
La storia della moda in Italia passa anche da Vittorio Corona
Riscopriamo le riviste “Annabella” e “Moda” dagli archivi di Milano Fashion Library
19 Maggio 2025
La moda come la conosciamo oggi è nata a Milano, negli anni Ottanta, quando la città si trasformava rapidamente da centro industriale a capitale internazionale del design, del pret-à-porter e dell’immagine. In un contesto di euforia economica, fermento creativo e crescente emancipazione sociale, la stampa di moda visse una stagione di straordinaria innovazione. Nel pieno fulgore della “Milano da bere”, quando l’editoria patinata e la moda si rincorrevano tra via Montenapoleone e gli studi fotografici di via Savona, Vittorio Corona stava per diventare l’uomo che avrebbe portato la moda al grande pubblico, traghettandola quasi personalmente, come vedremo, dalla carta stampata alla televisione. Era l’epoca in cui Franca Sozzani stava ridefinendo l’estetica del fashion magazine alla direzione di Vogue Italia, e Fabrizio Lucchini dettava i tempi di una narrazione glamour e ipnotica dell’immagine, tra shooting d’avanguardia e impaginazioni da collezione. Milano si muoveva veloce, alimentata da vernissage esclusivi, afterparty firmati Fiorucci, modelle esordienti che diventavano icone da un giorno all’altro, e da una borghesia rampante che si specchiava nei riflessi dorati di Max e Moda, le riviste che raccontavano sogni a colori pieni. In questo scenario sovraesposto, Vittorio Corona non fu solo un caporedattore ma il regista silenzioso di un immaginario intero.
Con il suo occhio lungo e la capacità unica di trasformare la cultura pop in racconto editoriale, ha segnato un’epoca definendone linguaggi e tensioni. Eppure oggi, mentre si celebrano gli stilisti, le muse, i fotografi, il suo nome resta troppo spesso in ombra: e invece Corona è stato il cuore irrequieto di quella Milano, una figura centrale e non abbastanza celebrata rispetto a nomi più celebrati come Franca Sozzani, Gisella Borioli e Flavio Lucchini cambiarono le regole del racconto visivo e culturale dello stile. Giornalista colto e anticonvenzionale, fu un protagonista fondamentale dell’editoria di moda italiana, capace di rivoluzionare linguaggi e formati attraverso due riviste iconiche e oggi forse ingiustamente dimenticate: Annabella e Moda. Il ruolo centrale che svolsero entrambe - molto di più Moda, i cui storici numeri abbiamo scattato grazie al contributo di Milano Fashion Library - fu quello di agire da soluzione di mezzo per la moda, distanziandola dal tono forse più aristocratico e artistico di Vogue ma anche da quello superficiale della classica cronaca rosa. Fu un nuovo e inedito formato, che mescolava insieme inossidabile rigore editoriale e un'elettrizzante ironia, che Vittorio Corona concepì interamente da sè e che riuscì a portare anche altrove nelle fasi più avanzate della propria carriera. E se il mondo della moda sembra aver dimenticato questo appassionato e capace divulgatore, è suo figlio, il celeberrimo Fabrizio Corona, che ancora oggi ha continuato a parlarne e a tenerne viva la memoria.


Corona arrivò a Milano da Catania nei primi anni Settanta, dopo aver completato gli studi in Storia e Filosofia e aver mosso i primi passi nel giornalismo al quotidiano La Sicilia. Entrò nel gruppo Rizzoli proprio mentre l’editoria stava vivendo una fase di trasformazione profonda, legata non solo ai cambiamenti del mercato, ma anche ai mutamenti del ruolo femminile nella società. Fu subito chiaro che aveva talento: nel 1975 divenne vicedirettore di Annabella, una delle riviste femminili storiche d’Italia, testata fondata negli anni Trenta e letta da generazioni di donne borghesi. Sotto la sua guida, Annabella si liberò gradualmente dell’impostazione conformista dei decenni precedenti, aprendosi a tematiche più moderne, riflesso dei nuovi ideali femminili. Corona seppe interpretare con acume i desideri di una società in evoluzione, scegliendo collaboratori brillanti e promuovendo un linguaggio giornalistico più diretto, coinvolgente e visivamente curato. La sua sensibilità per la grafica, per l’ironia e per l’innovazione si manifestava già chiaramente in questa fase. Tuttavia, fu con Moda che Vittorio Corona lasciò un segno profondo e duraturo nell’editoria italiana. Fondata nel 1983 per la Nuova Eri – la casa editrice della Rai – in collaborazione con Flavio Lucchini, Moda fu molto più di un semplice mensile femminile: fu un laboratorio di linguaggi visivi e culturali, un esperimento riuscito che ridefinì i canoni della stampa specializzata. Il sottotitolo della rivista, “tutto quanto fa costume, spettacolo, cultura”, ne sintetizzava lo spirito. Corona, che ne fu direttore per oltre cento numeri, impose una linea editoriale audace, intelligente e graffiante. Il suo stile univa intuito giornalistico e gusto per la provocazione, con un’ironia mai sopra le righe che sapeva dissacrare lo star system e i cliché della moda con lucidità e spirito critico.
