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La crisi degli Oscar e la fine dell'award season

Quando la cerimonia più importante del cinema diventa "really boring"

La crisi degli Oscar e la fine dell'award season  Quando la cerimonia più importante del cinema diventa really boring

Pochi giorni fa, durante la promozione del suo nuovo film The Phantom of the Open, Mark Rylance ha dichiarato che quest’anno non parteciperà alla cerimonia degli Oscar in programma domenica 27 marzo. «Non penso che gli award siano un vero termometro di quali siano davvero le cose più importanti» ha dichiarato l’attore premio Oscar, per poi etichettare l’intera cerimonia come «molto noiosa». Le dichiarazioni di Rylance in realtà sono solo l’ultimo episodio di delegittimazione non solo degli Oscar, ma del concetto stesso di “award”, passati dallo stato di ambito riconoscimento a quello di un noioso impegno di cui liberarsi come fosse la reunion con i vostri compagni di classe del liceo. La crisi dei premi, se così possiamo definirla, sembra non voler risparmiare nessuno e dopo un’edizione dei Golden Globes svoltasi in privato e senza alcuna diretta (i vincitori sono stati comunicati successivamente con un comunicato stampa), si appresta a investire gli Academy Awards e i Grammy. Dopo un’edizione con gli ascolti più bassi di sempre, anche questa volta gli Oscar sono tornati a fare i conti con quello che sembra essere sempre di più un distacco dalla realtà, uno scollamento con i gusti del pubblico che, nell’anno in cui la sala cinematografica è stata salvata da blockbuster come Spider-Man: No Way Home e The Batman, sono corsi ai ripari creando una categoria social per dare la possibilità ai fan di votare il loro film preferito tramite Twitter.

Ma basterà davvero? Mentre CODA si è portato a casa la statuetta come Miglior Film, e qualcuno è già pronto a lamentarsi dello strapotere di Apple, si sono ripresentate puntuali come poche altre cose le polemiche sulla formula della cerimonia, notoriamente lunga e noiosa, che da anni, per esigenze di palinsesto e di ritmo, ha deciso di escludere dalla diretta televisiva alcune categorie, premiate durante le pause pubblicitarie.  Ma dopo alcuni goffi tentativi di rimediare alla polemica #OscarsSoWhite e abbandonata la formula di un unico presentato in favore di un gruppo di celebrities che si alternano sul palco, eredità della polemica che nel 2019 portò all’addio di Kevin Hart, la perdita di rilevanza degli Academy Awards è da ricercare principalmente in un cambio all’interno delle dinamiche dell’industria cinematografica, che con l’avvento dello streaming e con sempre meno film distribuiti esclusivamente in sala, è sempre più legata ai grandi titoli, i blockbuster molto spesso snobbati dall’Academy. Se i cambiamenti nell’industria stanno contribuendo al declino degli Oscar, lo stesso si può dire dei Grammy, i riconoscimenti più importanti del mondo musicale ormai in continua rotta con gli artisti.

Dopo la polemica dello scorso anno con The Weeknd, deciso a boicottare i premi dopo l’esclusione dalle nomination nella passata edizione, la recente scelta di cancellare l’esibizione di Kanye West, che potrà comunque partecipare alla cerimonia, ha creato un ulteriore gruppo di scontenti pronti a voltare le spalle ai Grammy. Da sempre accusata di razzismo, questa volta contro la Recording Academy si è schierato J. Prince, founder della label Rap-A-Lot, che ha chiamato a raccolta alcuni degli artisti più rappresentativi della scena rap americana per mettere in piedi un evento in programma il 4 aprile, la stessa sera dei Grammy. Al di là di come andrà a finire l’iniziativa di J. Prince, la rottura tra il mondo dell’hip-hop, probabilmente il genere più importante dell’intera industria musicale, e la Recording Academy è il segno di una spaccatura inconciliabile tra realtà e finzione, tra il volere popolare e quello di un’istituzione mai imparziale e per molti versi vecchia e sorpassata. Se davanti al passare del tempo e al cambio degli equilibri nessuna delle parti in causa riuscirà a rispondere nel modo giusto, cambiando ed evolvendosi, allora probabilmente assisteremo davvero alla lenta e progressiva fine del fascino dei premi, pronti a diventare degli ingombranti fermaporta capaci solo di prendere polvere sulla mensola di qualcuno benvisto dall’industria.