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Il reggae è patrimonio dell’UNESCO

Per il suo contributo alla presa di coscienza internazionale "sulle questioni di ingiustizia, resistenza, amore e umanità"

Il reggae è patrimonio dell’UNESCO  Per il suo contributo alla presa di coscienza internazionale sulle questioni di ingiustizia, resistenza, amore e umanità

Da oggi il reggae è parte dei tesori culturali globali delle Nazioni Unite. Il suo merito? Aver contribuito alla presa di coscienza internazionale "sulle questioni di ingiustizia, resistenza, amore e umanità". Il suo potente ritmo in levare e la filosofia One Love fatta di rispetto, tolleranza, pace e amore hanno segnato profondamente milioni di persone in tutto il mondo e restano ancora oggi resta incredibilmente attuali, ma le sue radici sono più antiche. Affondano nella musica degli schiavi africani portati in Giamaica dagli europei, negli indiani Arawak che ancora prima abitavano l’isola, nel calypso di Trinidad, musica afroamericana che arrivava dagli Stati Uniti, negli elementi spirituali e ribelli legati alla religione Rastafari.

 

Il reggae, portato al successo da Bob Marley (prima grande star internazionale venuta dal Terzo Mondo) e Peter Tosh, ha molte sfaccettature: canto religioso, fenomeno pop, preghiera, simbolo di impegno e lotta. Parafrasando lo scrittore Franco Bolelli, in esso abitano simultaneamente la possibilità della liberazione e lo svago banale, la tensione verso la divinità e la carnalità più immediata. Ha rappresentato la vita, il riscatto sociale, pace e rabbia insieme, con un appeal e una emotività impossibili da ignorare, ma allo stesso tempo diretta, semplice e per questo immensamente potente.