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La nuova stagione di Monster è la migliore della trilogia Lo show non solo riporta le gesta scabrose del serial killer, ma riflette sulla nostra fruizione da spettatori

Su Netflix dal 3 ottobre è arrivata la nuova stagione della trilogia Monster, stavolta dedicata alla figura di Ed Gein. Ad interpretarlo c’è Charlie Hunnam, che lo show cerca di imbruttire pur non riuscendoci, e in cui la sospensione dell’incredulità va definitivamente a farsi benedire quando, in più contesti, dall’ossessione di Gein per la lingerie femminile ai rapporti sessuali intrapresi con dei cadaveri, l’uomo viene mostrato col suo fisico scolpito, non particolarmente tipico dei contadini degli anni Quaranta del Wisconsin. L’attore britannico però si sforza in tutti i modi, lavora di mimica e usa un continuo falsetto per alterare la voce e, così, permette di entrare abbastanza nelle puntate di Monster - La storia di Ed Gein, riuscendo anche a renderle godibili.

Ed è esattamente qui che vuole portarci lo showrunner Ian Brennan, fedelmente accompagnato per l’intera stagione dalla regia di Max Winkler: nella posizione scomoda di dire che un prodotto come Monster può essere piacevole da guardare. In fondo, questa sensazione di comfort era arrivata a livelli tali nel 2022 quando uscì la prima stagione, La storia di Jeffrey Dahmer, che eBay decise di togliere i costumi ispirati al cannibale di Milwaukee per impedire che le persone ci si travestissero ad Halloween. Un’immagine, quella del serial killer in quel caso interpretato da Evan Peters, che venne elevata a icona di stile generando un cortocircuito tra ciò che una serie su un serial killer potrebbe o dovrebbe suscitare.

La trama di Monster - La storia di Ed Gein

Dopo due anni a studiare come rendere “affabili” i serial killer agli spettatori, con Monster - La storia di Ed Gein è arrivato il momento per la serie di ribaltare i ruoli e non raccontare più come i protagonisti siano mostri per ciò che hanno fatto, ma di come lo siamo anche noi che abbiamo finito per banchettare sulle loro vite in un continuo ricorso all’intrattenimento true crime. Non solo realtà, però: anche la sua rivisitazione, la fantasia che compie degli innesti, che rende il terrore non solamente un sentimento ma un’immagine ben precisa, veicolata da foto, fumetti, filmati e cinema. È il tipo di spettatori che siamo diventati che tratta La storia di Ed Gein, infarcendola di accadimenti veri ed altri rivisitati, introducendo personaggi esistiti ma ampliandone l’influenza, giocando sulla speculazione più che sull’attendibilità per costruire un’analisi critica che non per forza deve avere un’aderenza con i fatti.

È l’occhio e come viene colpito su cui discorre la serie, il cui montaggio ne veicola con baldanzosità i costanti salti temporali e immaginifici. Il primo è quello di Ed Gein stesso, delle fotografie dei campi di concentramento, di come gli orrori della Seconda Guerra Mondiale abbiano attivato qualcosa nella sua psiche che è stata tradotta nella pelle scuoiata dalle donne che uccideva e con cui fabbricava i propri mobili e utensili, sulla scia della sua musa e mentore Ilse Koch, la Strega di Buchenwald.

Chi è Ed Gein?

Ed Gein soffriva di un disturbo schizofrenico dovuto ai continui soprusi perpetrati dalla madre, attivati al punto da uccidere e scorticare le sue vittime. Davanti a un personaggio del genere, il pubblico sano viene preso di mira dallo show, eppure freme per poter sbirciare sempre di più nello scabroso delle gesta di questi personaggi. Vuole saperne di più, vedere di più.

Prendendo una delle pagine più macabre della cronaca statunitense, Monster - La storia di Ed Gein ci dice che tutto ciò che vuole mostrarci, che ci mostra, che anche altri ci mostrano, è frutto di una mente malata che non necessariamente è solo quella dei mostri che ritrae. Che la curiosità morbosa ha fruttato la notorietà di molti e che siamo stati noi ad accrescerla. Che se l’essere umano, i registi, gli spettatori si sono spinti ogni volta un pelo oltre è perché il sangue e l’orrore diventano una dipendenza di cui non se ne ha mai abbastanza, la stessa che accettiamo, anzi, bramiamo soprattutto all’interno del piccolo o del grande schermo.

L'ossessione del pubblico per il true crime

C’è così chi ha usato l’eco di Gein per smuovere le masse, come nelle intenzioni di Tobe Hooper col suo Non aprite quella porta. Ma ciò di fronte a cui vuole mettere la nuova stagione di Monster è il dare senso alla propria stessa esistenza, al suo spazio su uno streamer così popolare come Netflix e tutto perché è il pubblico che lo vuole. È lo stesso pubblico che usciva dalle sale durante le proiezioni di Psycho di Alfred Hitchcock e che, nonostante lo shock, ne ha fatto un successo commerciale per il regista inglese.

Ma era esattamente questo il meccanismo che metteva in atto Monster quando arrivò per la prima volta su Netflix: l’esplorazione del privato e persino delle motivazioni che spingevano un “mostro” a compiere le azioni più terribili, spesso dettate da disturbi e disagi non curati in tempo e persino alimentati dall’ambiente familiare. Ed ecco che Monster - La storia di Jeffrey Dahmer divenne un caso perché faceva empatizzare con il maniaco protagonista, non cercando di giustificarlo ma rendendolo qualcuno con cui simpatizzare.

C’è anche da considerare che per eventi come quelli di Dahmer e dei fratelli Lyle ed Erik Menendez, protagonisti della seconda stagione, la psicologia è sempre un elemento imprescindibile da tenere presente,  ce lo ha insegnato Mindhunter prima ancora che la piattaforma si mettesse a romanzare i più noti serial killer statunitensi. E, per quanto qualcuno potesse trovarle come giustificazioni o finanche assoluzioni per i crimini commessi, c’è da riconoscere che le storie di Monster provavano ad approfondire aspetti disturbanti e complessi della mente umana, pur spesso e molto volentieri romanzandole. È anche il pubblico ad aver trasformato questa dinamica in successo: ha fatto incassare più di 30 milioni di dollari a Non aprite quella porta, un botteghino considerevole per un’opera indipendente del 1974, e nel 2022 ha discusso tanto di La storia di Jeffrey Dahmer da far commissionare a Netflix altre stagioni (con la presenza di Ryan Murphy che aleggia anche in questo caso come produttore esecutivo).