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Il guardaroba di Elvis secondo Baz Luhrmann e Miuccia Prada

L'evoluzione stilistica di un'icona raccontata nel film da oggi nelle sale

Il guardaroba di Elvis secondo Baz Luhrmann e Miuccia Prada L'evoluzione stilistica di un'icona raccontata nel film da oggi nelle sale

In America agli inizi degli anni '50, dopo il boom economico, nacque una nuova generazione di teenager che si ispirava ad una filosofia di vita ribelle, si nutriva di rhythm and blues e rock and roll e si affermava come la protagonista assoluta della nascente società dei consumi. L’avvento della musica pop determinò l'affermarsi di nuove mode, costumi e abitudini che investirono l’universo giovanile sia sul piano sociale che estetico. Per il sociologo Georg Simmel questa commistione tra musica e moda fece si che «l’imitazione di un modello dato appagasse il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi». Ed è proprio su questo aspetto così autentico che Baz Luhrmann si è concentrato per raccontare la spirale artistica di Elvis, prima icona musicale che ha saputo mostrare e raccontare le sue diverse realtà sonore attraverso l’evoluzione del proprio stile estetico. Il mito di Elvis, colui che doveva essere il prescelto all' american boy.

Cresciuto in una baracca a Tupelo, prima di trasferirsi con sua madre in una delle poche case assegnate ai bianchi nella comunità afroamericana, dopo l’incarcerazione del padre, i suoi riferimenti musicali ed estetici furono fin dal principio il gospel di Mahalia Jackson e il blues di Arthur Cudrup. Influenze incontrate attraverso i viaggi con Sam Bell, un amico d’infanzia, nei juke joint e alle funzioni nelle tende pentecostali. Secondo la giornalista Jess Cartner-Morley del Guardian il film di Luhrmann tende a esplorare come la formazione di Elvis in un quartiere in gran parte afroamericano abbia plasmato la sua musica e il suo stile. «Dobbiamo contestualizzare la storia, per dimostrare che Elvis proveniva da un mondo nero. Elvis era al centro della cultura, per il bene, il male e il brutto. E non si può parlare dell’America in quel periodo senza parlare di razza», ha ricordato lo stesso Luhrmann. Per questo, fin dalle sue prime esibizioni Elvis gettò le basi per la creazione di un audace senso estetico sfoggiando abiti (camicie di pizzo, scarpe su misura) creati appositamente da Lansky Bros, celebre negozio di Beale Street a Memphis, dove prima di lui avevano creato il proprio stile Count Basy, Duke Ellington e B.B. King, da cui Elvis si sentiva fortemente ispirato. Per la costumista premio Oscar Catherine Martin, i suoi costumi realizzati in collaborazione con Miuccia Prada sono parte integrante della parabola di Elvis: «Baz voleva attingere ai momenti cruciali dello stile di Elvis. Ad esempio, gli abiti rosa e blu polvere indossati con camicie di pizzo nero nelle prime scene evocano l’innocenza all’esterno e la sessualità all’interno».

I titoli dei giornali dopo le sue prime esibizioni in televisione agli studi della CBS e al Milton Berle Show - Elvis the Pelvis belongs in the Jungle e The White Boy with Black Hips, testimoniavano il pregiudizio e l'ostilità con cui le radici afroamericane dei suoi successi furono accolte dall'establishment statunitense. La stampa sosteneva che le sue performance, cariche di comportamenti “osceni” avessero riportato l’umanità all’età della pietra. È proprio in questa fase che avvenne il primo cambiamento estetico: il colonnello Parker, suo storico manager, gli impose di mostrare un “nuovo” Elvis che rispondesse ai dogmi imposti della società americana presentandosi allo Steve Allen Show con smoking e mantello in modo da sedare il suo stile. Ma questo scatenò le ire dei suoi fan che non riconoscevano più come colui che li aveva guidati attraverso una nuova rivoluzione sociale. I ritmi della sua storia sembravano scanditi dall'evoluzione del suo vestiario: lo stile rockabilly dell'adolescente Elvis viene sostituito dal verde squadrato per il suo incarico militare e successivamente da eccentrici completi gialli e arancioni da divo del cinema hollywoodiano. Ma la sua voce non si era ancora spenta.

