
"Cinque secondi" insegna che si può sempre tornare a vivere Paolo Virzì dirige Valerio Mastandrea in una storia di perdita e rinascita
Ci vuole così poco per cambiare una vita. A volte anche solo Cinque secondi. Capita al personaggio di Adriano Sereni del film di Paolo Virzì, interpretato da Valerio Mastandrea, che vede sfuggirsi dalle mani la famiglia, il lavoro, la pace che aveva attorno a seguito di una svista che gli è costata tutto. L’uomo sceglie così di convivere con una conseguenza che finisce per invadere qualsiasi suo spazio, un’esistenza che smette di essere tale poiché, in ogni attimo, riverbera ciò che ha fatto.
Un incidente che lo renderà un solitario, un eremita. Che lo chiuderà in se stesso come chiuso è anche nelle vecchie stalle di una tenuta ristrutturata e utilizzate come B&B dove Adriano vuole vivere crogiolandosi nella propria colpa e non incontrando nessuno. Tutto cambierà quando, nella sua fortezza lontana da tutti, farà breccia un gruppo di ragazzi che vogliono risanare la vigna della villa del vecchio conte, finendo per coinvolgerlo nella loro impresa e facendolo tornare, gradualmente, alla vita.
È uno scambio di visioni quello che avviene in Cinque secondi. Due cosmi che collidono, diversi eppure che si fondono, che portano sguardi differenti sulla vita, la genitorialità, lo stare al mondo. Adriano, con un Mastandrea che è solito tirare fuori la sua rudezza in personaggi non sempre accoglienti e morbidi, finirà per tornare a una parvenza di esistenza proprio quando dei giovani così diversi da lui gli faranno scoprire che la vita non è destinata a fermarsi, nemmeno quando ciò che avviene sembra dire il contrario.
Ovviamente la dicotomia tra il protagonista e i giovani è netta e un po’ facile nell’essere tracciata. La scrittura cerca di svincolarsi da alcune retoriche come quella dei ragazzi e le ragazze che “non vogliono fare nulla” mostrando come la comune è formata in realtà da studiosi, accademici e scienziati, ma è chiaro che Virzì e i fidi collaboratori Francesco Bruni e Carlo Virzì scivolino comunque in un involontario - seppur perdonabile - paternalismo. Non pedante o fastidioso, dettato solamente e probabilmente dal background degli autori, che comunque si sforzano di non sembrare bacchettoni e che a questi giovani intraprendenti si sente che vogliono bene, così come finirà per volergliene il protagonista.
Anche se, tra tutti, ad essere più amata, e così anche dagli spettatori, è la scheggia impazzita di Valeria Bruni Tedeschi, nel ruolo di un’amica e collega di Adriano, un’avvocata che cerca di trascinarlo via dalla tana in cui si è rinchiuso, gioiosa e disperata come solo l’attrice sa essere nell’impersonare le sue donne spettinate. Mentre l’uomo preferisce finire divorato dai propri stessi sensi di colpa, la sua Giuliana tenta di tirarlo via restituendo in poche scene un intero universo che ci parla di lei come persona singola, ma anche come pianeta che ruota intorno al protagonista. Confidente ma potenziale amante, innamorata eppure libera e indipendente, la personaggia ruba la scena e infonde in Cinque secondi un afflato di dolore e tenerezza, di irresistibile tenacia e fragilità.
Che è poi come comincia a ri-crescere la vigna accudita dalla comunità, dimostrando che da soli si è destinati a marcire e seccare, mentre insieme si può rinascere, anche quando si è stati a contatto con la morte. Semplice e portata all’essenziale, toccata dalla tragedia ma impossibilitata a non raccontare che c’è sempre l’opportunità di ritrovare un senso per vivere, Cinque secondi è un’opera sul dover e poter ricominciare a respirare. Anche quando sembra inconcepibile, anche quando non se ne avrebbe più voglia.












































