
I 5 font più iconici del mondo della moda
Per vendere il lusso, serve il giusto carattere


Dior FW23

Dior FW99

Dior FW01



Dior SS17

Dior SS02

Dior FW02

Dior FW98

Dior "J'Adore" Campaign (2003)

Dior FW11

Settembre 1916

Ottobre 1967

Novembre 2020

Gennaio 1990

Gennaio 2001


Prada SS19

Prada SS03

Prada SS02

Prada FW02





Prada SS96



Gucci "Memoire d'un Odeur" Campaign (2018)

Gucci FW20

Gucci FW98

Gucci FW81

Gucci FW88
Quella della tipografia è un’arte largamente astratta. Articolata sul punto tipografico come la musica lo è sulle note, la sua storia è vasta quasi quanto le sue possibilità espressive. E la parte del logo di un brand che ne include il nome, tecnicamente detto “logotipo”, ha il compito di abbreviarne visivamente l’intera estetica. Per questo i cambi di logo e di font per i brand avvengono assai raramente e, se avvengono, devono essere il più indovinati possibile.
Ecco quali sono i cinque font più iconici della moda secondo nss magazine.
Il modern serif di Prada

Prada FW02

Prada SS19

Prada SS03

Prada SS02

Prada SS96
Il logotipo di Prada è un “modern serif”, definizione assai larga in realtà, in quanto serif indica tutti i caratteri con allungamenti alla fine delle lettere, detti “grazie”. Quello di Prada è in realtà un font unico, rimasto sostanzialmente invariato da quando il logo ufficiale del brand venne stabilito già pochi anni dopo l’inaugurazione del negozio originale di Prada, in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, che conserva ancora l’insegna originale “Fratelli Prada” con una grafia che non sarebbe stata più utilizzata per decenni.
Il Cochin di Dior

Dior SS17

Dior SS02

Dior FW02

Dior FW98

Dior FW23

Dior FW11



Dior FW01

Dior FW99

Dior "J'Adore" Campaign (2003)
Uno dei loghi più semplici e più memorabili di sempre, aggiornato forse tre volte durante l’intera storia del brand (una volta recava il nome del founder per esteso, mentre oggi se ne trova una versione tutta maiuscola), il font di Dior appartiene alla famiglia Cochin, creato nel 1912 ispirandosi alle incisioni in rame dell’omonimo artista francese. Il font divenne celeberrimo intorno agli anni ’20, per il suo aspetto delicato e femminile e non a caso Christian Dior lo scelse per firmare le sue creazioni.
Il Granjon di Gucci

Gucci FW20

Gucci FW88

Gucci FW81

Gucci FW98




Gucci "Memoire d'un Odeur" Campaign (2018)
Anche se nella sua più recente versione i caratteri hanno perso i loro allungamenti finali, il font usato per il logo di Gucci è un Granjon Roman, ispirato a sua volta al Garamond, ma più rotondo. È un tipo di carattere che esprime una certa autorità, classicità – dopo tutto le basi per esso sono state gettate nel ‘500. Il font si è andato assottigliando e “addolcendo” negli anni guadagnando in personalità e diventando più ibrido e leggero, ma sempre incisivo.
Il Didone di Vogue Magazine

Novembre 2020

Settembre 1916

Ottobre 1967

Gennaio 1990

Gennaio 2001
Non si diventa la pubblicazione di moda più famosa del mondo senza un titolo all’altezza. La rivista Vogue, fondata nel 1892, presentava già sulla prima copertina una versione ancora arcaica di quello che sarebbe poi diventato il suo font ufficiale, stabilizzatosi a partire dagli anni ‘50, il cosiddetto Didone. Si tratta in realtà di una versione leggermente modificata che andò variando in spessore e differenza di corpo negli anni, ma rimase sempre fissa per il magazine. Il carattere venne scelto per il suo aspetto pulito, classico e autorevole (quello dei titoli di libri e trattati di rilievo) ma con un feel molto moderno dato dal contrasto fra lettering sottile e spesso.
Il Futura Bold Italic di Supreme




Il carattere Futura venne inventato nel 1927, in Germania, da Paul Renner. Era un carattere incredibilmente moderno per i tempi, con versioni molto geometriche, e venne venduto e utilizzato ovunque negli anni seguenti fino ad arrivare sulla plancia dell’Apollo 11 e nei film di Kubrik. Fu l’artista anni ’80 Barbara Kruger, però, a utilizzarne una versione bold e in corsivo per le sue opere sovversive – diventando poi un’icona della scena artistica di New York, che fu poi preso in prestito da James Jebbia (con l’approvazione più o meno tacita della Kruger) per il suo brand, che con l’artista condivideva lo sguardo irriverente verso la cultura dominante.