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Perchè così tante popstar stanno firmando collezioni con i brand?

Come i brand stanno provando a elevare l’idea di un merch di lusso

Perchè così tante popstar stanno firmando collezioni con i brand? Come i brand stanno provando a elevare l’idea di un merch di lusso

Il prossimo 23 maggio, Versace presenterà a Cannes una collezione speciale co-disegnata con Dua Lipa. Forse ventiquattro ore prima dell’annuncio di Versace, è stato Marni ad annunciare una collezione creata insieme a Erykah Badu. Tornando indietro di un mese, Balmain ha creato un’intera collezione couture con Beyoncé e Tommy Hilfiger una con Shawn Mendes mentre, a monte di tutto, pare esserci il matrimonio di Pharell Williams e Louis Vuitton, evento sismico che ha sancito una volta per tutte la legittimità di un format collaborativo dalla lunga storia ma spesso accolto con scetticismo dall’intellighenzia della moda.

In passato l’unione di artisti musicali e brand di lusso ha funzionato in maniere alterne: la collezione di Gucci creata insieme a Harry Styles fu, retrospettivamente, il canto del cigno di Alessandro Michele, l’estremizzazione nel bene e nel male di tutto ciò che aveva definito la sua tenure; sfortunatissima fu invece quella di Dior e Travis Scott, che portò al brand anche perdite economiche; più fortunati furono invece i pioneristici link-up di Giuseppe Zanotti con Jennifer Lopez, Rita Ora, Kid Cudi e Kanye West, oltre un decennio fa. Altri esempi possibili sono la collaborazione di Prada e Homer, brand di Frank Ocean, nel 2021; quelle di Fendi e Jackson Wang e di Chanel e Pharrell nello 2019 e quella di Burberry e Jason Wu nel 2016 ma anche la breve e non felicissima unione di Rihanna e LVMH per Fenty. Come si vede l’idea di una collaborazione tra un cantante e un brand di lusso non è affatto nuova – non di meno, l’aumento sistematico della loro frequenza indica che qualcosa è andato cambiando nella maniera in cui percepiamo e consumiamo il lusso come cultura.

Che negli ultimi anni il mondo del lusso si sia affidato sempre più alle celebrity non è un mistero. Con i nuovi ecosistemi digitali, il semplice rapporto di partnership tra una popstar e un brand di lusso può uscire dai confini limitati di un red carpet e passare attraverso canali di Instagram e TikTok, apparizioni pubbliche, foto di paparazzi abilmente distribuite dagli stessi brand a tutta la stampa nel giro di un click. Ma una cosa è indossare un brand nelle vesti di ambassador, un’altra cosa è apporre il proprio nome alla collezione. L’idea sarebbe quella di creare valore ulteriore per i clienti entry-level ma anche di richiamare a sé gli strati più ricchi di una certa fandom: ricchi e poveri avranno forse stili di vita diversi, ma ascoltano tutti la stessa musica. Diciamolo immediatamente e senza girarci intorno: quasi nessuno si illude che queste collezioni siano davvero disegnate dalle varie popstar – sia perché le popstar in questione non hanno la minima esperienza nel design, sia perché il lavoro di design di un qualunque prodotto di lusso è così spezzettato in segmenti, fasi e team diversi che spesso nemmeno i direttori creativi disegnano gli abiti che poi approdano in passerella.

Questo tipo di collaborazione diretta esisteva, fino a qualche tempo fa, soltanto nel mondo streetwear dato che i brand di lusso si prendevano troppo sul serio per consegnare i metaforici ago e filo nelle mani di una figura "leggera" come una popstar. Atteggiamento che rifletteva l’esistenza di una clientela ancora legata a nozioni culturalmente elitiste del lusso – nozioni che esistono ancora oggi, ma a fianco di una diffusione sempre più vasta e popolare della cultura della moda. Ancora oggi, per le generazioni più vecchie, queste collaborazioni rappresentano essenzialmente un merch glorificato solo che, se in passato i brand temevano che l’idea di un merch di lusso avrebbe intaccato esclusività e posizionamento, oggi invece non c’è lo stesso timore nell’annunciare progetti così smaccatamente commerciali, e anche lo stesso pubblico è radicalmente diverso nelle maniere in cui può interagire e consumare, in vie dirette o indirette, la cultura che un certo brand rappresenta.

Questo è dovuto al fatto che le popstar di livello globale, quelle con numerosi milioni di follower su Instagram, non sono più semplici artisti musicali di cui si vede ogni tanto un videoclip come in passato ma fenomeni trasversali capaci di catalizzare titanici livelli di attenzione attraverso innumerevoli canali. Se un tempo si poteva ignorare l’esistenza di un certo cantante semplicemente non ascoltandone la musica, oggi si viene quasi informati contro la propria volontà del successo di artisti come i BTS, le Blackpink, Bad Bunny, Doja Cat e via dicendo. Ma se prima la popstar e la sua immagine erano il prodotto che veniva venduto, oggi la popstar è un brand a se stante che si manifesta nel mondo attraverso diversi prodotti: uno smalto, un profumo o, appunto, un abito di lusso – non soltanto più un CD o una maglietta comprata al concerto.

In un’industria in cui le esigenze commerciali e di crescita continua impongono un certo livellamento del gusto, azzerando le singole specificità dei brand in cataloghi commerciali pensati per essere facilmente digeribili dal più vasto numero di consumatori possibile avere nella propria scuderia una popstar di livello mondiale significa distinguersi in maniera unica, ingaggiare una relazione con tutta la sua fandom e, più in generale, piantare la propria bandiera in un dominio della cultura pop che andrà a costruire l’heritage presente e futuro di un certo brand. Rimane da vedere se, a lungo termine, il successo quasi matematico che queste collaborazioni raggiungono non finisca per sommergere del tutto l’apprezzamento di quelle qualità più sottili dell’abbigliamento che fanno della moda un linguaggio artistico oltre che un commercio.