
Quando finirà il love-bombing per i Labubu? Venti da est presuppongono un imminente tracollo
Da quando nel 2023 è uscito Barbie, non si sa esattamente come, il mondo della moda ha iniziato a sviluppare un’ossessione per i giocattoli. Chiaramente non giocattoli in quanto passatempo, ma giocattoli come accessori. Prima c’era stata la passione per i personaggi della Sanrio – dalla superstar intergenerazionale Hello Kitty, fino a nuovi pupazzi sconosciuti come Marumaru – seguita poi dalla follia per i Sonny Angels, gli Smitzki e in generale il concetto di blind box. Era impensabile però che dei mostriciattoli di pezza, i Labubu, avrebbero eclissato ogni tipo di accessorio carino e coccoloso, creando una mania a metà tra quella dei One Direction ai tempi d’oro e quella dei drop notturni di Supreme. Per l’uscita della linea Labubu Big Energy, a Milano lo scorso 25 aprile si è formata una fila di qualche chilometro lungo Corso Buenos Aires, con persone che aspettavano addirittura dalle 5 di mattina per accaparrarsi i pupazzetti. Chiaramente l’ossessione non è solo locale, anzi i livelli di fama di Pop Mart – catena cinese dedicata alle chincaglierie e alle blind box – sono schizzati all’improvviso. Così tanto che il brand, secondo quanto riportato da Sherwood News, ora cavalca un’ondata di successo che ha stupito anche gli analisti con Pop Mart che ha annunciato un balzo del +165% nei ricavi del primo trimestre. Le azioni hanno raggiunto il massimo storico martedì, aggiungendo 1,6 miliardi di dollari al patrimonio del fondatore Wang Ning in una sola giornata. Nell’ultimo anno il titolo è cresciuto di circa il 460%, rendendo Pop Mart uno dei migliori performer dell’indice MSCI China. Un risultato clamoroso, se si pensa che oggi, grazie al traino di Labubu, la capitalizzazione di mercato del produttore di giochi cinese ha raggiunto i 34 miliardi di dollari: più della somma di Sanrio, Hasbro e Mattel messi insieme. Ma riuscirà a durare nel tempo?
i said i wouldn’t get sucked into the labubu fad and here i am buying my third one in a week… pic.twitter.com/Gk46AJ6KvY
— mia (@miamaliexo) May 5, 2025
Al netto dell’euforia mediatica e borsistica, iniziano però ad emergere alcuni segnali di tensione. Secondo JingDaily, il rally azionario di Pop Mart potrebbe già trovarsi a un punto di svolta. Nei giorni scorsi, un investitore anonimo ha liquidato quattro milioni di azioni per un valore complessivo di 97 milioni di dollari, con uno sconto sul prezzo di mercato. Si tratta della seconda vendita di blocco in pochi giorni, entrambe prive di lock-up, dettaglio che lascia intuire una possibile cautela da parte di chi, internamente, conosce bene le dinamiche della società. Il tempismo di queste operazioni suggerisce una strategia di monetizzazione rapida, forse dettata dal timore che l’attuale entusiasmo non sia strutturalmente sostenibile. A pesare sul futuro del marchio è anche l’incertezza geopolitica. Il piano tariffario daziario annunciato da Donald Trump – con un incremento fino al 145% sulla maggior parte delle importazioni cinesi – rappresenta una minaccia concreta. Pop Mart ha già adeguato i prezzi per il mercato americano, portando le sue mini-figure da 22 a 28 dollari, e sta accelerando il trasferimento parziale della produzione in Vietnam (proprio come sta succedendo da Shein) dove i dazi risultano per ora sospesi. Allo stesso tempo, il margine operativo potrebbe ridursi sensibilmente, soprattutto in un contesto dove il posizionamento di Pop Mart è ancora legato a una narrazione aspirazionale e da collezionismo, ma non necessariamente a un valore percepito premium in senso tradizionale. In altre parole, Pop Mart si trova al centro di un delicato equilibrio: da un lato l’entusiasmo globale per un’estetica giocosa che parla al gusto contemporaneo; dall’altro, le fragilità strutturali di un business fortemente esposto al rischio moda, alla volatilità dei mercati e alle tensioni politiche internazionali.














































