
La storia delle uniformi delle hostess firmate dai designer
Il prossimo a crearle, per una compagnia giapponese, sarà Satoshi Kuwata di Setchu
04 Luglio 2025
A volte ci dimentichiamo che una compagnia aerea è, prima di tutto, un brand di hospitality. Prima che la cultura dei voli aerei venisse fagocitata dalle compagnie low-cost (si fa per dire) che sacrificano ben volentieri l’estetica sull’altare dell’efficienza, rendendo gli aerei simili a carri del bestiame, il volo di linea era parte integrante della vacanza: c’era ottimo cibo, bar fornitissimi oltre che uno stile di servizi che, oggi, anche nelle sue versioni più lussuose, non ha nulla dell’estro e del colore che aveva allora. A quei tempi nacque il mito della hostess e della sua controparte maschile, lo steward. Fu in quell’epoca che nacquero, dopo decenni di uniformi di uso quasi solo militare, le collaborazioni tra designer di moda e compagnie aeree – collaborazioni che avrebbero avviato una tradizione che oggi ha trovato il suo più recente esponente. In una comunicazione di oggi, All Nippon Airways ha annunciato che tra poco meno di due anni, per festeggiare il proprio 75esimo anniversario, sarà presentata una nuova uniforme per il personale di bordo firmata dall’astro nascente della Milan Fashion Week, il giapponese Satoshi Kuwata di Setchu. Non sappiamo ancora che aspetto avranno queste uniformi, o se porteranno alla compagnia aerea più fortuna delle uniformi che, nel 2018, Alberta Ferretti creò per Alitalia – compagnia di bandiera fallita dopo mille problemi nel 2021 e oggi rinata come ITA Airways. Ma la vicenda che lega il mondo della moda a quello dell’aereonautica è molto più antica di così e un importantissimo documento per riscoprirla è il catalogo della mostra Fashion In Flight: A History of Airline Uniform Design del SFO Museum di San Francisco – che è stato la base delle ricerche per questa rassegna della storia della "moda aereonautica" come la definì Balenciaga.
Glamour in volo: Dior, Pucci e Cardin
La prima volta che un designer propriamente detto disegnò per una compagnia aerea, in verità, fu nel 1950 quando le Sorelle Fontana crearono le uniformi per la neonata Alitalia in un pulitissimo e severo blu navy. Nel 1955, in America, fu Oleg Cassini, nato a Parigi ma divenuto più tardi lo stilista personale di Audrey Hepburn e Jacqueline Kennedy che creò due set di uniformi, una invernale marrone e una primaverile color verde, per le hostess di Trans World Airlines – un modello che dominò il resto del decennio e inaugurò una lunghissima collaborazione tra Cassini e il mondo degli aerei in volo. Nel ’59 apparve un altro designer americano, Don Looper, che creò le uniformi della Pan-Am e avrebbe firmato diverse collezioni negli anni successivi. Ma fino a ora non c’era stato un vero designer di moda a lavoro sulle uniformi delle hostess. Il primo, come si diceva, fu Marc Bohan, direttore creativo di Christian Dior dal ’57, che disegnò le uniformi delle hostess di Air France nel 1962: tutte in blu, di tela a grana grossa con blusa e cappellino pillbox per l’inverno e invece più leggere in poliestere (ai tempi detto terylene e considerato come il tessuto del futuro) con un fiocco in vita ispirato agli obi giapponesi. Tre anni dopo, nel ’65, toccò invece a Pierre Balmain di disegnare le uniformi della Trans World Airlines, che nel frattempo aveva intuito il potenziale di branding che un couturier offriva, in una combinazione di ecru e blu con un interessante colletto asimmetrico e un berretto decorato da una coccarda. La giacca di questi completi però risultò essere troppo calda e difficile da lavare quindi l’anno successivo Balmain si rifece a un precedente modello di Don Looper per creare una nuova uniforme, questa volta in azzurro.
Nel frattempo si arrivava verso gli psichedelici e futuristici anni finali del decennio, molte uniformi si fecero più colorate e moderniste. Nacque la Braniff International Airways, all’urlo dello slogan "The End of the Plain Plane" e per definirne l’identità venne chiamato l’italiano Emilio Pucci che nel ’65 creò la collezione Gemini IV, un insieme di straordinaria modernità dove pattern geometrici che ricoprivano vestiti e collant insieme si scontravano con dei go-go boots creati da Beth Levine per un effetto a dir poco lisergico ma comunque stupendo. Nel ’68, Pucci avrebbe creato una nuova uniforme composta da un abito rosa shocking indossato sotto un simil-grembiule argentato che richiamavano lo stile Space Age che sarebbe sbocciato, pochi anni dopo, con il giovane Pierre Cardin che creò un’uniforme per Union des Trasport Aériens con mini-dress in gabardine sia in beige che in blu con un berrettino con visiera. Sempre quella fu l’epoca delle uniformi di Jean Luis per United Airlines, nel medesimo stile iper-lineare ma forse più leggere e moderne, mentre risale al 1969 l’uniforme che Cristobàl Balenciaga firmò per Air France – collezione moderna, costruita in serge di lana blu navy, che ebbe accoglienza molto alterna a dirla tutta ma che fu importante perché rappresentò l’ultima iniziativa di Balenciaga fuori dall’Haute Couture prima che il designer chiudesse il proprio brand.
