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Perché tutti i brand dovrebbero aprire scuole d’artigianato

Il modello di Bottega Veneta rappresenta l’esempio perfetto

 Perché tutti i brand dovrebbero aprire scuole d’artigianato Il modello di Bottega Veneta rappresenta l’esempio perfetto

Fin dall’alba della sua esistenza, la moda ha vissuto nella doppia sfera del commercio e della creatività. Nel corso dei decenni, e con fasi alterne, l’uno o l’altro lato hanno prevalso ma, in generale, la moda ha sempre lottato per riscattarsi dallo status di semplice industria nobilitandosi attraverso la cultura e l’arte. I brand collaborano con artisti dodici mesi l’anno e provano sempre a dipingersi come produttori di cultura – non di meno, è difficilissimo che il mecenatismo della moda riesca a partorire prodotti culturali dotati di un proprio status autonomo senza farli sembrare semplicistici e, in breve, ruffiani. Ma se ammantarsi di cultura non funziona, saperla preservare, trasmettere e produrre potrebbe rappresentare la soluzione del dilemma. Ma di che cultura parliamo? Certamente non di quelle installazioni, sculture temporanee e varie ephemera destinate a non durare e di cui gli uffici stampa oggi sono così ghiotti. Bisogna guardare più a fondo. Oltre la creatività, oltre al commercio, si trova l’elemento in cui si condensano tutti i valori del lusso: l’eccellenza artigianale. Senza questa eccellenza produttiva, il presupposto stesso del lusso viene meno; senza le ore di lavoro che un artigiano passa a creare una borsa, senza la conoscenza tecnica dei materiali, il lusso è solo un fantasma evocato dalle press release. La cultura propria della moda è precisamente quella dell’artigianato – una cultura la cui conservazione e trasmissione non solo trasformerebbe i brand in istituzioni, ma creando posti di lavoro per i giovani artigiani contribuirebbe anche alla comunità. In breve: più brand dovrebbero aprire scuole di artigianato.

Come per tanti settori, infatti, anche nella moda la richiesta di lavori nel campo artigianale è elevatissima e si corre il rischio che un’intera generazione di creativi finisca per perdere del tutto le preziose capacità tecniche che hanno portato la moda al suo ruolo di preminenza in primo luogo. In Francia, ad esempio, ci sono 20.000 posizioni lavorative artigianali rimaste vacanti alla fine del 2022, secondo il Comité Colbert, un consorzio di marchi di lusso. La presidente e CEO dell'organizzazione, Bénédicte Épinay, ha persino suggerito che il numero effettivo potrebbe essere superiore. In Italia, la prospettiva è altrettanto preoccupante, con la Fondazione Altagamma che stima nel Paese una carenza critica di 94.000 posizioni tecniche nel settore della moda nei prossimi tre anni. Questa carenza è acuita dalla notevole espansione del settore del lusso negli ultimi due decenni, che ha portato a una domanda senza precedenti per queste posizioni specializzate. Hans de Foer, direttore del savoir-faire presso l'Institut Français de la Mode di Parigi, ha descritto a BoF la gravità della situazione, affermando: «Le aziende di moda stanno affrontando un problema grave perché nessuno ha prestato attenzione a ciò che sta accadendo in queste aree. Si stanno preparando a pensionamenti di massa, il che significa che le aziende potrebbero perdere la loro conoscenza». La perdita imminente di queste preziose competenze intensifica ulteriormente l'urgenza del problema.

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Riconoscendo la gravità della situazione, i marchi di lusso stanno intensificando i loro sforzi per attrarre e coltivare giovani talenti nell'ambito dell'artigianato. Animato dalla volontà di formare una nuova generazione di artigiani, Bottega Veneta ha inaugurato l'Accademia Labor et Ingenium, una scuola dedicata al trasferimento del ricco patrimonio, delle tecniche e della conoscenza dell'arte del savoir-faire del marchio che mira a formare 50 studenti all'anno, garantendo loro un impiego al termine del percorso. Il CEO di Bottega Veneta, Leo Rongone, ha giustamente definito questa iniziativa un «pilastro strategico chiave» per preservare il loro unico savoir-faire. Oltre a Bottega Veneta, LVMH da poco ha lanciato il programma Métiers d'Excellence, un'iniziativa di formazione pratica mirata a preparare la prossima generazione alle diverse competenze richieste nei suoi 280 settori di specializzazione mentre Chanel, già nel 2021, ha presentato un nuovo campus dedicato a programmi di artigianato ed educazione. Altri marchi rinomati come Hermès, Prada e Brunello Cucinelli hanno istituito le proprie istituzioni educative, mentre Fendi, Ferragamo e Loro Piana collaborano con scuole italiane attraverso l'iniziativa "Adopt-a-School" della Fondazione Altagamma e del Ministero dell'Istruzione italiano. Il programma più semplice ed efficace di tutti, comunque, rimane quello di Bottega Veneta dato che studiare nella sua accademia, arrivando alla fine degli studi, equivale a farsi assumere: un canale di comunicazione diretto tra formazione e lavoro che elimina tutta la penosa e lunghissima fase della ricerca di un’occupazione e dà, per una volta, una garanzia.

Ma coltivare una forza lavoro specializzata nell'ambito dell'artigianato non è semplice. A fronte di elevatissimi investimenti di tempo e denaro, nel mondo della moda esiste ancora uno stigma che circonda questi ruoli, spesso percepiti come umili, privi di gratificazione e visibilità, poco dinamici e obsoleti. Ma le cose potrebbero stare per cambiare. Non è un mistero per nessuno che i brand emergenti faticano ad affermarsi: la legittimità data delle sfilate costa molto cara, il mercato già saturo non ha davvero bisogno di altri vestiti, gli investimenti con ritorni più alti sono altrove. Il sogno di molti creativi di aprire un brand proprio appare, oggi, fuori tempo massimo. Potremmo anche aggiungere che anche di molti brand già esistenti non si sente il bisogno – se la metà di questi chiudessero a stento ce ne accorgeremmo. Perché allora aspirare di entrare nell’1% di chi l’ha fatta quando si potrebbe aspirare a far parte di un sistema più solido e sicuro? È la statistica a dirci che nemmeno chi si trova negli strati più alti del sistema ha vita facile, basti pensare all’andirivieni di mille direttori creativi da mille altri brand che si trovano sempre in uno stato costante di crisi. Perché allora non invogliare i giovani a investire in mestieri e competenze pratiche per cui ci sono posti di lavoro già pronti, per cui la domanda non si esaurirà mai e il cui esercizio, in futuro, potrebbe diventare ancora più costoso e profittevole? La verità sulla moda sarà forse brutta, ma la stabilità economica in una società così instabile è per forza di cose bella. È, in breve, l’inafferrabile mito del posto fisso, but make it fashion.