A Guide to All Creative Directors

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Tutti gli artisti musicali con cui ha lavorato Guadagnino

E l’importanza della musica nel cinema del regista, da Io sono l’amore a Queer

Tutti gli artisti musicali con cui ha lavorato Guadagnino  E l’importanza della musica nel cinema del regista, da Io sono l’amore a Queer

È da ieri nelle sale italiane Queer, l’ultimo film di Luca Guadagnino tratto dall’omonimo romanzo di William S. Burroughs pubblicato per la prima volta nel 1985. Interpretato da Daniel Craig, nei panni dell’alter ego dello scrittore americano, si tratta di un’opera in cui la musica assume un ruolo chiave, come se fosse un vero e proprio personaggio della storia a sé stante. Non è una novità, per chi è avvezzo alla filmografia del regista. Come ha scritto Carlo Valeri sulle pagine dell’ultimo numero di Linus, interamente dedicate al cineasta italiano, «in tutta la filmografia di Guadagnino ogni brano musicale sembra assolvere a una funzione contemporaneamente percettiva, intima e teorica, che non è mai solo decorativa o banalmente didascalica». Alla mostra di Venezia, lo stesso regista una volta aveva dichiarato che: «L’uso della musica in maniera passiva è un peccato capitale per ogni cineasta» aggiungendo «Il giorno in cui farò un lavoro in cui la musica è utilizzata solamente come un tappeto sonoro vado in Svizzera e mi lascio morire».

La prima Epifania cine-musicale Guadagnino la ebbe nel 1987, folgorato sulla via de L’ultimo Imperatore di Bertolucci, la cui colonna sonora era stata composta da un trio d’eccezione costituito da David Byrne (Talking Heads), Cong Su e Ryuichi Sakamoto. La seconda Epifania, decisamente più recente, invece, risale al 2005 ed è quella che lo introduce alla musica di John Adams, da allora mai più abbandonata: il grande compositore americano, vincitore del Pulitzer nel 2003, è stato impiegato in maniera massiccia da Guadagnino fin dal suo film d’esordio Io sono l’amore. Galeotta, a quanto pare, fu una copia di Naïve and Sentimental Music, regalatagli da un dirigente della Sony con cui stava collaborando. Nel tentativo di spiegarne la sua fascinazione, il regista aveva dichiarato in una lunga intervista rilasciata a Pitchfork che la musica di Adams «Ha la capacità di interpretare la realtà, interpretare la storia della realtà, interpretare la storia degli Stati Uniti e di comprendere anche i confini della musica per diventare un'esplorazione astuta dell'identità della natura umana e del rapporto politico che ci lega tutti».

@srsnflms Film: Call me by your name #callmebyyourname #callmebyyournameedit #cmbyn #cmbynedit #timotheechalamet #timotheechalamet #armiehammer #armieandtimothee #movie #movieclips #movierecommendation #film #filmclips #1980 #1980s #1980svibes #1980saesthetic #edit #mysteryoflove #italy #boyslove #fyp #foryoupage Mystery of Love - Sufjan Stevens

Non si tratta però dell’unico compositore di cui Guadagnino si è innamorato. Nel corso della sua carriera per la scrittura di musica originale si è affidato a diversi musicisti raffinati, tendenzialmente di matrice (indie)rock, ma comunque dotati di una visione in grado di andare oltre i ristretti confini di genere, come Sufjan Stevens – candidato all’oscar per la colonna sonora di Chiamami col tuo nome (2017) - e Thom Yorke dei Radiohead  - autore di quella di Suspiria (2018). Discorso a parte meriterebbe il compositore di estrazione classica Dev Hynes, meglio noto col nome d’arte di Blood Orange, progetto in cui fonde trame R&B e sintetizzatori vaporosi anni ’80: inizialmente era stato contattato da Guadagnino solo per apparire in una scena che riproduceva un suo concerto al Locomotiv di Bologna, ma in seguito ha finito per comporre l’intera colonna sonora della serie tv di Guadagnino, We Are Who We Are, riuscendo a unire due mondi apparentemente distanti, quello classico di Schubert e Philip Glass da una parte e quello dell’R&B d’avanguardia dall’altro.

