FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

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I vini analcolici sono qui per restare Non solo per la Gen Z: sempre più persone preferiscono un vino dealcolato a quello tradizionale

I dati confermano ciò che da tempo si percepiva: i vini senza alcol, i cosiddetti dealcolati, non rappresentano più un esperimento ma una tendenza destinata a consolidarsi. La loro crescita non riguarda soltanto i mercati internazionali: persino l’Italia, custode di una tradizione vinicola secolare e notoriamente restia ai cambiamenti, si è dovuta adattare. Dal 27 dicembre 2024 è infatti possibile produrre nel nostro Paese vini con gradazione inferiore allo 0,5%, così come bottiglie a bassa gradazione, sotto la soglia minima di legge di 8,5% o 9% vol.

Questa apertura non nasce dal nulla, ma si inserisce in un quadro internazionale già in rapida trasformazione. La vicinanza dedl nostro Paese con stati come Slovenia, Germania e Austria (regioni che stanno guadagnando un grande peso nel panorama enologico) e il recente via libera della Francia hanno reso inevitabile un allineamento. Restare fermi avrebbe significato perdere terreno in un mercato che cambia velocemente. A ciò si aggiunge una nuova percezione sociale: l’astemio non è più visto come una figura marginale, ma come un consumatore che fa scelte consapevoli e attuali.

Ma a chi piace il vino analcolico?

Se il contesto normativo ha aperto le porte, sono soprattutto i giovani a spingere la domanda. Una ricerca di Federvini con TradeLab dimostra che la fascia 23–34 anni è molto sensibile a queste novità: «nonostante la percentuale di persone che hanno già provato queste bevande sia ancora bassa (8%) il 43% si dice intenzionato a consumarle, mentre il 66% è già consapevole dell’esistenza di prodotti dealcolati e low alcol». Le previsioni di crescita confermano il trend: secondo Fact.MR, il mercato globale passerà dagli attuali 2,84 miliardi di dollari a 7,6 miliardi entro il 2035, con un incremento annuo del 10,4%. 

Il quadro non cambia guardando oltreconfine. Una ricerca Nomisma condotta su giovani tra i 23 e i 35 anni negli Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Spagna mostra che il 72% ha già provato vini a bassa gradazione e il 58% ha provato vini dealcolati nell’ultimo anno. Più di un quarto degli intervistati, il 26%, preferisce soluzioni leggere o totalmente prive di alcol. A motivare le scelte non c’è solo la curiosità (45%), ma anche la volontà di cambiare stile di vita (39%) e il desiderio di limitare l’alcol senza rinunciare al piacere di un bicchiere (31%). 

Analcolico significa per forza buono?

@thezeroproof “Non-alcoholic wine… Isn’t that just grape juice?” Complex Dealcoholization Process: Dealcoholization is the method of removing alcohol from wine while preserving its flavors and aromas. Unlike grape juice, this involves maintaining the essence of traditional wine. Master Sommeliers Collaboration, Premium Ingredients, and a Sophisticated Flavor Profile contribute to non-alcoholic wines that mirror the complexity and depth of traditional wines. How Does Dealcoholization Work? * Aging in Oak Barrels: The wine is aged in oak barrels to develop its complex flavors and aromas. * Gentle Alcohol Removal: The alcohol is gently removed through advanced techniques, such as vacuum distillation or reverse osmosis, ensuring the wine retains its structure and complexity. * Re-Balancing: The wine is carefully re-balanced to maintain its rich flavor profile and mouthfeel. #winemaker #sommelier #history #nonalcoholic #sobercurious #ceo #founderstory Yellow Town - Dmitriy Sadovoi

Eppure la rapida diffusione del fenomeno non è priva di contraddizioni. Da un lato si moltiplicano le opportunità commerciali – nelle capitali europee esistono già da tempo delle vere e proprie “enoteche” interamente dedicata a prodotti senza alcol, dalle birre ai kombucha – dall’altro emergono criticità legate ai processi produttivi. Come sottolineano gli esperti «[l]a pratica di dealcolizzazione riduce la produzione perché si toglie almeno il 15% del volume dal vino. Questa drastica diminuzione della resa, su vigneti di collina che già hanno una produttività bassa, obbligherà a prezzi molto alti dello zero alcol. [...] Se tanto si realizzano vini senza alcol, francamente molto manipolati dal punto di vista tecnico (a meno che i supporter della tipologia non vogliano raccontarci che l’osmosi è una pratica “naturale”), che importanza avrà il loro legame presunto con il terroir?». A ciò si aggiunge un problema ambientale: il processo è costoso, energivoro e ripropone tecniche già note negli anni Novanta, come l’osmosi inversa, che oggi serve a togliere l’alcol invece che a concentrare il mosto.

Il paradosso è evidente: produrre un vino per privarlo poi di ciò che lo definisce, generando nel frattempo emissioni, rischia di essere un controsenso in un’epoca che chiede riduzioni drastiche di CO₂. Il fenomeno, però, non può più essere liquidato come una moda e sembra essere irriversibile. La domanda cresce, i mercati rispondono e le aziende si attrezzano, ma restano nodi irrisolti che intersecano economia, ambiente e cultura del vino. Se i no/lo (no e low) riusciranno davvero a convincere i consumatori più esigenti o resteranno confinati a una nicchia funzionale è ancora presto per dirlo. Una cosa, però, appare chiara: il bicchiere del futuro, che lo si voglia o meno, conterrà un vino più leggero.