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La storia della Lamborghini Countach

In occasione del grande ritorno del modello Lamborghini Countach LPI 800-4

La storia della Lamborghini Countach In occasione del grande ritorno del modello Lamborghini Countach LPI 800-4

La settimana scorsa, la leggendaria Lamborghini Countach ha fatto il suo ritorno dopo trentun’anni di assenza dai cataloghi con il nuovo modello Countach LPI 800-4. L’azienda di Sant’Agata Bolognese aveva interrotto la produzione della supercar nel 1990 dopo averla presentata al Salone di Ginevra per la prima volta nel lontano 1971 – un ventennio durante il quale la Countach era diventata un’icona del design automobilistico italiano, resa celebre dalla sua silhouette cuneiforme e dai suoi sportelli che si aprivano verticalmente.

Oggi, il nuovo modello è diverso da quello originale: motore V12 ibrido con potenza complessiva di 814 cavalli, velocità massime di 355 km/h, passaruota decorati con esagoni, eliminazione degli alettoni e integrazione degli airscoop. Nondimeno, questo nuovo modello di Countach si fonda quasi del tutto sull’heritage lasciato dai celeberrimi modelli di Countach prodotti nel passato e diventati un pezzo di cultura pop.

Com’è nata la Countach?

Disegnata da Marcello Gandini per Bertone nel ‘71, la principale caratteristica della Countach era, all’epoca, la sua assoluta e quasi futuristica semplicità. La superficie quasi piana della parte anteriore; la geometria lenticolare, ad arco, che ne caratterizzò tutto i modelli successivi; la forma cuneiforme con i fari a scomparsa, quasi affilata sul cofano – tutte le caratteristiche dell’auto erano il compimento dell’evoluzione di un linguaggio di design che il Gruppo Bertone aveva già portato avanti negli anni precedenti con auto come la Lancia Stratos Zero, la Chevrolet Testudo e l’Alfa Romeo Carabo e portato avanti negli anni successivi con la Ferrari Rainbow, la Lamborghini Athon e la Lancia Sibilo. Aerodinamicità, spigoli vivi, forma arcuata, fari a filo o a scomparsa: questa era l’idea di supercar negli anni ’70, aggressiva e ipergeometrica.

La corsa più pazza del mondo (1981)

Il modello disegnato da Gandini era insieme semplicissimo nel suo uso elementare delle geometrie ma anche sottilmente over-the-top con le porte che si aprivano verso l’alto che tanto piacquero a Ferruccio Lamborghini, il parabrezza enorme, il volume compatto, la ridotta altezza e il frontale tagliente. Alcune modifiche furono necessarie quando il modello entrò in produzione nel 1973 con la Countach LP400, come ad esempio un telaio tubolare e non autoportante, un motore da quattro litri invece che da cinque, i convogliatori sul retro per il radiatore, l’altezza del frontale e soprattutto l’inserimento di uno specchietto retrovisore interno invece che esterno – presente invece nel prototipo. Negli anni successivi l’essenzialità del design originario venne modificata con l’aggiunta di alettoni, parafanghi, elementi aerodinamici e modifiche al cofano che le fecero perdere la rigorosa geometria dell’originale, comunque impossibile da replicare sul piano produttivo, in favore di performance sempre più alte. Venticinque anni fa, comunque, la produzione della Countach venne interrotta, fino a oggi, anno in cui Mitja Borkert e il team di Lamborghini l’hanno fatta tornare in produzione, con ulteriori modifiche.

Il mito di un’auto

Mai come oggi, la nostra immaginazione è affascinata dalle forme del passato. E le auto d’epoca, specialmente gli angolosi modelli anni ’70, hanno fatto il loro ritorno un po’ ovunque su Instagram cavalcando l’onda dei moodboard vintage e di modelli di successo come il Cybertruck di Tesla. Nello specifico la Countach divenne celebre grazie a film di culto come nella triologia de La corsa più pazza del mondo, in cui è protagonista di una strabiliante sequenza d’apertura che la immortalò come simbolo del genere della carsplotation – ossia tutti quei film basati sui lunghi inseguimenti e sulle acrobazie alla guida di cui la saga di Fast & Furious è il più recente discendente. Inoltre, la Countach divenne un modello amato dai collezionisti come Mario Andretti, Gerhard Berger e Rod Stewart.