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Con quali parole i brand ci illudono di fare shopping sostenibile?

Il vocabolario del greenwashing

Con quali parole i brand ci illudono di fare shopping sostenibile? Il vocabolario del greenwashing
Photo by Jeremy Alvarez

Negli ultimi anni, la sostenibilità è diventata una delle parole più usate, ripetute e abusate dell'industria della moda. I brand hanno presto capito che etichettare i propri prodotti come 'riciclabili', 'riutilizzabili', 'etici', era più efficace che utilizzare definizioni tecniche e sigle di cui pochi conoscono il vero significato.  L'uso ingiustificato del glossario che ruota attorno alla sostenibilità ambientale ha portato i consumatori a mettere in discussione la legittimità dei valori dei brand e la loro filiera. Il greenwashing e la mancanza di trasparenza hanno fatto sì che i consumatori fossero portati a fare sempre più affidamento sulle loro conoscenze, spesso comprando un prodotto piuttosto che un altro come atto di fiducia. Composed, un'agenzia creativa, e MaCher, un'azienda certificata B Corp, hanno realizzato uno studio che indaga l'effetto di queste definizioni nelle operazioni di marketing dei brand, e l'effetto che hanno su quattro generazioni diverse: Baby Boomer, Gen X, Millennial e Gen Z.

Ciò che emerge è che ci sono parole che fanno breccia su tutti e quattro i pubblici, e altre che sono più efficaci su platee di età simili. La definizione 'riciclato' compare nelle prime tre scelte di tre generazioni su quattro. Questo risultato può essere dovuto al fatto che il termine, rispetto agli altri, è molto più chiaro, intuitivo, meno tecnico e dunque di facile comprensione. Chiamato ad analizzare la parola 'riciclato', un consumatore comprende perfettamente che quella definizione va ad identificare un prodotto realizzato a partire da materiali esistenti. Lo stesso vale per la parola 'riutilizzabile', che significa che il prodotto può essere utilizzato più di una volta, mentre B Corp, ad esempio, non è un termine immediato. Baby Boomer e Gen X, che provengono da una fascia demografica più "anziana" e pre-internet, basano le loro scelte su due parole facilmente comprensibili, facendosi convincere da un vocabolario generico. Al contrario, Millennial e Gen Z, che condividono una mentalità formata e influenzata in larga parte da Internet, hanno prospettive diverse sulla questione. Il tema della sostenibilità ha vissuto il suo apice e la sua massima popolarità scorsi anni con il movimento creato da Greta Thunberg che ha raccolto la maggior parte dei sostenitori proprio tra la Gen Z, e questo si riscontra anche nelle parole a cui il pubblico giovane reagisce meglio. 

Prima di chiedersi quali sono i termini che spingono i consumatori a comprare "sostenibile", occorrerebbe chiedersi innanzitutto cosa si intende con sostenibilità. L'Environmental Protection Agency definisce la sostenibilità come "la capacità degli esseri umani e della natura di coesistere in armonia, sostenendo le generazioni presenti e future". Ma, anche a causa di una definizione vaga e imprecisa come quella che compare su Wikipedia, descritta come un termine "ampio e difficile da definire con precisione", i marchi hanno iniziato a pensare che qualsiasi cosa potesse fare bene all'ambiente, o quanto meno che non lo danneggiasse, fosse degno della definizione 'sostenibile'. 

Una contraddizione ben sottolineata da Siddharth Somaiya, fondatore del brand di skincare Organic Riot.  "In Indonesia, a causa di una piantagione "organica" per la produzione di olio di palma, ha portato a una deforestazione su vasta scala a causa della quale sono stati uccisi circa 100.000 oranghi del Borneo. Quindi, sulla carta, potresti pensare di acquistare qualcosa di biologico, coltivato in armonia con la natura, ma in realtà questo ingrediente "biologico certificato" ha portato alla morte di più animali, alla distruzione della biodiversità di una regione e, per di più, si è assolto da ogni responsabilità aggiungendo un logo certificato "biologico" sul prodotto". Per questo motivo, il brand di skincare ha deciso di rivedere tutte le etichette e le definizioni che accompagnavano i suoi prodotti, come ad esempio 'riciclabile', che poteva dirsi vero solo per il 9% di tutta la plastica utilizzata per gli imballaggi. 

La ricerca rivela inoltre che i consumatori appartenenti alle Gen X (37%), Millennial (50%) e Gen Z (38%) hanno tre volte più probabilità dei Baby Boomer di dare importanza all'aspetto della sostenibilità durante lo shopping. Tuttavia, se messi davanti alla scelta di acquistare un prodotto che sanno essere sostenibile rispetto ad uno di cui non sono sicuri, anche i Baby Boomer sono portati a scegliere l'opzione green. Sebbene il 61% degli adulti consideri i prodotti con un impatto ambientale minimo come "il massimo esempio di sostenibilità", il 60% di essi sostiene che acquistare unicamente prodotti sostenibili è costoso. Per far sì che i consumatori sappiano davvero cosa stanno comprando e quale è davvero l'impatto di un prodotto sull'ambiente, c'è bisogno di una sinergia tra media, in grado di educare il pubblico e di divulgare pratiche sostenibili, e brand, che queste pratiche devono implementarle su larga scala, facendo massima trasparenza sulla loro filiera. Il greenwashing e un marketing aggressivo e falso potrebbero avere gravi conseguenze sull'impegno del pubblico verso uno shopping davvero green.