
La carriera musicale di Mia Martini in 10 canzoni
30 anni senza una delle voci più importanti d'Italia
12 Maggio 2025
Il 12 maggio 1995 ci lasciava quella che insieme a Mina è generalmente considerata la più grande interprete della musica italiana, Mia Martini. Nata Domenica Rita Adriana Bertè il 20 settembre 1947, la cantautrice calabrese resta tutt'oggi uno dei più grandi riferimenti dell'industria musicale italiana, con tanto di riferimento al Festival Della Musica Italiana per il Premio alla Critica. A trent'anni dalla sua scomparsa, per renderle omaggio abbiamo deciso di ripercorrere tutta la carriera musicale della cantante attraverso 10 canzoni pubblicate nel corso di tre decadi:
1. I miei baci non puoi scordare – 1963
Il suo primo brano in assoluto, prima ancora di diventare famosa come Mia Martini, viene pubblicato nel 1963 a nome Mimì Bertè. Si tratta, in realtà, di una cover di You Can Never Stop Me Loving You scritta da Ian Samwell e pubblicata in quello stesso anno sia da Kenny Lynch che da Johnny Tillotson. La versione italiana rientra perfettamente nei canoni di quella che era la moda musicale italiana del periodo, caratterizzata dalle cosiddette «ragazze yè-yè», ovvero cantanti molto giovani con voci squillanti che eseguivano canzoncine allegre e senza impegno.
2. Padre davvero – 1971
Nel 1971 Domenica Bertè rinasce artisticamente come Mia Martini grazie al proprietario del Piper – storico locale romano – Alberigo Crocetta, che decide di ingaggiarla subito dopo aver visto una sua esibizione. L’unica condizione è che si cambi il nome con qualcosa di più accattivante ed esportabile anche all’estero. “Mia” viene scelto come omaggio all’attrice Mia Farrow, mentre per il cognome bisognava trovare un nome italiano famoso e facile da pronunciare. Le opzioni che le vengono proposte sono tre: spaghetti, pizza e Martini. Scelto il nome, Mia comincia a fare sul serio e incide un singolo destinato a far discutere. Il brano, che sembra un chiaro atto d’accusa verso il padre, diventa il manifesto del conflitto generazionale di quegli anni perché riesce a tratteggiare in maniera dura la distanza tra genitori e figli: ogni volta che Mia urla «Padre davvero» con quella “a” prolungata sembra quasi voler esplodere un colpo di pistola con la voce. Forse proprio per evitare che ci siano troppi “feriti”, la canzone viene presto bandita dalla programmazione pubblica, ma il pezzo riesce comunque a farsi strada tra la gente.
3. Piccolo uomo – 1972
La canzone parla della fine di una relazione che la protagonista non vuole accettare. Stando a quanto dice l’autobiografia dell’altra sorella famosa della famiglia – Loredana Bertè – il brano nasce dalla volontà di mettere in musica un invaghimento di Mimì nei confronti di un uomo che lavorava all’ingresso delle discoteche romane. In realtà, non sappiamo con certezza quanto ci sia di biografico nel brano, il cui testo porta la firma di Bruno Lauzi e Michelangelo La Bionda, mentre la musica è di Dario Baldan Bembo. Quello che sappiamo per certo è che, nonostante le titubanze iniziali dei suoi autori, il brano cantato da Mia si impone al Festivalbar del 1972 e lancia la cantante verso una nuova ondata di successo, abbinato anche a un nuovo look, fatto di trucco abbondante, vestiti colorati, piume e cappelli - o capelli - stravaganti. Qualche anno più tardi Tv Sorrisi e Canzoni, la descriverà dicendo che Mia «pareva essere inciampata in una cometa», a riprova del fatto che il suo posto ormai era certamente lì in alto fra le stelle del firmamento.
