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Alla Gen Z non piace lavorare da casa Contrariamente a quanto si pensa, i più giovani chiedono spazi di socialità, non solo flessibilità

Sulla Gen Z se ne sono dette tante, soprattutto riguardo al loro approccio al mondo del lavoro. Quiet quitting, smart working, home working: sono termini che stanno definendo un periodo storico che ha come protagonisti i giovani che si affacciano per la prima volta nel mercato del lavoro. In generale, i giovani della Gen Z sono stati spesso dipinti come i meno interessati nei confronti dell'impiego, o comunque i più refrattari alle dinamiche lavorative tradizionali. Un recente studio commissionato da Gallup però ribalta alcune di queste convinzioni, rivelando che i lavoratori della Gen Z sono in realtà la generazione meno propensa a preferire un lavoro esclusivamente da remoto. I dati mostrano infatti che solo il 23% dei dipendenti statunitensi della Gen Z dichiara di preferire un lavoro completamente da remoto, rispetto al 35% di tutte le generazioni più anziane. Dietro questa apparente contraddizione si nascondono motivazioni profonde che riguardano il bisogno di connessione, crescita e supporto. La ricerca di Gallup evidenzia infatti un dato che potrebbe essere allarmante: la Gen Z è la generazione più solitaria al lavoro. I giovani lavoratori intervistati registrano la valutazione più bassa del proprio benessere e hanno quasi il doppio di probabilità in più sentirsi soli per gran parte della giornata rispetto alla Generazione X. Per molti di loro, dunque, l'ufficio rappresenta molto più di un semplice luogo di lavoro: diventa un'opportunità fondamentale di relazione e apprendimento diretto. Paradossalmente, però, anche quando adottano modalità ibride, spesso i giorni scelti per recarsi in ufficio non coincidono con quelli dei colleghi. Secondo i dati, sebbene il 66% dei Gen Z "ibridi" sia obbligato a recarsi in ufficio alcune volte la settimana, questa frammentazione riduce significativamente le possibilità di interazione significativa.

Per comprendere meglio questa tendenza della Gen Z verso la presenza fisica, è utile confrontarla con l'atteggiamento della generazione che l'ha preceduta nel mondo del lavoro. Il confronto con i Millennial mette infatti in luce differenze sostanziali nell'approccio al lavoro da remoto. Mentre la Gen Z sembra orientarsi verso un equilibrio tra presenza fisica e flessibilità, i millennial mostrano un attaccamento molto più consolidato al lavoro remoto. E i numeri parlano chiaro: sempre secondo Gallup, il 41% dei lavoratori Millennial attualmente in modalità ibrida afferma che cercherebbe un nuovo impiego se non avesse più la possibilità di lavorare da remoto, mentre tra i Gen Z questa percentuale scende al 32%. Anche in termini di percezione della produttività emergono differenze significative. Quasi la metà dei Millennial, il 49%, dichiara di sentirsi più produttiva lavorando da casa o fuori ufficio, rispetto al 37% della Gen Z. Questi ultimi, al contrario, sembrano riconoscere un valore maggiore alla presenza fisica in sede: il 32% si dichiara più produttivo in ufficio e un ulteriore 31% ritiene indifferente il luogo da cui si lavora. I dati riflettono una realtà generazionale precisa - i Millennial hanno ormai integrato completamente il lavoro remoto come parte della loro normalità professionale, avendolo sperimentato durante anni cruciali della loro carriera e avendo pure beneficiato dell’ufficio. La Gen Z, invece, più giovane e spesso all'inizio del proprio percorso lavorativo, tende a vedere nell'ufficio una risorsa insostituibile per imparare.

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Dunque il rapporto tra Gen Z e lavoro sembra orientarsi verso un modello ibrido intenzionale, studiato per conciliare la flessibilità con connessione, sviluppo e benessere. Come riporta il Financial Times, la Gen Z sta ridefinendo completamente le aspettative professionali, cercando ambienti che valorizzino trasparenza, sostenibilità, diversità e inclusione. Questo cambiamento si inserisce in un contesto più ampio caratterizzato dal fenomeno del «Great Detachment», dove molti lavoratori,  Gen Z in primis, adottano comportamenti come quiet quitting o quiet vacationing per tutelare la propria salute mentale e il work-life balance. Secondo quanto riportato dal New York Post, questo movimento evidenzia una crescente disconnessione dal lavoro tradizionale, con una stima attorno al 30% della forza lavoro come «non engaged», con un costo globale di circa 8,8 trilioni di dollari in produttività persa. La Gen Z è forse la più studiata e analizzata della storia, eppure continua a sorprendere con comportamenti contraddittori come è giusto che sia. Se da un lato viene descritta come digitalmente nativa, predisposta al lavoro remoto, o peggio fannullona, dall'altro i dati mostrano una realtà più sfaccettata.