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L'incredibile innocenza della stampa Vichy La storia del motivo nato in Francia

Che richiami alla mente il coperchio della tua confettura preferita Bonne Maman, l’estetica di Brigitte Bardot, il grembiule della nonna o una tovaglia da picnic dal sapore estivo, la vista del motivo vichy porta sempre con sé un buon presagio. Dal classico rosso al rosa tenue, all’azzurro cielo e al nero a contrasto, i piccoli quadretti bianchi e colorati del vichy racchiudono dolcezza, tenera nostalgia, ma soprattutto un grande patrimonio storico. La storia di questa stampa, infatti, inizia ben prima degli anni ’50 e della sua popolarizzazione, grazie soprattutto al cinema, a cui torneremo più avanti. Tutto ebbe inizio nel 1860. La cittadina termale di Vichy stava vivendo un momento di crescente popolarità, soprattutto grazie all’élite parigina che ne frequentava le sue acque per le loro virtù rilassanti. Ma un visitatore molto particolare avrebbe cambiato per sempre il destino di questa piccola località della Francia centrale: Napoleone III, accompagnato da l’imperatrice Eugenia, trendsetter ante litteram che dettava la moda a Parigi, in Francia e nel resto d’Europa. Colpiti dalla qualità del tessuto, la coppia lasciò la città carica di bauli pieni del celebre tessuto a quadretti. Grazie all’avvento della Rivoluzione Industriale e alla meccanizzazione della sua già economica produzione, il vichy si diffuse rapidamente e gli ordini si moltiplicarono.

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E per una buona ragione: grazie alla sua fabbricazione con la tecnica "yarn-dyed", che alterna fili bianchi e colorati, il tessuto vichy vanta una qualità e durata eccezionali. Dei tratti che gli permetteranno di declinarsi in tutte le sue forme: dal grembiule su cui le macchie diventano invisibili, alla tovaglia che resisterà a tutte le cene del mondo — anche le più festive e disordinate — fino agli abiti e vestiti della domenica. Se in Indonesia i quadretti sfumati del vichy rappresentano il dualismo, il contrasto tra bene e male, e in Giappone la spiritualità, in Francia e nel resto del mondo incarnano generalmente il cammino dell’equilibrio. Nella letteratura, invece, il vichy ha un significato completamente diverso: simboleggia temi come innocenza e giovinezza. Due aspetti che il tessuto rappresenterà anche nel cinema, in particolare nel Il Mago di Oz, diretto da Victor Fleming nel 1939, in cui il vestito grembiule azzurro cielo a quadretti vichy indossato da Dorothy Gale, interpretata da Judy Garland, segnerà la storia del vichy così come quella del cinema e dei suoi costumi. Si narra che il famoso abito sia andato perduto per diversi decenni, nascosto in una scatola destinata alla discarica. Solo nel 2015 fu ritrovato e venduto all’asta per la modica cifra di 1,47 milioni di euro. Tuttavia, l’essenza del motivo rappresentata sul grande schermo sarebbe cambiata già l’anno successivo all’uscita de Il Mago di Oz, con Katharine Hepburn nei panni di Tracy Lord nel film The Philadelphia Story di George Cukor, dove indossa un completo a vita stretta in vichy, rendendolo più sexy e decisamente meno infantile. Un’energia che Lauren Bacall avrebbe ripreso con il suo elegante tailleur a quadretti nel film Acque del Sud di Howard Hawks, uscito nel 1944.

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Ma l’apoteosi del successo, l’apice del vichy, sarebbe arrivata solo negli anni ’50, grazie alla vera “it girl” ante litteram, che oltre ad aver inventato le ballerine e reso iconica la marinière, ha anche segnato la storia del tessuto a quadretti: Brigitte Bardot. Nel 1953, apparve sulla copertina di Elle France indossando un abito vichy rosa chiaro che non passò inosservato. Un abito che indossò di nuovo per il suo matrimonio con Jacques Charrier nel 1959, consacrando ufficialmente il vichy come un must-have per ogni guardaroba rispettabile, uno status confermato ancora una volta dall’attrice nel film di Michel Boisrond Voulez-vous danser avec moi?, uscito nel 1959, in cui indossa una splendida gonna a ruota a quadretti blu. La tendenza, ovviamente, non si sarebbe fermata ai confini francesi ma avrebbe conquistato il mondo, raggiungendo anche i guardaroba di Marylin Monroe, Lady Diana e David Bowie.

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Negli anni ’90, il vichy si guadagna la sua consacrazione e entra ufficialmente nel linguaggio visivo dell’alta moda grazie ad Azzedine Alaïa. Dopo essersi imbattuto in un’insegna del negozio Tati, che dal 1948 espone le quattro lettere del suo nome su uno sfondo a quadretti rosa, Alaïa costruì intorno al vichy la sua collezione PE91. Proposto in versione maxi o mini, rosa o nero, fu la prima volta nella storia della moda in cui un marchio low cost veniva assimilato da una grande maison. Un piccolo passo per la moda, un grande passo per il vichy, che diventerà sempre più presente sulle passerelle delle Fashion Week. Nel 1997, la regina giapponese Rei Kawakubo lo reinterpreta nella sua collezione Lumps and Bumps, dove il vichy si posa su silhouette futuristiche, forme improbabili e una palette cromatica ampia e interessante. Circa dieci anni dopo, anche Miuccia Prada reinterpreta a suo modo il vichy nella collezione AI13 di Prada, una collezione dall’estetica anni ’60 modernizzata, dove i piccoli quadretti passano da un mantello blu e rosso a un completo aderente arancione e verde.

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Nello stesso anno, anche Celine, sotto la guida di Phoebe Philo, propone quattro look in vichy, ispirati ai sacchetti di plastica a quadretti rosa, blu e bianchi del già citato celebre negozio Tati, utilizzati in massa dagli abitanti del quartiere Barbès di Parigi e, più in generale, dalle comunità migranti, richiamando le origini popolari del vichy, ma soprattutto ricordando che è per tutti e di tutti. Nel frattempo, Louis Vuitton presenta una versione pastello del vichy nella sua collezione Primavera-Estate, delicata, rassicurante, equilibrata. Qualche anno dopo, Maria Grazia Chiuri nella sua AI20 per Dior presenta guerriere femministe adornate di vichy, mentre Givenchy lo adatta contemporaneamente su eleganti trench. Infine, nel 2023, Vetements rileva la vecchia sede di Tati per presentare la sua collezione PE23, rendendo anch’essa omaggio alle celebri borse shopper. Dai canovacci all’haute couture, dagli incarti da gastronomia alle borse Louis Vuitton, il vichy ne ha fatta di strada. Un percorso che promette di essere lungo e prospero, perché attraverso i suoi quadretti senza tempo continua a raccontare una storia di equilibrio e rinnovamento, reinventandosi costantemente per abbracciare le forme del futuro, portando con sé la dolce nostalgia delle sue origini.