4. Minuetto – 1973
Nel 1973 arriva poi il pezzo che da solo vale una carriera ed è ancora una volta un testo scritto da un uomo che si adatta perfettamente al suo sentire più profondo. La penna in questo caso è quella di Franco Califano, che le dona un testo su amore malato a cui non si riesce a dire di no («Tante volte vorrei dirti no! / e poi ti vedo e tanta forza non ce l’ho / il mio cuore si ribella a te, ma il mio corpo no!») e che si protrae senza una vera fine («e continuo sulla stessa via / sempre ubriaca di malinconia»). La canzone diventa il simbolo di questa condizione amorosa, una bomba emotiva che esplode nel letto e nel cuore di milioni di italiani: Disco d’Oro e primo posto al Festival Bar del 1973 a pari merito con Io domani di Marcella Bella, in un’epoca in cui non esisteva ancora il televoto, ma bisognava raggiungere una cassetta delle poste e spedire una cartolina. Pur essendo impossibile che il numero di cartoline ricevuto fosse esattamente lo stesso, la differenza fu così esigua da far propendere per un ex aequo. Tutto questo davanti a un certo Paul McCartney che era stato aggiunto alla kermesse estiva per dare maggior risonanza all’evento e che dovette accontentarsi del secondo posto con la sua My Love. Purtroppo, di lì a poco arriveranno momenti molto più bui, quando nell’ambiente musicale comincia a girare una voce infamante, che la segna profondamente: già, perché a partire dalla metà degli anni ‘70, per quanto oggi possa sembrare assurdo, si iniziò a dire in giro che Mia Martini portasse sfortuna.
5. La costruzione di un amore – 1978
Nell’album Per amarti (1978) Mia Martini comincia a collaborare con Ivano Fossati, dando vita a un sodalizio musicale, che darà alla luce un intero nuovo album dal titolo Danza e che ben presto andrà oltre la musica, sfociando in una relazione amorosa turbolenta, a proposito della quale la stessa Mia aveva dichiarato: «Vivevo una storia tormentata con Ivano Fossati, tentavamo di lasciarci, ma senza mai riuscirci […] Ivano voleva me, ma non accettava Mia Martini, l’artista, la donna di spettacolo». Il testo de La costruzione di un amore scritto da Ivano e cantato da Mimì riflette questo tormento patito da entrambi, l’interpretazione di Mia è sofferta così come sono sofferte le parole scritte da Ivano. Ma al di là del valore autobiografico, che di certo amplifica la resa finale, La costruzione di un amore è innanzitutto un archetipo dell’atto di amare e delle sue difficoltà, qualcosa che spezza le vene delle mani, che ti fa mordere le braccia, che richiede fatica e che non è detto che la ripaghi fino in fondo, perché tutto quello che costruisci non è altro che un altare di sabbia in riva al mare pronto ad essere spazzato via. Forse proprio perché Fossati sapeva che si trattava di una costruzione instabile, sotto il testo originale consegnato a Mimì, le aveva scritto: «Per il condono edilizio presentare domanda».
6. E ancora canto – 1981
A cavallo tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ’80, Mia Martini attraversa un periodo di crisi personale, dovuto in parte alla relazione con Ivano Fossati e in parte all’accusa infamante di portare sfortuna, che le crea il vuoto attorno, facendola precipitare in un abisso di solitudine e sofferenza, che si ripercuote anche sulla sua salute. Mentre è in sala di registrazione rimane improvvisamente senza voce: dalle analisi scoprirà poi che le sue corde vocali si sono auto-imprigionate in una spessa membrana formata da noduli. Si tratta di una cosa rarissima per la quale Mia rischia seriamente di rimanere muta, ma per fortuna. grazie alla sua caparbietà e a due delicati interventi chirurgici, riesce a tornare nuovamente al canto. E lo fa con un pezzo che già dal titolo è un chiaro messaggio di rinascita, rivincita e rabbia contro tutti quelli che volevano impedirglielo (Chi mi ha tradita e poi ripresa / chi mi ha lasciata troppe volte / chi mi ha offesa). La rabbia si trasforma in una forte determinazione al cambiamento: Mia decide che è arrivato il momento di scrivere da sola i propri testi e ne firma addirittura otto su dieci per il nuovo album in uscita, che si intitolerà semplicemente Mimì. Inoltre, ci sarà anche un cambio di look, con un taglio di capelli molto corto e gli abiti svolazzanti sostituiti da giacche e pantaloni. Ma la novità più eclatante è che per via dell’operazione adesso Mia ha anche una nuova voce, più roca rispetto a prima, in cui si possono cogliere tutte le diverse sfumature del suo blues esistenziale. Lungi dall’essere un difetto, quel piccolo cambiamento di voce diventa quindi un valore aggiunto, perché le permette di dare maggiore intensità alle pieghe dolorose della vita di cui canta.
