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Fare la maturità con il Covid-19

I pensieri di un maturando su un momento della sua giovinezza che non tornerà mai più

Fare la maturità con il Covid-19 I pensieri di un maturando su un momento della sua giovinezza che non tornerà mai più

Sono le 8.00 di giovedì 7 maggio e sto scrivendo quest'articolo facendo finta che sia la prima prova d'italiano dell'esame di maturità per l'anno scolastico 2019/2020. Lo faccio perché quest'anno non ci sarà nessuna prima prova d'italiano. Quest'anno, in effetti, per noi della classe 2001 sarà tutto diverso: nessuna prima prova, nessuna seconda prova. Ci sarà solo la terza, quella orale, in modalità che ci sono ancora sconosciute. 

Ho sempre visto il quinto anno di superiori come un periodo da custodire gelosamente nei propri ricordi - un periodo che, fra l'altro, la cultura popolare ha trasformato in un pezzo di mitologia personale, una soglia importantissima di cui la maturità è il rito di passaggio. Un rito celebrato e raccontato da film, libri e canzoni in quella che è una vera poesia epica dell’ultimo anno di liceo, con tutti i suoi significati.

Tutti quei significati sono andati parzialmente perduti quest'anno, noi siamo tutti orfani di quest’esperienza collettiva che non vivremo mai più. E anche se un esame ci sarà comunque, il ricordo della classe del 2001 sarà diametralmente opposto a quello di chiunque altro. Le simulazioni in classe, l'ultima campanella, le lunghe ore di studio e disperazione che precedono le prime due prove e poi la notte prima degli esami: tutto negato - o meglio, dirottato - da un microrganismo chiamato Covid-19.

Saranno 460.000 i ragazzi e ragazze che quest'anno affronteranno l'Esame di Stato. Mi auguro che nessuno dei miei coetanei abbia espresso il desiderio di perdersi la maturità come l’abbiamo sempre sentita raccontata da chi ci era già passato. Me lo auguro perché credo che mai a nessuno dovrebbe essere negata la possibilità di affrontare quel rito di passaggio, simbolico della maturità vera, che è quasi un diritto - come quello allo studio che ci ha tenuto sui banchi per così tanti anni.

Ma la verità è che, da quando il coronavirus è arrivato in Italia, si è finito di studiare dignitosamente. I quotidiani non si stancano di ripetere che le videolezioni sono state in grado di sostituire le lezioni in classe, permettendo agli alunni di completare ugualmente il programma, con  il Ministro dell'Istruzione Azzolina che ritiene la didattica a distanza un successo. Tutta retorica consolatoria, tutto facile ottimismo. Come si può credere che la didattica a distanza funzioni se da un giorno all'altro la si promuove a metodo di insegnamento ufficiale senza neanche averla sperimentata una volta? Tutti quanti, alunni e professori, si sono ritrovati incatenati a un sistema di insegnamento malcerto e inadeguato. Assistere a delle lezioni online dalla propria stanza, senza interazione personale, di un'ora o più tutti i giorni non solo è logorante, ma anche scomodo e controproducente. In situazioni come questa, gli studenti vanno stimolati e incoraggiati, non abbandonati a un dispositivo con connessione WiFi per provare a concludere un anno scolastico sciagurato. 

E si raggiunge veramente il colmo quando si considera che, a poco più di un mese dal fatidico 17 giugno, inizio ufficiale dell'esame, non si hanno ancora notizie ufficiali circa le modalità secondo cui si svolgerà la prova orale. Pare che l'affronteremo in classe, ma in che modo? A tal proposito, anche i dirigenti e i docenti dei vari istituti si interrogano sui contorni che assumerà l'Esame di Stato di quest'anno. Nel frattempo, nazioni come Inghilterra e Olanda, comprendendo lo scenario drammatico in cui ci troviamo, hanno già da tempo annullato il loro esame di maturità, annunciando che gli studenti verranno valutati tenendo presente il loro percorso di studi.

Nel mezzo di questo marasma generale, tutti pensiamo anche al futuro, perché ci hanno sempre insegnato che la maturità sembra sempre lontanissima, ma poi arriva e ci saluta in un baleno. E allora è giusto immaginarci già proiettati nel domani, chi già al lavoro, chi all'università. Oggi penso a tutti coloro che dovranno affrontare un esame di ammissione tra qualche mese e non sapranno come comportarsi. Penso anche a chi vorrà subito entrare nel mondo del lavoro, come i miei compagni della scuola alberghiera: come si entra in un settore bloccato, come quello della ristorazione, e che non sa come ripartire a causa del coronavirus? Leggo disappunto, indecisione e preoccupazione sul volto mio e dei miei compagni mentre si conversa tramite uno schermo di quello che verrà.

Il pensiero allora salta una generazione, va ai ragazzi della classe del 2002, a loro e a chi dopo di loro potrò affrontare una serena maturità. Spero possano viverla appieno, con le sue gioie e le sue paure, anche per noi malcapitati, che è l'unico aggettivo con cui riesco a descriverci. Penso anche ai professori, che per cinque anni ci hanno tenuto per mano in un viaggio dal finale amaro , terminato a pochissimi chilometri prima del traguardo. Penso ai genitori di tutti i miei coetanei, giustamente preoccupati per la sorte dei propri figli.

In particolare, però, penso a noi ragazzi, che questa maturità l'abbiamo attesa, sospirata, sognata, temuta, e ora ce la vediamo sfuggire di mano. Non meritavamo che finisse così - ma sapremo trarne un insegnamento diverso, un tipo di insegnamento che a distanza non si può impartire e che servirà per tutta la vita: non tutto è scontato o prevedibile ma le difficoltà rafforzano la mente, come la fatica rafforza il corpo.