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Come la crisi della supply chain potrebbe colpire la fashion week

Con molte fabbriche al momento ferme a causa del Covid, è sempre più difficile produrre sample di sfilata

Come la crisi della supply chain potrebbe colpire la fashion week Con molte fabbriche al momento ferme a causa del Covid, è sempre più difficile produrre sample di sfilata

Una crisi ufficiosa sta colpendo la moda a breve distanza dall’inizio della settimana della moda. Come ha scritto @hftgroup su Twitter: «Apparentemente, l’industria è in crisi e non perché gli show sono troppo pericolosi a causa del Covid, ma perché i sample non verranno prodotti in tempo a causa dell’enorme numero di manifatture e lavoranti in fabbrica che non possono lavorare a causa del Covid». Un dato che naturalmente i brand non tengono a confermare o smentire, ma che risulta evidente da un problema che è andato crescendo sempre di più in Italia nelle ultime settimane: l’aumento delle quarantene equivale a un aumento delle assenze sul lavoro e dunque a un rallentamento dei servizi. Secondo un articolo di ieri, il Veneto, che è il secondo esportatore di prodotti tessili in Italia e (secondo un’intervista rilasciata dall’imprenditore Matteo Marzotto) il produttore del 38% della componentistica della moda di lusso mondiale, potrebbe avere quasi 500.000 persone confinate in casa e il Corriere della Sera scriveva ieri: «I servizi sono già in affanno. Le aziende, anche se forse salta meno agli occhi, pure. Sono molte le imprese che hanno fatto slittare la ripresa della produzione dal 3 al 10 o al 17 gennaio. C’è un settore in particolare che ben rappresenta l’effetto domino di questa ondata vertiginosa: la logistica». 

Questo spiega da un lato il crescente controllo che molti brand hanno assunto della supply chain ma anche che la nuova impennata di Covid che ha paralizzato i sistemi produttivi e logistici italiani potrebbe avere pesanti ricadute sugli abiti che vedremo effettivamente in passerella – l’importanza dei sample è altissima: sono gli abiti in base ai quale i buyer fanno i loro ordini, la catena di collegamento tra lo show e ciò che arriva effettivamente in negozio. Come molti hanno evidenziato nei commenti al post di @hftgroup, questo problema è in fondo lo stesso che era stato discusso a inizio pandemia durante quella stagione di buoni propositi in cui si voleva che la moda ristrutturasse il suo sistema produttivo. Una stagione di buoni propositi in cui pareva che tutti dovessero abbandonare collezioni stagionali, pre-collezioni e la raffica di release praticamente settimanali che era anche colpevole di mille sprechi e inquinamenti – ma che in sostanza è stata largamente ignorata dopo la seconda dose di vaccino.

Il fashion month che si avvia a cominciare nasconde dunque molte possibili incognite – e sempre maggiori sono le voci che si domandano perché non si possa come minimo modificarne la struttura, o accorpando le settimane della moda maschili e femminili o spostando le due fashion week rispettivamente di un mese in anticipo e di uno in avanti. Sicuramente non c’è una soluzione semplice a questo problema, ma rimane vero che sforzarsi di andare avanti come se nulla fosse cambiato pone sempre maggiori difficoltà sia sul piano dei brand che su quello delle manifatture. Proprio parlando della crisi in cui la variante Omicron ha gettato il settore tessile, Sergio Tamborini, presidente di Sistema moda Italia ha detto: «La filiera del tessile, come tutte le catene del valore globalizzate, era un meccanismo complesso ma apparentemente ben oliato, quasi perfetto. Il Covid è stato il granello di sabbia che ha bloccato ogni catena». Ma una macchina che va in tilt per ogni granello di sabbia, è una macchina che va aggiornata o sostituita.