
C'è un nuovo protocollo per la protezione del Made in Italy Anche se Camera Nazionale della Moda Italiana ha avuto qualcosa da ridire
Dopo un anno particolarmente difficile per il Made in Italy, afflitto da polemiche, chiusure aziendali e notizie di cronaca riguardanti lo stato dell'industria e le condizioni precarie o addirittura illegali dei lavoratori, ieri Confindustria Moda ha firmato a Milano il "Protocollo per il contrasto dell'illegalità negli appalti nella filiera produttiva della moda". Con la sua sigla, la federazione afferma di essere interamente disponibile a collaborare con la prefettura, il tribunale, l'ispettorato del lavoro e altre istituzioni pubbliche per la tutela dei lavoratori del settore tessile. Il Protocollo rappresenta un passo importante per il Made in Italy, uno slancio verso il cambiamento che, però, ha ancora molta strada da fare per risolvere definitivamente la situazione di crisi che sta affrontando l'industria italiana, dai casi di appalti illegali e di sfruttamento sul luogo di lavoro alla decimazione degli artigiani locali e dei centri produttivi. Come sottolinea una nota condivisa da Camera Nazionale della Moda Italiana ieri sera, dopo la sigla di Confindustria, «restano aperti alcuni punti essenziali». La priorità principale di Camera Moda al momento è la «tutela della riservatezza, del know how dei brand e dei clienti, nonché la divulgazione di informazioni e dati relativi agli stessi», sottolinea il comunicato rilasciato dall'associazione.
Nonostante il Protocollo rappresenti un aiuto fondamentale per il miglioramento delle condizioni del Made in Italy, e Camera Moda afferma di aver aderito alla proposta e di aver collaborato alla definizione delle regole, sottolinea che il Paese dovrebbe «garantire e sostenere questa industria e fare in modo che sia messa al riparo da attacchi e speculazioni». Un altro punto sollevato dall'associazione è che malgrado il Protocollo sia essenziale, per adesso le regole riguardano solo la regione Lombardia, non tutta l'Italia - non toccano, dunque, alcune delle regioni con la maggiore concentrazione di centri produttivi tessili del Paese, come la Toscana e l'Emilia Romagna. È difficile rendere la filiera interamente trasparente, continua la nota di Camera Moda, se i criteri che ne certificano la legalità hanno solo valenza territoriale e parziale. «L'altissima qualità dei prodotti italiani è garantita da un perfetto e trasparente equilibrio fra grandi aziende (brand) e piccole imprese che insieme danno vita ad una catena del valore che è alla base di una delle maggiori industrie del Paese», si legge nella nota di CNMI. L'associazione afferma che «continuerà a lavorare alacremente al perfezionamento delle attività previste dal protocollo e al contempo a rappresentare su tutti i tavoli di confronto con le Istituzioni e le associazioni del settore l’importanza di poter contare su una legge che determini un quadro normativo chiaro, ordinato, specifico e facilmente applicabile».












































