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Il culto per le pieghe di Issey Miyake

È stato il sarto del vento che ha scritto la storia della moda

Il culto per le pieghe di Issey Miyake È stato il sarto del vento che ha scritto la storia della moda

È venuto a mancare il 5 agosto Issey Miyake, in un ospedale di Tokyo per via di un cancro da cui combatteva da tempo. È stato il pioniere di una visione stilistica che ha tradotto il suo pensiero in un’estetica fluente e concreta, unendo heritage e hi-tech in tessuti riconoscibili come il plissé ed è stato in grado di mantenere un costante senso di equilibrio fra la sartorialità d’avanguardia, la tradizione orientale e la sperimentazione tecnologica. Le forme e i materiali erano la sua ossessione: prima ancora di studiare la realtà sotto i suoi aspetti estetici, a Issey Miyake interessava capirne il funzionamento.

Un’anima da architetto con un culto per le pieghe così radicato da ammaestrare tutti i materiali in abiti, dove il continuo sperimentare con geometrie e colori è stato il manifesto poetico di un minimalismo strutturale che gli ha conferito il titolo di artista. Anche dopo aver lasciato la direzione creativa delle sue linee, la sua supervisione ha garantito una coesione estetica paradigmatica di un approccio in cui gli opposti si attraggono e si risolvono in uno stile inimitabile. Era la materia la sua tabula rasa, lo script che gli permetteva d’indagare i rapporti fra corpo e abito. Inaugurò un nuovo concetto di modellazione chiamato A-Poc (A piece of cloth), una teoria spartana secondo cui era necessario usare un solo pezzo di tessuto da avvolgere intorno al corpo, adattandosi ai movimenti e trasformandosi di conseguenza. Per Issey Miyake i vestiti erano metamorfosi allo stato puro.

Piegare, stropicciare, incrociare, ma soprattutto plissettare: fare sì che i capi avvolti in piccole pieghe ravvicinate ricreassero un effetto a fisarmonica in grado di resistere alle leggi della fisica. Utilizzò un tessuto povero come il poliestere che, piegato con presse a caldo, garantiva una resa indistruttibile a pantaloni, gonne a tubino e vestiti. Quest’idea di (im)perfezione materica divenne il manifesto della sua linea di  prêt-à-porter nel 1993, la Pleats please by Issey Miyake, la cui poetica trovò nei ballerini e nei ginnasti i suoi naturali proseliti. Issey Miyake era riuscito a crearsi una schiera di fedeli adepti proponendo una forma di brutale minimalismo che aveva abbattuto in maniera del tutto spontanea confini come il genere e la stagionalità. Non che gli fosse sfuggita l’importanza dell’archivio, dell’heritage e della contaminazione: le sue maglie con disegni Tebori, una tecnica giapponese simile al tatuaggio, e i suoi vestiti decorati con il metodo Sashiko incantarono Vogue Usa e Bloomigdale’s. Il resto è la storia di un sarto, un architetto, un designer e un businessman che, pur avendo un’affinità elettiva con l’aria, restava saldamente a terra.