
Le serie tv nate per fare "da sottofondo"
La difficoltà di staccarsi dai social sta influenzando lo streaming
27 Febbraio 2025
Gli algoritmi dei principali social network sono progettati per offrire agli utenti un flusso continuo di contenuti personalizzati e simili tra loro, senza interruzioni, al fine di mantenere le persone più a lungo possibile sul feed. Questo modello di fruizione è noto come doomscrolling: molti sviluppatori che hanno implementato alcune delle più popolari piattaforme hanno ammesso di averlo previsto per creare una forma di dipendenza. Tale attività risponde a una serie di meccanismi psicologici inconsci, uno di questi è l'automaticità: lo scrolling è diventato un gesto così abituale che interromperlo a volte risulta difficile. Molti utenti, così, finiscono per restare sui feed dei social network per ore, spesso anche mentre svolgono altre attività. Da diversi anni, gli esperti sono pienamente consapevoli di questo fenomeno, al punto da influenzare anche la stesura di diverse nuove serie televisive. Sempre più produzioni, perciò, vengono concepite sapendo che molti spettatori le seguiranno mentre fruiscono i feed dei social network. Ma, in sostanza, come si capisce se una serie TV si rifà o meno a questo approccio? Un prodotto televisivo in genere viene definito “second screen” (chiamato così in contrapposizione al “primo schermo”, che per l’appunto è quello dello smartphone) quando i dialoghi sono volutamente scritti per non far perdere il filo della storia agli spettatori.
Le conversazioni dei second screen risultano, quindi, essere molto didascaliche. Allo stesso modo, i riepiloghi di quel che è accaduto fino a quel momento sono abbastanza frequenti, mentre le descrizioni delle azioni sono molto (troppo?) dettagliate. Un’altra tecnica che si utilizza è quella di far anticipare ai personaggi gli sviluppi della trama. Tutte trovate, queste, pensate proprio per agevolare gli spettatori distratti dai loro smartphone. Questa tendenza è la diretta conseguenza di una pratica sempre più diffusa, chiamata casual viewing: consiste nell’usare come sottofondo un determinato contenuto (solitamente serie TV volutamente poco impegnative o un video-essay su YouTube) per accompagnare altre attività di routine – dalle faccende domestiche alla preparazione di un pasto, fino a rilassarsi sul divano mentre si fa doomscrolling. Secondo quanto riportano i media di settore, la scrittura di molti film e serie TV prodotti dai grandi player del mercato tiene conto del casual viewing. Tuttavia, questo approccio ha delle conseguenze: la tendenza a rendere più facilmente fruibili le storie porta spesso a un’abbondanza di narrazioni banali e prevedibili, oltre a personaggi superficiali e poco sofisticati. Il risultato è che molte serie presenti nei cataloghi delle principali piattaforme finiscono per assomigliarsi, offrendo una forma di storytelling generalmente scadente. Parte della critica considera questa evoluzione svilente, ritenendola un impoverimento della proposta televisiva. Altri, invece, sostengono che è giusto che certe sceneggiature – soprattutto quelle pensate per il grande pubblico – si adattino alle abitudini degli spettatori.
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In questo senso, le piattaforme non farebbero altro che rispondere alle nuove modalità di fruizione dei contenuti della maggior parte del pubblico, che per l’appunto sempre più spesso segue le serie TV mentre interagisce con lo smartphone. In alcuni casi, inoltre, gli utenti tendono ad apprezzare un prodotto televisivo in grado di essere seguito facilmente e senza sforzi – con una forma di attenzione “a intermittenza”. Resta il fatto che l’adozione di meccanismi che rendono la visione più accessibile non è del tutto una novità. Alcune celebri produzioni adottavano già in passato strategie simili, anticipando quello che oggi è diventato un modello, tutto sommato, predominante. Un esempio significativo è I Soprano, dove le sedute di psicoterapia di Tony offrivano agli spettatori più distratti un recap degli eventi salienti della serie. Un altro esempio di questa strategia narrativa si può trovare in Dr. House: il protagonista ragionava ad alta voce e discuteva le sue deduzioni con il team. Ogni episodio conteneva momenti di riepilogo delle possibili diagnosi, rendendo facile per chiunque riprendere il filo della storia quasi senza sforzo – anche per chi guardava la serie perdendosi qualche passaggio. Tutto questo in parte dimostra che l’esigenza di sceneggiature che tengano conto dei diversi livelli di attenzione non è necessariamente un’esclusiva dello streaming, ma per certi versi ha a che fare con abitudini di fruizione che forse esistevano già, per via della frammentazione del pubblico televisivo, ma che si sono del tutto manifestate solo di recente.