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“Dove due fiumi corrono insieme”: la storia di Saucony

Un brand nato sulle rive di un fiume in Pennsylvania ed arrivato fino alle passerelle di Parigi

“Dove due fiumi corrono insieme”: la storia di Saucony Un brand nato sulle rive di un fiume in Pennsylvania ed arrivato fino alle passerelle di Parigi
Author Lorenzo Salamone
 

“Dove due fiumi corrono insieme”:
la storia di Saucony

Un brand nato sulle rive di un fiume in Pennsylvania ed arrivato fino alle passerelle di Parigi

La storia dell’atletica americana è anche la storia dei brand che hanno vestito con il proprio equipaggiamento tecnico i suoi sportivi. In questa lunga storia, la vicenda di Saucony è quella dell’underdog che, nei suoi 122 anni di storia, è riuscito a crearsi uno spazio fra le icone dello sportswear oltreoceano coniugando ricerca tecnica, studio dei modelli d’archivio e valori profondamente democratici. Dalle sue origini sportive fino alle ultime release, come la sneaker Grid Azura realizzata in collaborazione con Bodega o alle riedizioni del modello Jazz Originals, Saucony ha sempre giocato al suo gioco e senza rinunciare all suo heritage che si è arricchito attraverso le storie e le realtà accumulate intorno all’identità del brand nel corso dei decenni.

La storia di Saucony (la cui corretta pronuncia suona come “sawkanee”) inizia in un piccolo laboratorio artigianale di scarpe per bambini sulle sponde del fiume Saucony a Kutztown, Pennsylvania. Il marchio si specializza in running shoes tecniche, trovando la propria autentica vocazione e riscontrando un deciso successo tra le gli appassionati di atletica negli USA. La località originaria di Saucony Creek rimarrà per sempre il nucleo simbolico del brand: il logo a forma di onda presente su tutte le scarpe rappresenta proprio lo scorrere del fiume, punteggiato da tre macigni che divennero i tre cerchi che ancora oggi lo decorano. Lo stesso nome della località di Saucony viene dal termine nativo americano “saconk” che significa “dove i due fiumi corrono insieme”. Il richiamo all’elemento acquatico è un tema fondamentale nel corso della storia del brand, le cui sneaker si distinguono sempre per il loro peso sempre al di sotto della media delle altre scarpe. Nel 1958 Saucony creò la prima scarpa da running ad alta performance del mondo, conosciuta come la 7446 Spike. A quei tempi infatti non esistevano proposte dedicate al mondo del running, a dispetto della popolarità di cui la disciplina iniziava a godere in America. La compagnia andò così sviluppandosi finché verso la fine degli anni ’60 venne acquisita dalla Hyde Athletic Industries diventandone il brand di punta e trasferendo la propria sede a Cambridge,

In quegli anni si verificava in America ciò che in seguito venne conosciuto come il “running boom of the 1970s”, periodo durante il quale la corsa e il jogging divennero veri e propri sport nazionali, coinvolgendo oltre 25 milioni di americani, incluso l’allora presidente Jimmy Carter. L’evento scatenante di questo boom fu la vittoria di Frank Shorter alla maratona olimpica di Monaco, nel ‘72 - un evento sportivo che godette di uno dei maggiori media coverage di quel decennio. La vittoria di Shorter alle Olimpiadi non fu l’unico fattore di questo improvviso shift culturale: negli stessi anni i brand di atletica come Saucony erano diventati sempre più specializzati e popolari, la corsa era uno sport inclusivo e grazie ad atlete come Kathrine Switzer e Jacqueline Hansen divenne popolare anche fra le donne e ottenne riconoscimento culturale grazie ai manuali sul running di Jim Fixx e George Sheehan oltre che per la rivista Runner’s World, che ancora oggi resta aperta e divenne mensile nel ‘73. Fu proprio Runner’s World a inserire nel ‘79 due dei modelli da running di Saucony tra le migliori sneaker da running del mondo, specialmente nel caso della silhouette Hornet – menzione che spinse la domanda di sneaker Saucony ad aumentare venti volte entro l’anno seguente.

