A Cannes è arrivato l'ultimo film di Wes Anderson, "La trama fenicia" È il solito Wes Anderson - e va bene così

Wes Anderson fa lo stesso film da anni. Bene, ora che abbiamo detto l’ovvio possiamo andare avanti. I discorsi attorno allo stile del regista di Houston, Texas, sono diventi più monotoni delle sue stesse opere, e non potrebbe esserci chiusura da parte dello spettatore più sbagliata, soprattutto quando ci si trova di fronte a opere come La trama fenicia. Che l’estetica di Anderson abbia finito per fagocitare le sue pellicole è indubbio, ma bisognerebbe anche fare un lavoro di astrazione dal distacco che le sue geometrie e i colori pastello possono legittimamente suscitare, concentrandosi più su cosa l’autore voglia raccontare e accettando che è così che vuole farlo. Liberissimi di scegliere di mettere in pausa il proprio rapporto con Wes Anderson, ma rispettando almeno l’invidiabile dote, come cineasta, di aver reso immediatamente riconoscibile il proprio stile, anche solo con un frame. Il peccato sarebbe però perdersi un divertissement come La trama fenicia, una combinazione dei temi e della formalità del cineasta, un altro film corale che riprende il rapporto padri-figli da sempre centrale nella filmografia di Anderson ma che trova un ritmo diverso dai paradigmi rigidi e rigorosi da sua costruzione espressiva e scenografica.

Il protagonista del film è Zsa-zsa Korda (Benicio del Toro), magnate e imprenditore che dopo essere sopravvissuto al sesto disastro aereo della sua vita capisce che è il momento di pensare al futuro della sua compagnia, che vuole lasciare in eredità all’unica figlia femmina Liesl (Mia Threapleton, nella vita vera progenie di Kate Winslet), decisa invece a diventare suora. Cresciuta in convento e incontratasi col padre dopo anni di assenza, la giovane accetterà di seguirlo nel tentativo disperato di salvare la propria vita e il lavoro di un’intera esistenza, volando per il mondo in un giro di incontri pericolosi e di improbabili contratti da strappare. E non c’è nemmeno da dirlo che, invece della ricchezza monetaria di Korda, ciò che di più prezioso troverà l’uomo è la vicinanza mai provata prima verso un membro della propria famiglia

La trama fenicia ripete i pattern già indagati nei film di Wes Anderson e torna sull’anaffettività parentale che allarga persino alla possibilità o meno che Korda e Liesl possano essere davvero padre e figlia, ma proprio per questa ricerca di appartenenza e di prossimità fa del rapporto tra i due personaggi un graduale percorso di conoscenza, di apprezzamento e di voglia di stare insieme. Un desiderio che forse qualunque uomo proverebbe sentendo avanzare sempre di più la fine dei propri giorni («Non so quante volte ancora potrò morire», afferma Del Toro mentre continua a sventare ogni fatalità o tentativo di assassinio). Ma altresì un’indagine su come non si ereditino solo le società o i geni dai propri genitori, bensì un intero fagotto di traumi e insicurezze che ci rendono le persone che siamo. Chi si affida alla religione, chi a lavorare come agente segreto, chi ancora diventando uno degli uomini più potenti del mondo, con la sensibilità di una roccia tanto da essere in grado di licenziare un pilota nel momento stesso in cui l’aereo sta cadendo.

Wes Anderson affonda nel bagaglio emotivo che si portano dietro i personaggi, chiusi nella sua simmetria inamovibile, solida come lo sono al solito le infrastrutture dei suoi film, mentre gli attori - e il montaggio - si muovono stavolta più imprevedibili, come fossero schegge impazzite. Il regista olia i meccanismi che inceppano la capacità di relazionarsi all’altro, non perdendo mai quel pizzico di cattiveria e impertinenza che forse l’estetica delle sue pellicole può far dimenticare a colpo d’occhio, ma che è sempre presente nelle storie, battute e a volte anche nelle svolte delle sue narrazioni. Fedele alla propria vocazione stilistica, al contrario di come altri (i loro, “them”, del film) vorrebbero, a La trama fenicia rubiamo ciò che Liesl dice al proprio padre: «Mi aspetterò sempre il peggio da te». E se questo è il peggio che Wes Anderson sa fare, ben venga.