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Revolution in fashion

Can revolution start from fashion?

Revolution in fashion Can revolution start from fashion?

Sono giorni duri per il sistema moda. Il caso Moncler ha appena spalancato le porte dell’attualità più cruda. Dibattiti forti sul made in Italy, il valore reale del lusso e lo sfruttamento degli animali.

Gente che entra a gamba tesa in un universo di cui sa davvero poco, uno sproloquio di ovvietà e luoghi comuni che forse è indispensabile ricordare. Fatti che ben si sanno, ma di cui è più comodo non parlare. Noi cambiamo stanza e lasciamo i dialoghi sui massimi sistemi a chi di dovere, accorgendoci però che qualcosa nel mondo della moda comincia a scricchiolare. Aria di rivoluzione che è riaffiorata dalle sfilate di Parigi, o forse non si è mai placata. 

#1. Chanel di Karl Lagerfeld ha rievocato le proteste del maggio del ’68, le top model più in voga del momento hanno sfilato con cartelli provocatori. C’è chi ci ha visto un oltraggio e chi ha pensato che fosse sul serio il momento di riflettere. Un link facile si fa subito con il discorso di Emma Watson alle Nazioni Unite, Lagerfeld aveva sottolineato il proprio supporto all’attrice. I più disillusi lo accusano di femminismo facile ed opportunismo. Senza dubbio lo stilista ha fatto discutere.

#2. Vivienne Westwood. Quando si parla di proteste non si può non citare Vivienne Westwood. Nel 2008 aveva fatto sfilare i suoi modelli protestando contro il trattamento dei prigionieri di Guantanamo. Tute arancioni e richiami malavitosi. La Westwood è anche a capo della climate revolution per la preservazione del pianeta terra, il consumo sostenibile delle risorse, come l’acqua…E il noto video della doccia.

#3. Jacquemus, nel 2011 ha fatto sfilare la propria collezione per strada, come una vera e propria protesta. Giovani designer che vogliono farsi notare nel mondo della moda, e non solo.

C’è da sottolineare che a volte le proteste non sono solo figurate, nel 2014 un gruppo di attiviste femen avevano manifestato sulla passerella di Nina Ricci, come da Versace nel 2013. Topless e frasi minacciose “model don’t go to brothels” e “fashion dictaterror”.

Lasciando da parte gli attentati ai fashion show, abbiamo scoperto che il 24 aprile 2015 sarà il giorno della celebrazione della Fashion Revolution. La data celebra il ricordo del crollo di una fabbrica in Bangladesh e i suoi 2500 morti. Lo slogan che ripercorrerà la giornata sarà “who made your clothes?” e il silezioso flashmob richiederà selfie #insideout, l’obiettivo? Una moda sostenibile.

Le rivoluzioni in campo produttivo sono sostenute fortemente da Stella McCartney e Vivienne Westwood, che filano esclusivamente capi provenienti da piccole cooperative del Sud America con il minimo spreco di risorse idriche. A livello istituzionale la prima a muoversi è stata la Gran Bretagna, nel 2006 infatti il British Fashion Council ha fondato Estethica, per la moda sostenibile, collezioni ad impatto zero presentate alla London Fashion Week ogni stagione.

#DIGITALREVOLUTION

La rivoluzione però non è solo climatica, non possiamo dimenticare il fast fashion e la rivoluzione digitale. Brand come Moschino e Versus hanno deciso di vendere immediatamente delle capsule collection proposte durante le sfilate di settembre, un po’ per battere sul tempo il fast fashion e un po’ perché Donatella Versace ha dichiarato “Ho voglia di parlare alla generazione dei Millenials, si tratta di ragazzi, che non possono aspettare, che non sanno aspettare. Se vedono una cosa, la vogliono, come si fa con libri, application, film e tutto il resto. Io, poi, sono un'impaziente nata e comprendo benissimo questa trasformazione dei consumi. Dobbiamo adeguarci, il mondo della moda di ieri, persino i meccanismi industriali dietro le collezioni si devono adattare. Sono fiera di essere tra le prime a credere fermamente in questa rivoluzione”

Il mondo della moda è costantemente in fermento, la rivoluzione è perenne nel mondo creativo.