 

Il 1980 fu l’anno della Trainer 80, un altro modello storico del brand, che finì per diventare l’archetipo ufficioso delle scarpe da running made in U.S.A. Fu una delle prime sneaker del suo genere a non avere uno strato di cartone di fra suola e tomaia - un tipo di innovazione che fece scuola per tutti gli altri produttori di sneaker. L’anno dopo segnò l’arrivo della Saucony Jazz, uno dei modelli più celebri del brand che introdusse il pattern geometrico triangolare nella suola, caratteristica che divenne una delle signature del brand; nel 1983 il neozelandese Rod Dixon vinse la Maratona di New York indossando le DXN Trainer (che aveva anche contribuito a progettare) e rendendo il brand ancora più celebre ma la svolta arrivò nel 1984 quando il brand firmò con il suo primo ambassador ufficiale: l’atleta-star O.J. Simpson. In quegli anni, in cui sempre più atleti firmavano prestigiosi contratti da testimonial, Simpson provò a fare del giovane Michael Jordan il nuovo volto di Saucony. Secondo quanto raccontato dal regista del documentario The Last Dance, Jason Hehir, il brand entrò in competizione con adidas e Nike per ottenere la firma di Jordan, arrivando a offrirgli tanto quanto gli offriva il brand di Beaverton.

Dopo aver superato la fase esplosiva a cavallo fra gli ‘80 e i ‘90, Saucony arrivò alle soglie del 2000 con un nuovo progetto: tradurre il proprio heritage sportivo nel mercato delle lifestyle sneakers. Il progetto intendeva raccogliere tutte le silhouette più iconiche del brand riproponendole nell’ambito di una nuova linea che incanalasse tanto l’estetica nostalgica del passato decennio quanto le ultime innovazioni tecnologiche provenienti dal lato più atletico della produzione del brand. Fu così che, in occasione del centenario del brand, nel 1998, Saucony inaugurò la propria linea di sneaker lifestyle, Saucony Originals, che aggiornò il design di silhouette iconiche come la Jazz, la DXN, la Shadow e la Grid mantenendone intatto lo stile originale. Uno dei nuovi modelli di maggiore successo, invece, fu la Saucony Kinvara, presentata per la prima volta nel 2009, forse la prima running shoe ad applicare il concetto di natural running e creata con la collaborazione dell’atleta Thriatlon Linsey Corbin che arrivò terza alle Ironman World Championships di quell’anno indossandone uno dei primi prototipi. La Kinvara è rimasta ancora oggi una delle migliori scarpe da running in circolazione e persino la giovane promessa Molly Seidel, che dovrà rappresentare gli USA alle prossime Olimpiadi di Tokyo, ha raccontato in un’intervista a Footwear News di usarla spesso nei suoi allenamenti.

Oggi, Saucony sta vivendo una nuova evoluzione che, sempre a partire dalla minuziosa ricerca d’archivio e dalla costante innovazione tecnica, continua a produrre lifestyle sneaker dalle alte performance, rielaborando sempre i suoi modelli più classici, come nel caso della collaborazione con Bodega o con Kith che hanno dato nuovi spin alla silhouette Grid Web – un altro dei simboli del brand – o quella con WHITE MOUNTAINEERING vista alla scorsa Paris Fashion Week FW20. Collaborazione, quest’ultima, che testimonia come l’anima del brand sia ormai capace di muoversi ovunque, tanto verso il classicismo della tradizione che verso stili molto più futuristici.

Oggi, Saucony sta vivendo una nuova evoluzione che, sempre a partire dalla minuziosa ricerca d’archivio e dalla costante innovazione tecnica, continua a produrre lifestyle sneaker dalle alte performance, rielaborando sempre i suoi modelli più classici, come nel caso della collaborazione con Bodega o con Kith che hanno dato nuovi spin alla silhouette Grid Web – un altro dei simboli del brand – o quella con WHITE MOUNTAINEERING vista alla scorsa Paris Fashion Week FW20. Collaborazione, quest’ultima, che testimonia come l’anima del brand sia ormai capace di muoversi ovunque, tanto verso il classicismo della tradizione che verso stili molto più futuristici.