
Adesso i miliardari vogliono colonizzare i fondali oceanici
Presto potremo vivere in fondo al mar
29 Aprile 2025
Nel 1895 Jules Verne pubblicò L’isola a elica, un’avventura fantascientifica in cui ricchi imprenditori si ritirano su un’isola artificiale in grado di navigare negli oceani. Qualche anno prima nel 1869, lo scrittore francese era già stato consacrato padre della fantascienza con Ventimila leghe sotto i mari, il racconto delle gesta del Nautilus e dei misteri del mondo sommerso. Oggi, nel 2025, l’uomo sta trasformando in realtà entrambe le sue visioni. Da tempo infatti i cosiddetti Techno Utopians cercano nuovi orizzonti, che siano lo spazio profondo o gli angoli meno accessibili del nostro pianeta e l’ultima frontiera sarebbe quella di vivere negli oceani, sia sulla superficie sia sui fondali. Un caso emblematico è quello di Rüdiger Koch, ingegnere tedesco di 59 anni, appena entrato nel Guinness dei Primati per aver trascorso 120 giorni in una casa sommersa a 10 metri di profondità nel Canale di Panama. Il suo alloggio di 304 metri quadrati fa parte del progetto Seapod Alpha Deep di Ocean Builders – azienda di cui Koch è socio – che mira a costruire habitat galleggianti per contrastare l’innalzamento dei mari causato dal riscaldamento globale e offrire nuovi spazi abitativi. Le Seapod hanno un “piano superiore” che galleggia, dotato di tutti i confort, con ampie vetrate e spazi esterni, mentre il piano inferiore è una stanza abitabile sottomarina. Questa stanza è progettata per poter vivere perennemente sott’acqua, senza alcuna necessità di rimettere piede sulla terraferma.
@brutamerica This man just set the record for longest time living underwater — and he’s staying down there even longer.
UNDERWATER WONDERSCAPES (MASTER) - Frederic Bernard
In realtà tecnologie simili esistono da decenni, sviluppate da diverse imprese d’ingegneria per supportare la ricerca sottomarina. Un esempio è l’americana Deepche con il suo sistema di habitat sottomarino Sentinel (delle vere capsule fantascientifiche che possono avere un’autonomia di 28 giorni a 200 metri di profondità) permette alle persone e ricercatori di vivere e lavorare sott'acqua per periodi più lunghi e di fare nuove scoperte in fondo al mare. Ma cosa succederebbe se queste tecnologie venissero utlizzate soltanto da miliardari, pronti a colonizzare i fondali per viverci? Il timore è tutt’altro che astratto. In un’intervista al New York Times, Koch e i suoi soci Chad Elwartowski – magnate del Bitcoin – e Grant Romundt – imprenditore canadese nel campo dell’anti-aging – hanno dichiarato che le società contemporanee sono «in una situazione stagnante» e che «vivere nel mare, o nello spazio, è diventata un’opzione realistica, così le classi dirigenti “a casa” dovranno pensare a cosa fare per rendere i loro paesi più attraenti».
Una visione che mischia regole di mercato senza freni, classismo ed elitarismo, in linea con il manifesto del Seasteading Institute organizzazione no-profit 501 (la cifra indica che negli Stati Uniti gode dell’esenzione fiscale) fondata, tra gli altri, da Peter Thiel – techno miliardario molto vicino a Trump –, che promuove comunità mobili e autonome su piattaforme marine in acque internazionali. Queste “micro-nazioni” avrebbero governi semi-autonomi, indipendenti da leggi fiscali e sociali, che incarnano l’orientamento libertario che, secondo Peter Newman – professore australiano di sostenibilità – intervistato sempre dal New York Times, rappresenta «l’apartheid della peggior specie». Secondo Newman, la colonizzazione degli oceani rischia di diventare un «incubo in cui solo i ricchi possono trasferirsi in villaggi oceanici futuristici e sogghignare sul resto del mondo».È il solito doppio volto delle scoperte tecnologiche: da una parte spalancano orizzonti impensati per tutta l’umanità e aiutano la ricerca nel creare un mondo migliore, dall’altra possono trasformarsi in privilegi esclusivi per l’1% più ricco, come abbiamo intravisto con la recente distopica spedizione femminile di Blue Origin nello spazio. È davvero necessario conquistare gli oceani per abitarci?