Scosso dagli omicidi di Martin Luther King e dei fratelli Kennedy, Elvis non volle più rappresentare il "pupazzo" di Hollywood ma dimostrare quanto ancora fosse rilevante a livello sociale la sua figura iconica. Fino a quel momento, un decennio dopo il suo periodo di massimo splendore, era stato in gran parte dimenticato dopo una serie di ruoli cinematografici poco brillanti. Quando il colonnello Parker, si incontrò con la NBC nel maggio 1968, chiese loro di produrre uno speciale su Presley dedicato alle canzoni natalizie. Era un'idea nuova, dal momento che la maggior parte degli speciali televisivi presentava più artisti e questo si sarebbe concentrato esclusivamente su Presley, ma il regista Steve Binder e il suo produttore Bones Howe presero il controllo creativo dello show convincendo Presley dell’opportunità di rilanciarsi come performer.

Binder e Howe decisero che lo speciale avrebbe dovuto raccontare la storia della vita di Presley attraverso l’evoluzione della sua musica. L’elemento che colpì maggiormente di 68 Comeback Special, oltre a rappresentare la più grande esibizione di tutti tempi di Elvis, fu la perfetta distribuzione degli abiti di scena curati dal costumista Bill Belew. Come analizzato nel libro della giornalista Zoey Goto, Elvis Style, l’impostazione artistica di Belew diede vita a tre outfit che riassumevano perfettamente l’epopea di Elvis concentrandosi particolarmente sulle sue origini. Partendo dal completo evangelico bordeaux a quello bianco etereo per If I Can Dream, mentre rimase iconica la sua tuta di jeans rifinita completamente di pelle nera. «L'outfit era un cenno all'immagine ribelle di Elvis degli anni '50, ma questa volta era evidente una presenza più sporca e aggressiva. La pelle nera era stata a lungo fortemente associata alle bande motociclistiche, come illustrato da Marlon Brando nel 1953 in The Wild One». Questo vestito racchiudeva l’essenza della performance di Elvis, la pressione esterna da cui l'artista voleva liberarsi, dichiarando il suo ritorno sulla scena attraverso un vestiario che gli desse potere.

Nel luglio 1969 diede il via al terzo atto della sua carriera, risiedendo per sette anni all'International Hotel di Las Vegas. Gli anni successivi avrebbero visto l'uscita di pezzi iconici come uspicious Minds e The Wonder of You, ma nonostante il successo la sua vita personale ebbe la meglio su Elvis, spingendolo sempre nella prigione dorata di Las Vegas. Che Elvis fosse consapevole della sua immagine era certo, quello di cui era meno consapevole era l'impatto che avrebbe avuto sull'abbigliamento in generale. «Elvis era fluido prima che fosse concepito lo stile gender fluid», ha detto Buz Lhurmann al New York Times. «Era sempre incredibilmente mascolino, ma stava sperimentando il trucco e il colore dei capelli già al liceo e gli piaceva mescolare top corti di pizzo legati in vita e giacche bolero rosa con pantaloni a pieghe e calzini rosa»«L'esuberanza degli abiti da palcoscenico di Elvis ha permesso agli uomini di indossare abiti più oltraggiosi di quelli che avevano indossato dal diciannovesimo secolo», afferma il sarto britannico Edward Sexton, anticipando di gran lunga le sgargianti tute di David Bowie o Prince. Quarantacinque anni dopo, stiamo ancora godendo delle libertà sartoriali che ha inaugurato Elvis aprendo la strada ai futuri artisti nell’esprimersi attraverso lo stile e ha autorizzando tutti noi ad essere più audaci.