
La distopia ludo-musicale di Black Mirror 7
Dalla musica generativa di Brian Eno e degli Autechre ai Radiohead
24 Aprile 2025
Ogni volta che esce una nuova stagione di Black Mirror si apre un dibattito su quanto la serie sia più o meno riuscita a rappresentare le ansie del nostro futuro, che in realtà ormai sono sempre più vicine al nostro presente. Stando alle opinioni più diffuse tra gli addetti ai lavori, questa nuova stagione risolleva le sorti della serie di Charlie Brooker, che dopo un avvio folgorante era progressivamente caduta in disgrazia con il passaggio a Netflix, raggiungendo picchi di delusione inaspettati soprattutto nelle ultime due stagioni. A detta della critica, un punto di forza di questa settima stagione sembrerebbe essere proprio una maggiore vicinanza al nostro presente. Come sempre, essendo una serie antologica, ci sono opinioni discordanti su quali episodi siano più o meno riusciti nel loro intento, ma ciò non fa altro che confermare quanto le ansie che consideriamo più preoccupanti possano variare da persona a persona e quanto Black Mirror riesca a coprirne uno spettro piuttosto ampio.
Uno degli episodi più discussi e controversi di questa nuova stagione è Plaything, probabilmente per via del suo finale lasciato aperto a diverse interpretazioni. La trama è piuttosto semplice: un uomo (interpretato dall’ex Doctor Who Peter Capaldi) viene arrestato per omicidio, ma a mano a mano che si procede nell’interrogatorio l’aspetto più inquietante della vicenda comincia a emergere. Prima si scopre che l’assassino da giovane lavorava come recensore per un’importante rivista di videogiochi, poi entra in scena una vecchia conoscenza di Black Mirror, il programmatore di Bandersnatch, Colin Ritman, inventore di un nuovo videogioco rivoluzionario che il protagonista è chiamato a visionare in anteprima. Solo che non si tratta di un vero e proprio videogioco, ma - nelle parole dello stesso Ritman - delle prime forme di vita della storia dotate di una biologia interamente digitale. Il giocatore deve prendersi inizialmente cura di queste forme di vita digitali, come in una sorta di versione evoluta del Tamagotchi, per poi lasciarle crescere e sviluppare in autonomia. Il giovane recensore stabilisce uno stretto contatto con i Thronglets (questo il nome del gioco), aggiungendo sempre più upgrade tecnologici fino a stabilire una connessione fisica e neuronale con loro attraverso una porta usb installata dietro la nuca che dà libero accesso al suo cervello alle creature del videogame. Si scopre infine che la sua vera missione è quella di estendere questa connessione a tutta la popolazione del mondo per rendere gli esseri umani delle persone migliori, un fine che viene raggiunto proprio grazie all'arresto, che gli garantisce l'accesso al computer centrale della polizia.
Wow there’s an app for Thronglets based on “Plaything” Episode this season.
— Third (@3rdevangelista_) April 20, 2025
Black Mirror, you’re so extra (again). pic.twitter.com/Mck6paT1sy
Il fatto che tutto questo avvenga attraverso la propagazione di un suono non è casuale. Per tutto l’episodio viene veicolato un sottotesto sonoro che allude in maniera abbastanza esplicita a quella che Valerio Mattioli ha provocatoriamente chiamato, in un saggio edito Minimum Fax, la storia musicale della nostra estinzione. Mattioli racconta la nascita di tre esponenti fondamentali della musica elettronica degli ultimi trent'anni: Aphex Twin, gli Autechre e i Boards Of Canada. Ad eccezione degli ultimi, gli altri due sono tra i protagonisti musicali di questo episodio di Black Mirror. I più esperti in materia avranno certamente notato come l’episodio sia disseminato di riferimenti musicali legati al mondo della cosiddetta IDM (Intelligent Dance Music), sia dal punto di vista visuale che dal punto di vista prettamente sonoro. Per quanto riguarda il primo aspetto, ad esempio, l’incontro tra l’inventore del videogioco Colin Ritman e il recensore protagonista della storia avviene in un ufficio tappezzato di dischi, in cui si possono distinguere abbastanza nitidamente un poster gigante di Aphex Twin e alcuni capisaldi del genere come Incunabula (1993) e Amber (1994) degli Autechre, Tied Up (1994) degli LFO, Blue Room (1992) degli Orb e le due compilation della Warp – la principale etichetta IDM – intitolate (in maniera non particolarmente originale) Artificial Intelligence e Artificial Intelligence II. Questi sono solo i più evidenti, ma la caccia al disco da parte dei nerd musicofili potrebbe continuare anche oltre.
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Dal punto di vista sonoro, l’episodio è parsimonioso, ma possiamo comunque udire il famoso M-Ziq Theme di Mike Paradinas (noto anche con lo pseudonimo μ-Ziq) e almeno un paio di tracce - Evil Surrounds e Dystopian Vector, Pt. 2 - di Pye Corner Audio, il progetto di elettronica retro-futurista del musicista britannico Martin Jenkins. I titoli di coda invece sono affidati al classico We Have Explosive del duo The Future Sound of London. Ma il momento clou – quello in cui il protagonista racconta tutta l’evoluzione del processo di crescita delle forme di vita digitali - è accompagnato da un brano simbolo degli Autechre intitolato Eutow, tratto dal loro terzo album Tri Repetae. Per capire il significato più profondo di questa scelta musicale bisogna fare un passo indietro e arrivare fino alla nascita della cibernetica inglese e agli esordi della musica ambient di Brian Eno.