7. E non finisce mica il cielo – 1982
Nel 1982 Mimì sale per la prima volta sul palco del Festival di Sanremo. E lo fa con un pezzo bomba cucitole addosso, ancora una volta, da Ivano Fossati. La canzone, tuttavia, non piace e Mia Martini non arriva nemmeno oltre i confini dei 16 finalisti, pur avendo cantato con la solita straordinaria intensità uno dei migliori brani presenti in gara. Proprio per questa ragione le verrà assegnato il Premio della Critica, istituito quello stesso anno appositamente per lei e a lei stessa intitolato dopo la sua morte. La canzone sembra in qualche modo legata a doppio filo con La costruzione di un amore, non solo perché l’autore è lo stesso e Mimì ne è probabilmente ancora innamorata, ma anche e soprattutto perché il pezzo sembra quasi esserne la naturale prosecuzione. Mentre nella prima si mettevano in evidenza il dolore e la fatica dell’amore, che così come cresce si può anche facilmente distruggere, qui a emergere è invece il dubbio di che cosa succederà dopo («sarà dolore o è sempre cielo / fin dove vedo»). A rimanere impressa negli occhi degli italiani sarà anche l’immagine di Mimì con quel suo abito rosa intenso, che userà anche altre volte e che, come lei stessa commenterà diversi anni dopo, la faceva sembrare «un incrocio tra il Mago Zurlì e un portacipria». Nel 1983 Mia Martini decide di ritirarsi dalle scene perché non riesce più a sopportare le umiliazioni inflitte da un ambiente musicale a lei ostile. Lo farà ovviamente a suo modo pubblicando un album di canzoni dal vivo intitolato I miei compagni di viaggio, con cui rende un ultimo omaggio a tutti gli artisti che le hanno fatto in qualche modo da guida in questo suo viaggio nella musica. Casomai il messaggio non fosse ancora chiaro, a chiusura del disco viene posto come sigillo un brano di Chico Barque - tradotto sempre dall’ottimo Sergio Bardotti - che non lascia dubbi e dice chiaramente: «Ed ora dico sul serio non vorrei cantare più». E così sarà. Fino a quel Sanremo 1989 che segnerà la sua (ennesima) rinascita.
8. Almeno tu nell’universo – 1989
Nel 1989, dopo una lunga assenza, Mia Martini torna ad essere la protagonista indiscussa della musica italiana, salendo di nuovo sul palco dell’Ariston per cantare una nuova canzone, che in realtà nuova non è. Il pezzo, infatti, era stato scritto nel lontano 1972 – dalla premiata ditta Bruno Lauzi-Maurizio Fabrizio – ed era rimasto chiuso in un cassetto per quasi vent’anni. Poi, incredibilmente, era saltato fuori al momento giusto creando un curioso cortocircuito temporale: nessun testo, infatti, sarebbe mai potuto risultare più adatto di questo scritto nel ‘72 per descrivere la condizione della Mimì del 1989 e del suo ritorno sul palcoscenico. Parole come: «Sai, la gente è strana / Prima si odia e poi si ama / Cambia idea improvvisamente», oppure «Sai, la gente è matta / Forse è troppo insoddisfatta / Segue il mondo ciecamente / Quando la moda cambia / Lei pure cambia / Continuamente, scioccamente» sembrano scritte apposta per descrivere gli anni di ostracismo contro cui la fragilità di Mimì si era dovuta scontrare fino ad andare in frantumi. Quando riappare sul palco, in quelle sere dell’89, i frantumi sono ancora tutti lì ben visibili, ma sembra che siano stati rincollati con l’oro come si fa nell’antica tradizione giapponese dello kintsugi con i frammenti dei vasi rotti. Gli intrecci delle linee dorate non fanno altro che far risplendere tutte le sue cicatrici, quelle dell’anima, quelle della vita e quelle della voce con cui Mia scaraventa in faccia al mondo tutta la sua bellezza. Il modo in cui canta possiede una fierezza, una classe, un’eleganza e una rabbia che lascia attonito sia il pubblico presente in sala che quello a casa, sembra quasi un’entità che non ci meritiamo arrivata qui da un altro universo, quello in cui cerca disperatamente un punto fermo a cui aggrapparsi. Quel punto fermo Mia non lo troverà mai, ma di certo lo è diventato lei, con questa canzone, venuta fuori dal fondo di un buco nero della vita, capace di superare i confini del tempo e dello spazio e di rimanere incastonata lì da qualche parte nell’eternità come un diamante in mezzo al cuore.
