
Cosa succederà alla moda con lo shutdown del governo americano? Risposta breve: nulla di buono
Nella stringa sempre più lunga di notizie che stanno facendo venire il mal di testa al mondo, non poteva sicuramente mancare lo shutdown del governo federale USA, innescato da un'impasse nelle discussioni del Senato che non ha approvato la legge di bilancio. Per farla breve, il sistema di amministrazione federale del paese più potente dell’Occidente è paralizzato, con servizi essenziali in sospeso, un enorme numero di impiegati fermi in una sorta di limbo lavorativo se non tecnicamente disoccupati e effetti a catena economici più ampi che non promettono niente di buono. C’è solo un problema questa volta: le metaforiche luci si sono spente proprio nel mezzo del caos tariffario creato dal governo Trump. Il che crea non pochi problemi alla moda europea.
Cosa è successo nel governo USA?
@10newsau The US government has run out of money and that means it has now shutdown - leaving hundreds of thousands of workers without pay and bringing crucial services to a halt. 10’s Late News explains. #trump #congress original sound - 10 News
Tra i mille problemi che stanno affliggendo il sistema statunitense, quello che ha causato lo shutdown è il fallimento delle negoziazioni per rafforzare i sussidi medici sotto l'Affordable Care Act, che i Democratici vogliono e i Repubblicani non vogliono. Senza legge di bilancio, in sostanza, le casse del governo federale USA (distinto dai governi dei singoli stati) si sono “prosciugate” alla mezzanotte del 1° ottobre, le operazioni non essenziali si sono fermate, rendendo oltre 2 milioni di dipendenti praticamente disoccupati e ovviamente ogni parte sta incolpando l’altra.
L’evento non è epocale in se stesso: questo è il terzo shutdown sotto l'attuale amministrazione. Secondo WWD, un'interruzione breve potrebbe far calare del 0,2% la crescita trimestrale del PIL, mentre una lunga potrebbe fare più danni. Ma per le imprese dipendenti da approvazioni federali, e dunque tutti i discorsi sulle dogane e sulle esportazioni/importazioni, la paralisi significa spesso interruzioni immediate.
Cosa significa lo shutdown per la moda europea?
Le tariffe introdotte da Trump in luglio ed entrate in vigore ad agosto dopo un breve rinvio, rappresentano la minaccia più immediata per la moda europea. Per i beni di moda originari dell'Unione Europea, che tradizionalmente godevano di aliquote basse del 5-10% ora si applica un dazio fisso del 15%. Una tassazione che colpisce principalmente abbigliamento, calzature e accessori, settori in cui l'Italia, la Francia e la Spagna dominano le esportazioni verso gli USA che, come spiega Grassi Advisors, hanno valore annuo di circa 15 miliardi di euro solo per l'Italia). Molti brand italiani stanno assorbendo questi costi aggiuntivi per mantenere i prezzi competitivi anche in USA, un mercato che grosso modo rappresenta un 20% o 25% delle vendite mondiali (per il Gruppo Prada, secondo Statista, si parla del 32%) anche se i retailer locali stanno spingendo per accordi di condivisione dei costi o rinegoziazioni dei contratti.
Secondo J.P. Morgan un dazio del 15% potrebbe ridurre le esportazioni UE di moda verso gli USA del 5-8% entro il 2026, con effetti a catena su fornitori tessili in Lombardia e Toscana. LVMH e Kering potrebbero vedere un calo delle vendite disastroso, e reso ancora più grave da minacce di tariffe fino al 30% su beni industriali UE se le negoziazioni fallissero e adesso lo shutdown complica ulteriormente la situazione. Tutte le discussioni congressuali sulle tariffe, basate sull'International Emergency Economic Powers Act, sono ora sospese. Senza un Congresso operativo, non ci sono speranze immediate di esenzioni o riduzioni, e dunque l'incertezza per i brand europei che pianificano le collezioni SS26 attualmente in mostra in fashion week proseguirà ulteriormente.
Uno strano lato positivo
The government shutdown gala
— Go Kick Rocks ( ಠ ͜ʖಠ) (@KickRocks2025) September 30, 2025
is happening, what are you wearing?? pic.twitter.com/3KkOFsrbS6
C’è poco da festeggiare, ma questo shutdown ha congelato due importanti accordi commerciali che gli USA avevano con diversi paesi africani e con Haiti. Al momento, 32 paesi subsahariani non hanno più accesso duty-free al mercato USA per 1.800 categorie di prodotti, inclusi abbigliamento e tessili. Un blocco che secondo Reuters ridurrà le esportazioni africane verso gli USA dell'8,7% entro il 2029 con cali fino al 25% nel solo apparel. Il che crea un vuoto nel sourcing globale per i brand americani abituati a rifornirsi in paesi come il Kenya e il Lesotho, hub per la produzione low-cost, che ora affrontano dazi del 20-30%, spingendo mega-brand come Gap e Levi's a cercare alternative. Alternative che potrebbero essere europee.
Potenzialmente infatti l'UE, con i suoi hub di produzione low-cost in Portogallo, Romania e Bulgaria, potrebbe ritrovarsi tra le mani una quota maggiore di ordini di produzione media-alta. Un recente studio pubblicato sempre su Reuters indica che il 30% delle aziende USA sta già riducendo il sourcing africano e cercando alternative in Europa. Certo, se i paesi asiatici come Vietnam e Bangladesh che già assorbono il 40% del sourcing globale americano dovessero risultare più competitiv,, l'Europa potrebbe perdere terreno e impoverirsi. Non aiuta che il framework legale entro il quale si dovrebbero svolgere queste nuove partnership sia più fragile che mai, con le attività del Congresso in sospeso.
I macro-effetti sui consumi
@rachelcruze 32% of Americans spend 60% or more of their income on food.
original sound - Rachel Cruze
Oltre alle tariffe e al sourcing, lo shutdown può influire sull'economia USA in generale, innescando una reazione a catena di licenziamenti, contrazioni economiche, malfunzionamento del welfare e crisi dei consumi a lungo termine. CNBC ha scritto di recente che una chiusura prolungate (la media è di 8 giorni, ma l'ultima sotto Trump durò 34) potrebbero danneggiare le industrie europee, inclusa la moda, attraverso un calo della domanda e una volatilità dei mercati. Già in aprile, Reuters notava che il subbuglio dei mercati globali sta già danneggiando i gruppi del lusso, con un possibile calo del 10% nelle vendite estive.
Se l’ipotesi è corretta, lo vedremo nei report del terzo trimestre dell’anno. Nel frattempo a Bruxelles si cercano nuove alleanze per gestire le tariffe USA, la concorrenza cinese e nuovi accordi con l’Africa ora che i patti commerciali con l’America sono scaduti. Ma una cosa è certa: senza una risoluzione rapida dello shutdown, i brand europei rischiano di vedere i loro importanti piani di espansione negli USA del tutto congelati.













