@jellyfart7 I think a lot of people didn’t like this episode because they didn’t understand it. A lot of people just think everyone just died at the end. But it’s actually a really cool episode and it really made me think. Would I give up some of my free will if it meant curing the world of conflict and violence? #blackmirror #blackmirrorseason7 #blackmirrornewseason #plaything #blackmirrorplaything #netflix #show #netflixshow #netflixseries #series #netflixoriginal #horror #thriller #scifi #tech #fantasy #videogame #fyp #foryou #foryoupage #philosophy Everything In Its Right Place (Instrumental) - SAD & Dj tahh
Nel 1977 Brian Eno (autodefinitosi un “non musicista") viene contattato da Stafford Beer, uno dei massimi esperti di cibernetica, a sua volta erede dello scienziato inglese Ross Ashby (autore di testi sacri come An Introduction to Cybernetics e Design for a Brain). Come spiega il filosofo Andrew Pickering nel suo The Cybernetic Brain (2010), la cibernetica inglese vide la luce nel campo delle neuroscienze e il suo principale terreno d’indagine fu il cervello umano. Prima ancora di Ashby, il neurofisiologo Grey Walter - autore nel 1953 di un libro di successo come The Living Brain - aveva individuato l’attività elettrica del cervello e cominciato a studiarne il comportamento sulla base di una fitta rete di connessioni “stimolo-risposta”. Ciò lo condusse all’elaborazione di un modello elettromeccanico del cervello stesso – un vero e proprio cervello sintetico - che chiamò Machina Speculatrix. In pratica si trattava di una sorta di modello d’intelligenza artificiale primitivo, o forse sarebbe più corretto dire alternativo, rispetto ai modelli utilizzati oggi, la cui caratteristica principale era la totale imprevidibilità.
A livello tecnico, i cibernetici, come Walter prima e Ashby e Beer dopo, conoscevano molto bene le loro macchine e i loro singoli componenti. Eppure, ciò non era sufficiente per comprendere il comportamento dell’aggregato, che tradiva proprietà emergenti non predicibili, come se fosse dotato di una vita propria o appunto di una propria intelligenza artificiale. Sulla base teorica di questo modello, Brian Eno ha sviluppato quella che poi avrebbe chiamato musica generativa, ovvero musica che dato un input iniziale si sviluppa autonomamente in maniera non prevedibile, o - nelle parole Pickering - «la costruzione di mondi musicali capaci di esibire proprietà emergenti imprevedibili». Non si tratta, quindi, di un’emulazione di qualcosa di già esistente - come fanno le moderne AI che si “nutrono” di prodotti culturali creati in precedenza dall’uomo e li rielaborano in maniera combinatoria- ma di qualcosa di diverso. Non ci sono grandi basi di dati umani da dare in pasto alla macchina, ma solo pochi input iniziali. Un esempio primitivo di musica generativa è rappresentato da It’s Gonna Rain e Come Out, due brani “composti” negli anni 60 da Steve Reich, che ha fatto partire all’unisono due nastri contenenti la stessa frase su due apparecchi differenti: col tempo, le differenze tecniche tra i due apparecchi fecero andare i nastri fuori fase, modificando i rispettivi contenuti. Brian Eno ha basato molta della sua musica ambient su questi principi e ha continuato a rilasciare interviste e a lavorare su queste forme musicali per decenni, come dimostra anche il suo ultimo album Aurum, pubblicato a marzo 2025.
Allievi di Brian Eno e al tempo stesso alfieri di una nuova ondata musicale sono proprio gli Autechre, che sentiamo in Black Mirror. I due musicisti di Manchester - Sean Booth e Rob Brown - hanno raccolto il testimone di Eno negli anni ’90 e ne hanno fatto la loro bandiera in un percorso artistico unico, in continua evoluzione verso la nascita di una sorta di forma di musica-auto(no)ma, in cui le tracce si compongono da sé, andando completamente fuori controllo. La qualità essenziale della loro musica – spiega Mattioli in Ex Machina - è la sua assoluta artificialità, la sua insindacabile freddezza. Per usare le sue parole tanto suggestive quanto inquietanti «ogni disco degli Autechre è una tappa termotonale che, uscita dopo uscita, abbassa di qualche grado la temperatura, un’avanzata a testa bassa verso la perdita di qualsiasi residuo di calore umano, una corsa che con cieco furore trasmette il soffio artico di un arcifossile venuto dal futuro». Difficile, quindi, trovare qualcosa di più appropriato alla distopia ludico-musicale raccontata nell’episodio di Black Mirror in oggetto.
Nella musica mainstream, i primi a ibridare il loro sound con l’elettronica degli Autechre e degli altri artisti della Warp sono stati i Radiohead di Kid A (2000). Ma i prodromi della distopia musicale erano già presenti in misura minore anche nei loro album precedenti. A questo proposito alcuni utenti di Reddit hanno notato un’ulteriore somiglianza tra il finale dell’episodio di Black Mirror e il finale del video di Just dei Radiohead: spesso considerato il video musicale più ambiguo della storia, il mini-cortometraggio girato da Jamie Thraves mostra un passante che si stende a terra apparentemente senza motivo. La gente comincia a radunarsi intorno a lui preoccupata e a chiedergli cosa sia successo, ma l’uomo risponde che non può rivelare il motivo per cui si è accasciato a terra, ripetendo che è meglio che loro non lo sappiano. Dopo varie insistenze alla fine l’uomo rivela il suo segreto, ma noi spettatori non lo udiamo; quindi, per chi guarda rimane un mistero irrisolto. L’unica cosa che ci rimane alla fine è una folla di persone accasciate a terra e una domanda, proprio come nel finale dell’episodio di Black Mirror. Tra le altre cose, il regista dell’episodio, David Slate, è noto per aver girato anche molti videoclip musicali, tra cui quelli di diversi musicisti della scena elettronica. Coincidenze? Forse no.