9. Gli uomini non cambiano – 1992
Nel 1992, dopo aver vinto sempre e soltanto il Premio della Critica (1982,1989,1990), Mimì riesce finalmente ad arrivare sul podio del festival di Sanremo. Non sul gradino più alto (sul quale per la cronaca salirà Luca Barbarossa), ma almeno su quello del secondo posto, che rappresenta in ogni caso un grande riconoscimento, nonché il suo miglior piazzamento alla kermesse sanremese. Ci arriverà con una canzone, scritta da Giancarlo Bigazzi, che lei stessa definirà meno raffinata e pretenziosa di quelle portate negli anni precedenti, con un testo più semplice e popolare che, ciò nonostante, canterà con la sua consueta capacità di vivere fino in fondo ogni singola parola. Una canzone che rappresenta la summa delle sue esperienze negative con gli uomini, dal difficile rapporto col padre («Ho provato a conquistarlo / E non ci sono mai riuscita / E ho lottato per cambiarlo / Ci vorrebbe un'altra vita»), agli amori sofferti, che nel corso degli anni le hanno fatto perdere fiducia in loro («gli uomini non cambiano / prima parlano d’amore / e poi ti lasciano da sola»), ma non nell’amore tout court, che infatti ritorna nel finale, come ultima rara ancora di salvezza per “noi” e per “loro”.
10. Dillo Alla Luna – 1994
Nel 1994 la canzone che Mimì vuole portare a Sanremo (E la vita racconta) viene nuovamente scartata. Ma lei non si arrenderà neanche stavolta e si dedicherà anima e corpo a un nuovo progetto dal titolo La musica che MI gira intorno, con quel “MI” che segna la distanza dal famoso brano di Fossati, incluso anch’esso in questo, che purtroppo sarà l’ultimo album di Mimì prima della sua prematura scomparsa. In tutto ci sono dodici cover di cantautori italiani a cui Mia si sentiva umanamente molto legata; le canzoni, spiegherà poi, sono state tutte scelte con il criterio della fragilità umana e delle diverse debolezze degli artisti. Tra i vari De André (Fiume sand creek), Dalla (Stella di mare), Bennato (Tutto sbagliato baby) e De Gregori (Mimì sarà), abbiamo scelto di chiudere con Vasco Rossi e la sua Dillo alla luna per due semplici ragioni. La prima è che tra i vari progetti incompiuti che Mimì aveva in mente c’era anche quello di realizzare un album composto interamente da canzoni dedicate alla Luna. E ci piace pensare che in questo momento sia da qualche parte a cantarle. La seconda è che nel corso della sua vita Mia Martini era stata perseguitata, in tutti i diversi modi possibili, dalla sfortuna e quindi, per una volta, sentirgliela cantare con tutte le sue forze quella “maledetta sfortuna” diventa quasi un atto liberatorio, come una sorta di rivincita impossibile contro la morte. Perché purtroppo il 14 maggio del 1995 il corpo senza vita di Mimì verrà ritrovato in una casa di Cardano del Campo, due giorni dopo la sua morte effettiva, avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite. Aveva in testa le sue cuffie perché si stava preparando per un’esibizione e la mano protratta verso il telefono. Non sappiamo cosa sia successo, forse stava cercando di chiedere aiuto, forse ha cantato un’ultima volta anche prima di morire. Molto probabilmente non ha fatto altro che queste due cose insieme per tutta la sua vita.