FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

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Ciò che manca alla moda oggi è l'intenzionalità By Victor-Hart™️

Tra i progetti più interessanti sostenuti nell’ultima edizione di Camera Moda Fashion Trust, quello di Victor-Hart™️si distingue per una traiettoria creativa che ha unito indipendenza, visione internazionale e assoluto rigore stilistico. Designer ghanese di base a Bologna, specializzato nella lavorazione del denim, Victor-Hart™️rappresenta una delle voci più originali della nuova generazione di creativi che, pur operando fuori dai tradizionali poli della moda italiana, stanno progressivamente guadagnando spazio e attenzione all’interno della Milano Fashion Week. Il nodo tematico che accomuna i diversi aspetti del lavoro di Hart è quello dell’intenzionalità della moda – un senso di scopo che informa non solo il lavoro del designer ma anche i suoi prodotti e si contrappone alla commercialità ormai palese della moda più istituzionale dove invece proprio quel senso di intenzionalità si va perdendo. 

È per questo che in occasione della prima newsletter del mese di agosto, dedicata a dare spazio alle voci degli insider della moda, abbiamo chiesto a Victor-Hart™️di offrirci un punto di vista sul lavoro del designer nel 2025, in un momento storico in cui la sostenibilità, l’identità culturale e il dialogo tra tradizione e innovazione stanno ridefinendo i contorni del settore. La sua esperienza, che intreccia artigianato ghanese e manifattura italiana, memoria storica e istanze moderne, propone un modello di moda consapevole, profondamente radicato nella cultura materiale ma proiettato verso nuove possibilità espressive che sembrano l’antidoto ai mali che affliggono il fashion system oggi.


Oggi la moda è invasa da designer virali, persone che ottengono attenzione online ma che non hanno una vera conoscenza o un vero scopo dietro ciò che creano. Lo vedo ovunque: estetiche d’impatto, ma senza profondità né mestiere. Io non faccio parte di quel mondo. Io rappresento qualcosa di diverso. Credo nella grande artigianalità. Mentre online spesso criticano i miei capi definendoli troppo semplici, chi li indossa capisce subito che accade qualcosa di più profondo. C’è una trasformazione che non si può catturare in una foto. I miei vestiti forse sembrano minimalisti, ma hanno peso, presenza, e la capacità di cambiare il modo in cui ci si percepisce. Perché la vera artigianalità, anche nella sua forma più silenziosa, va oltre ciò che si vede. Tocca qualcosa di personale. Il problema è che molti, oggi, non hanno sviluppato un gusto per la qualità. Si legano a ciò che è rumoroso, veloce, facile da vendere - designer che urlano identità senza costruirla davvero. Io voglio essere un designer che si prende cura del lavoro. Mi interessa il processo, la costruzione, il senso. La moda, per me, deve offrire un nuovo modo di guardare. Deve risolvere problemi, anche se si tratta solo della posizione di una tasca. I trend virali non costruiscono niente che duri. Confondono il settore e annullano la differenza tra chi crea e chi semplicemente performa. Chiunque stampi una t-shirt oggi si definisce designer, ma non conosce taglio, struttura, o il motivo per cui un capo viene costruito in un certo modo.


Nel 2025, la moda sta cambiando visibilmente. Non si parla più solo di silhouette o tendenze stagionali. Il design oggi deve significare qualcosa. Che si tratti di sostenibilità, inclusività, storytelling culturale o innovazione, la moda più potente è quella che nasce da un’intenzione precisa. Ed è proprio lì che si inserisce il mio lavoro. Cerco di usare le mie collezioni per esplorare identità e radici. Non mi limito a citare la cultura, ma la vivo, la rifletto e la uso per raccontare nuove storie. Penso che il design debba portare con sé memoria, presenza, qualcosa che guardi avanti. Ho sempre ammirato chi riesce a intrecciare valori profondi nel proprio lavoro, come fa Marine Serre, trasformando materiali di recupero in lusso consapevole, unendo memoria culturale ed emergenza ambientale. Mi sento vicino a quella sincerità. Non si tratta di inseguire la rilevanza, ma di costruirla da zero. L’autenticità culturale ormai non è più un dettaglio: è il cuore del sistema. Che si tratti di creatività diasporica o di collaborazioni con artigiani locali, la moda si sta allontanando dalla superficie. Questo movimento verso l’onestà e la profondità è legato anche alla crescente richiesta di sostenibilità. I giovani consumatori non si lasciano più ingannare dal greenwashing. Vogliono vera responsabilità: materiali riciclati, lavoro etico, capi destinati a durare. La moda circolare, tra rivendita, riparazione e programmi di restituzione, è diventata la norma. Anche l’inclusività sta finalmente diventando centrale, non solo apparente. Abbigliamento adattivo, taglie inclusive, design gender-neutral: non sono aggiunte, ma parte integrante del pensiero progettuale. L’accessibilità è diventata una strategia creativa, non un’opzione.
@victor__hart #upcycling #fashion #deign original sound - victor-hart


Tutto questo sta dando forma a una nuova estetica: minimale, precisa, pensata per durare nel tempo. Lo si vede anche nei cambiamenti che stanno avvenendo in grandi maison come Chanel o Valentino, dove si passa dal branding vistoso a qualcosa di più emotivo, più misurato. Allo stesso tempo, i designer emergenti devono affrontare un mercato confuso, saturo di brand che inseguono tendenze e costruiscono poco. Molti si affidano a riferimenti vaghi, senza una vera base o una narrazione. Questo ha generato un consumatore disorientato, più che mai. Ma la verità è che le grandi maison sono sopravvissute perché hanno sempre avuto un’intenzione chiara alla base. È per questo che ci fidiamo: il loro patrimonio non è solo estetico, ma anche progettuale, concettuale, coerente nel tempo. È questa eredità di intenzione che credo debba essere portata avanti dalle nuove generazioni di designer. Dobbiamo avere spazio per costruire nuove identità con valori solidi. Dobbiamo ripensare il modo in cui nascono i brand, non solo con moodboard e marketing, ma con idee, processi e scelte vere. In un’epoca dove l’intelligenza artificiale e le scorciatoie digitali crescono a ritmo accelerato, il ruolo del designer deve diventare ancora più umano, più riflessivo. Il futuro non appartiene a chi rincorre l’algoritmo, ma a chi riporta il senso nelle mani di chi crea. Questo è il tipo di designer che voglio essere.