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Influencer che non ce l'hanno fatta

Diversi creator hanno parlato del loro "fallimento" su TikTok, raccontando di una professione che non è alla portata di tutti

Influencer che non ce l'hanno fatta Diversi creator hanno parlato del loro fallimento su TikTok, raccontando di una professione che non è alla portata di tutti

Una delle caratteristiche che contraddistingue TikTok, nonché uno dei suoi maggiori pregi, è la capacità di raccontare il dietro le quinte (della moda, del cinema, del mondo del lavoro, della quotidianità), sapendo metterne da parte il lato più glamour. Mentre da un lato la piattaforma di Bytedance non solo ha visto proliferare ma ha attivamente contribuito alla crescita e al successo di centinaia di influencer di ogni tipo, dall'altro è sempre su TikTok che diversi creator hanno iniziato a parlare del loro "fallimento", raccontando di come non siano riusciti a fare della content creation il loro lavoro

Una delle prime ad affrontare l'argomento è stata Ileen Bajo, che a metà aprile ha pubblicato un video dal titolo I Failed At Being An Influencer, nel quale descriveva le difficoltà economiche legate alla scelta di lasciare il suo lavoro d'ufficio per perseguire la carriera di influencer di moda a tempo pieno. Bajo critica le politiche di diversi brand, che invece di pagare una fee ai creator con cui collaborano preferiscono inviare prodotti e merch gratuiti, dimenticando però che "una T-shirt non paga un affitto". Nonostante la passione che ancora nutre per il settore, Bajo rivela l'intenzione di cercarsi un secondo lavoro, provando così a continuare sulla strada della content creation con le spalle un po' più coperte. 

@ileenbajo

i never thought i’d have to do this but you do what you gotta do

original sound - ileenbajo

Alla creator inglese ha fatto eco Melissa Tovar, che in un video dai toni simili ha raccontato la prima volta in cui aveva dovuto mettere da parte l'idea di lavorare come influencer a tempo pieno, stilando l'elenco completo di tutti i lavoretti che faceva contemporaneamente per arrivare a fine mese. Tovar ammette che è stata la costanza, di pubblicare ogni giorno per anni, di conoscere a fondo i meccanismi delle piattaforme social, il mezzo grazie a cui ha iniziato a vedere dei risultati, ma che in fin dei conti è un processo lungo quello che occorre per dire di lavorare come influencer, e non tutti hanno i mezzi per sostenersi nel frattempo

@xomelissatovar I can feel myself getting teary eyed while making this bc it truly was such an emotional journey. @ileenbajo original sound - Melissa Tovar

Al di là del fatto che ironicamente i video confessione delle due creator appena citate hanno generato per entrambe ottime views e likes, nonché commenti di grande incoraggiamento, è peculiare che a due anni dall'inizio della pandemia, un momento che ha rivoluzionato il mondo del lavoro, si inizi a parlare di passi falsi e fallimenti. Il cosiddetto 9 to 5, il classico lavoro d'ufficio, su TikTok ha trovato accesi sostenitori e grandi demonizzatori, tra chi ammette di non essere career driven e chi invece ha visto nell'emergenza sanitaria il momento giusto per cambiare vita, lasciando un impiego tradizionale. Il proverbiale leap of faith, quel salto nel buio, per tanti ha coinciso con uno scontro non troppo piacevole contro una realtà impietosa: non tutti possono vivere di content creation. Non è questione di qualità di contenuti, creatività, punto di vista o target, ma semplicemente, di sovraffollamento.

A quasi dieci anni esatta dalla nascita della figura professionale dell'influencer, per farcela oggi serve distinguersi dalla massa e avere qualcosa da dire, che sia su TikTok o qualunque altra piattaforma. Per ogni Addison Rae, o Emma Chamberlain o chicchessia, che arriva sul red carpet del Met Gala ci sono migliaia di ragazzini che parlano o ballano davanti ad una telecamera nella propria stanza, con la speranza e l'obiettivo di vivere la stessa parabola ascendente, in una competizione selvaggia tipica del mercato del lavoro.  

Fa riflettere, inoltre, che la conversazione sul fallimento del sogno di diventare influencer sia partita da TikTok, un social in cui vede tutto il contrario di tutto, in un continuo gioco di specchi in cui è difficile non perdere la rotta. La contrapposizione di punti di vista e prospettive è costante e radicale: c'è chi mostra la propria depressione, l'ansia, il burnt out, e subito dopo chi racconta fiero una giornata impegnatissima tra palestra, riunioni e cene con gli amici. C'è chi lascia grandi aziende e studi legali e chi inizia lo stage in una banca, tutto è polarizzato, estremo, sembra che per ogni questione, anche minima, occorre scegliere da che parte stare, che opinione avere. Produttivo o pigro, felice o depresso, solitario o socievole, non ci sono zone grigie, indecisioni, passi falsi. Quello stesso spazio che aveva promulgato l'idea che diventare influencer fosse facile e redditizio - attraverso video con tips, trucchi e consigli - è anche il luogo in cui quel mito viene sfatato, in cui viene messa in mostra la sua pericolosa insidiosità. Perché se TikTok ci fa vedere il dietro le quinte, è capace di raccontare anche le bollette non pagate di chi non è riuscito a fare della content creation un vero lavoro. Ma se ne può sempre parlare su TikTok.