Moda era pensata per una donna giovane, colta, autonoma, padrona del proprio tempo. A distinguerla dalle riviste concorrenti era soprattutto l’uso innovativo della grafica, l’esplosione della fotografia e l’integrazione tra contenuti estetici e temi sociali. Corona selezionava con cura le firme e gli artisti visivi, dando spazio a fotografi emergenti e autori capaci di leggere le trasformazioni del costume. Non a caso, la rivista ebbe un tale impatto da ispirare una trasmissione televisiva omonima su Rai Due, anch’essa affidata alla direzione di Corona, che seppe trasferire lo stesso spirito brillante e dissacrante dal cartaceo al video. Fu un passaggio fondamentale: per la prima volta in Italia, la moda usciva dalle pagine delle riviste specializzate — spesso confinate all’interesse femminile o di settore — per entrare nella televisione pubblica, diventando oggetto di divulgazione culturale. Con questo gesto, Corona contribuì a sancire la moda come fenomeno pop e a legittimarla come simbolo dell’eccellenza nazionale. Realizzò infatti due rubriche settimanali per Rai Due: Moda, in onda dal 1985 al 1988, e 1990 Mode, trasmessa nella stagione 1989/1990, entrambe in seconda serata. Negli anni successivi, il successo di Moda aprì la strada a un’altra intuizione editoriale di Corona: King, lanciata nel 1988, fu tra i primi mensili italiani a rivolgersi esplicitamente a un pubblico maschile sofisticato e moderno. Anche qui il linguaggio fu innovativo, irriverente ma mai volgare, pensato per un uomo che si riconosceva nelle nuove estetiche urbane, consapevole del proprio stile e del proprio ruolo nella società. Con King, Vittorio Corona contribuì a creare un immaginario maschile nuovo, non più ancorato ai modelli tradizionali, ma aperto alla complessità dell’identità contemporanea.

L’editoria, però, è un mondo instabile, soggetto a crisi cicliche. Alla fine degli anni Ottanta, le difficoltà della Nuova Eri e il mutare degli equilibri economici portarono a un progressivo declino di Moda, che visse un periodo di crisi ideativa e calo del pubblico, fino alla cessione della testata nel 1993. Eppure, anche in quella fase, l’influenza della rivista restò fortissima. Aveva fatto scuola: nella grafica, nei contenuti, nell'approccio ironico e colto alla moda. La carriera di Vittorio Corona non si esaurì con Moda e King. Dopo l’esperienza nell’editoria periodica, passò alla televisione e all’informazione quotidiana. Nel 1993 fu chiamato da Fininvest per progettare Studio Aperto, il nuovo telegiornale giovane di Italia 1. Anche qui, nonostante l’esperienza sia durata solo venti giorni per via della discesa in campo di Berlusconi, Corona lasciò un’impronta chiara. Passò poi a La Voce, il quotidiano voluto da Indro Montanelli, di cui divenne vicedirettore. E fu proprio Montanelli, colpito dalla modernità del progetto grafico ideato da Corona, a scegliere di adottarlo nella sua forma più audace, contro ogni aspettativa. Nel corso degli anni, Corona continuò a innovare: fondò il mensile Village, lavorò a progetti televisivi per Rai International e Telemontecarlo, e lanciò nuove idee attraverso la sua società Corona Produzioni. Ma il cuore della sua eredità rimane nel modo in cui ha saputo raccontare la moda, trasformandola in racconto di costume, in osservatorio culturale, in linguaggio vivo e sfaccettato. La Milano degli anni Ottanta e Novanta – quella delle sfilate di Armani, del design avanguardistico, della comunicazione come arte – non sarebbe stata la stessa senza il suo contributo. Se oggi riconosciamo alla moda italiana un’anima colta, ironica, visiva e critica, è anche grazie al lavoro instancabile e coraggioso di Vittorio Corona.