti leggermente graffiati di O’Connor. Speriamo che almeno History of Sound possa fare da vetrina per vederli riproposti nuovamente in progetti che ne esaltino tale inaspettata dote. E che, soprattutto, abbiamo un’altra occasione per poter collaborare insieme.