
Primark e il paradosso della moda accessibile Qualcuno ci spieghi perché aveva bisogno di una sfilata
Ultimamente Primark si sta impegnando per ripulire la propria immagine. Sul sito ufficiale, il brand afferma di aver istituito un «team per la sostenibilità ambientale che si impegna sul campo per portare alla luce le problematiche ecologiche presso i nostri fornitori e all'interno dei loro stabilimenti». A gennaio 2020, inoltre, sono state lanciate linee guida sulla sostenibilità ambientale dei fornitori. Tuttavia, per quanto un'azienda che produce ogni anno una quantità di abiti e articoli paragonabile a quella dei colleghi Shein (che nel 2024 ha catalogato ben 1,3 milioni di articoli sulla sua piattaforma), Temu o Zara possa dichiarare il proprio impegno per ridurre il proprio impatto ambientale, resta pur sempre parte del sistema fast fashion. In questa cornice, ieri Primark ha debuttato per la prima volta a Milano con una sfilata definita «accessibile», ospitata all’interno del proprio store e aperta al pubblico.
@_chemitei Fast fashion is here to stay... in landfills and water ways
L’evento ha visto la partecipazione di una modella e content creator che utilizza la sedia a rotelle, e ha segnato il lancio della linea adattiva del marchio: una collezione pensata per chi necessita di capi specifici per esigenze motorie. «Siamo entusiasti di portare la nostra moda accessibile in passerella, rendendola alla portata di tutti», ha dichiarato Luca Ciuffreda, Direttore di Primark Italia. Un passo avanti, almeno in apparenza, verso una maggiore attenzione alle persone con disabilità. Ma la moda accessibile tanto celebrata dal brand di fast fashion non è così inclusiva come è stata dipinta.
@fashionmaverick Last year Primark discarded appx 800 million of clothing. This staggering figure underscores the company’s ongoing challenges with overproduction and waste in fast fashion industry. #fastfashion #primark #fashion #fashiontiktok #sustainablefashion original sound - FASHIONMAVERICK
La scelta di Primark di presentarsi alla Milano Fashion Week con una sfilata definita «accessibile e inclusiva» solleva più di un dubbio sul reale intento di questa operazione. Come si può parlare di inclusività quando il brand stesso contribuisce a perpetuare un modello insostenibile di produzione, ad alto impatto sociale e ambientale? Primark, infatti, non rende noto il numero esatto di capi prodotti ogni anno (un dato che renderebbe evidente l’impatto delle sue catene di fornitura), dato che il 98% della produzione è affidato a fornitori esterni, con ben 407 fabbriche solo in Cina (ottobre 2024), senza contare quelle attive in Bangladesh, India e altri paesi dove i costi sociali e ambientali sono altissimi.
La sfilata apparentemente etica che rivendica un approccio "vicino al pubblico" sfocia in un evidente paradosso. La retorica di una moda “democratica” si rivela quindi parziale e contraddittoria: come puoi sostenere di essere dalla parte dei consumatori, quando è stato dimostrato infinite volte che l'intero sistema aziendale del fast fashion è nocivo per le persone tanto quanto per l'ambiente?















