Successivamente Guadagnino ha instaurato un vero e proprio sodalizio con altri due musicisti prestati al mondo del cinema, Trent Reznor e Atticus Ross - rispettivamente leader e producer dei Nine Inch Nails – divenuti col tempo due pilastri del settore, vincitori di due premi Oscar per le colonne sonore di The Social Network (2010) e Soul (2021). Con loro Guadagnino ha realizzato le composizioni originali dei suoi ultimi lavori - Bones and All (2022), Challengers (2024) e ora anche Queer (2025). La loro collaborazione è diventata così stretta e intima da essere arrivati a scrivere anche una canzone originale insieme: Compress/Ripress per la colonna sonora di Challengers. Questa sinergia ha portato in tutte e tre le collaborazioni  a qualcosa di stupefacente. In Bones And All sono bastati due elementi fondamentali: da una parte, le tracce di synth, viscerali e inquietanti, atte a calare lo spettatore nelle atmosfere horror del film; dall’altra, lo sviluppo di un tema principale suonato alla chitarra acustica, che si arricchisce di volta in volta, andando di pari passo con lo sviluppo dei personaggi e della loro relazione più intima: I'm With You (A Way Out), I'm With You (You Seem Nice), I'm With You e infine I’m With You (Always). 

@sonysoundtracks the GRAMMY-nominated music of #ChallengersMovie Trent Reznor & Atticus Ross’ acclaimed original score was nominated in the Best Score Soundtrack (Film/TV) Category at the 67th Grammy Awards! Which track is your favorite? : The Film Zone on IG #challengers #grammys #zendaya #tashiduncan #patrickzweig #artdonaldson #trentreznor #soundtrack #filmscore original sound - Sony Soundtracks

In Challengers, invece, l’idea centrale era quella di trasformare il campo da tennis, su cui si svolge buona parte della pellicola, in una specie di dancefloor metaforico su cui far “ballare” i tre protagonisti, perché come spiegava David Foster Wallace in Infinite Jest il tennis è una specie di danza. L'intuizione vincente di Guadagnino è stata quella di pompare al massimo questo concetto attraverso l’utilizzo di musica techno sparata ad alto volume come un rave party che ricordasse in qualche modo il battito del cuore accelerato dei giocatori durante la partita e il frenetico rimpallo della pallina da tennis colpita dalle racchette. Trattandosi poi di un ménage à trois, l’altro input fondamentale era quello di far risultare il tutto profondamente sexy come una danza erotica. A questo proposito, Reznor ha ricordato in un’intervista a GQ come Guadagnino si fosse raccomandato tanto che tutta la musica girasse attorno a tre parole chiave: «Unending homoerotic desire».

Una triade che sembra guidare anche il lavoro sonoro costruito attorno all’ultimo Queer, film che narra l’avventura amorosa e psicotropa di uomo dissoluto alla ricerca disperata di un amante per la notte e di una droga magica per la vita. Il risultato musicale finale ottenuto da Reznor e Ross, però, qui è decisamente più cupo rispetto alla musica di Challangers o di qualsiasi altro loro lavoro cinematografico precedente: tutto suona più onirico, quasi spettrale, una sorta di musica ambient leggermente jazzata e volutamente troppo sentimentale, come lo è la voce narrante del protagonista. Nella maggior parte delle tracce c’è un’atmosfera ovattata, come se il tutto fosse avvolto dentro un velo fantasmatico di tristezza inconsolabile. Del resto, i titoli dei brani parlano da soli: The Saddest Man in the World, Love Would Shatter, Thinking is not enough, Place of Failure ecc.: sono tutte citazioni dall'ultima pagina di diario di Burroughs, scritta due giorni prima della sua morte nel 1997 - canzoni che nascono da una manciata di frasi melodiche romantiche e nostalgiche. Ciò è evidente soprattutto nel singolo di punta Vaster Than The Empires che raccoglie due citazioni del diario particolarmente struggenti affidate al canto dolente di Caetano Veloso. La prima è quella di un amico dello scrittore che lo definiva l’uomo più triste del mondo: «Come può un uomo che vede e sente essere altro che triste?» scrive Burroughs. La seconda, appuntata a fianco, è tratta dalla poesia del XVII secolo To His Coy Mistress di Andrew Marvell: «Il nostro amore crescerà più vasto degli imperi e più lento». Si tratta dello stesso andamento e della stessa dimensione di vastità amorosa quasi insopportabile che suscita l’intera colonna sonora, il cui ultimo brano LOVE era anche l’ultima parola con cui si concludeva il diario di Burroughs: «il più naturale antidolorifico che esista». Come la musica.