Gli anni ’70 e i nuovi abiti femminili
Entrando nei groovy anni ’70, il clima cambiò. Lo dimostra l’uniforme creata da Pucci nel ’71 sempre per Brainiff, che includeva una tuta pantalone nelle colorazioni verde e rosa e blu, decorata da una gonna su sui si trovavano le celebri stampe del brand (per la versione estiva, la gonna nascondeva dei cortissimi short che forse nemmeno le hostess di oggi si sognerebbero di indossare in volo) mentre lo stesso anno uscirono le uniformi color prugna di Valentino Garavani per Trans World Airlines, dotate anche di un raffinato foulard e bottoni logati oltre che di una gonna che si apriva sul davanti per rivelare hot-pants tono su tono. Ne esiste anche un’altra versione beige con costruzione leggermente diversa. Pucci, invece, tornò a disegnare nuovi uniformi per la stessa compagnia (fu la sua ultima collaborazione) nel ’73 e un altro set per Qantas Airways l’anno dopo – questa collezione, con il suo blazer verde sovrapposto a un abito con stampe botaniche, sembrava premonire la pesantezza della moda anni ’80. Nel 1972 ci fu la divisa rossa di Mila Schon per Alitalia, un altro grande classico mentre nel ’73 Pierre Balmain tornò a disegnare le uniformi di Cathay Airlines che battezzò Tung Hoi e che includevano un tailleur rosso, una camicia con stampe e, curiosamente, una bombetta al posto del classico berretto che comunque già molte compagnie avevano abbandonato mentre un altro francese, Courréges, sostituì le uniformi di Union des Trasport Aériens disegnate da Cardin, con un design ancora più moderno che includeva anche una versione con diverso branding della celeberrima giacca in vinile che il brand vende ancora oggi in bianco, rosso e acquamarina. Queste uniformi includevano, oltre alle gonne strutturate, anche i più comodi pantaloni. In America le uniformi aeree divennero o molto pop, coloratissime, e dominate da abiti A-Line oppure, come quelle disegnate da Bill Blass per American Airlines nel ‘74, che riproduceva il look spezzato con abbinamenti di blue navy e quadretti Vichy – il pezzo più essenziale fu un abitino a due toni che creava l’impressione di una camicia su una gonna ma era in realtà un singolo pezzo.
Nel frattempo il mondo del volo si evolveva. Nacque il celeberrimo Concorde, l’aereo che attraversava l’Atlantico superando la barriera del suono, che venne usato principalmente da Air France e British Airways. Proprio Air France, nel ’76, chiese al direttore creativo di Patou, Angelo Terlazzi, di creare un’uniforme speciale solo per la crew dell’aereo – Terlazzi creò un altro abito unico, in poliestere, che all’epoca andava di gran moda, con una fantasia ottica con linee a contrasto e un colletto alla coreana. Si avvertiva già qui il volgere dei tempi che poi Halston avrebbe riconfermato nel ’77 con la sua collezione per Braniff che includeva un completo minimalistico con una giacca priva di bavero allacciata sul davanti e una gonna beige con sotto una camicia – non il miglior lavoro del grande Halston, a essere onesti. A metterlo in ombra arrivò un gigante: l’anno dopo il giovane Ralph Lauren inagurò una nuova era con la sua uniforme di Trans World Airlines. Era un completo preppy, doppiopetto con una severa gonna al ginocchio, indossato con camicia e cravatta e decorato da insegne e gradi d’ispirazione militare. Un completo che pareva anticipare i tempi di Ronald Regan e delle power suit e che mise fine all’estro degli anni ’70 che si conclusero, nel ’79, con l’uniforme che Hermès disegnò per Union des Trasport Aériens e che per la verità, con il suo vestitino verde e il suo cardigan, non è proprio il capolavoro della leggendaria Maison francese.
Il declino delle collaborazioni con i designer
Ormai meccanismo consolidato, le collaborazioni proseguirono stancamente nel corso degli anni ’80. Nel 1986, mentre Renato Balestra firmava le nuove divise Alitalia, Qantas Airways chiamò Yves Saint Laurent che creò un’uniforme con vestitino bianco decorato di canguri stilizzati in blu, azzurro, rosso e giallo indossata sotto un blazer blu e rosso abbinato a un foulard. Più atletico l’anno dopo fu Marc Bohan di Dior che, per Union des Trasport Aériens, creò un completo con maglione, camicia coreana a righe e gonna indossato fino al 1992. Divenute ormai grandi compagnie, e svanite le linee aeree più periferiche, le uniformi delle hostess divennero molto aziendalizzate e sobrie né si sentì particolarmente. Il che non impedì a Giorgio Armani, nel 1991, di creare le divise Alitalia in un inedito (e molto Arman-esco) color tortora scuro e una linea morbida, vagamente maschile. Facendo un salto di oltre un decennio, invece, troviamo nel 2005 le divise che Christian Lacroix firmò per Air France, nere con una cintura rossa, dal fascino nostalgico che presero il nome di robe-manteau.
Bisognerà attendere quasi un altro decennio, ovvero il 2014, per arrivare a un’altra collaborazione degna di nota – quella di Vivienne Westwood per Virgin Atlantic: un tailleur di un folle color scarlatto, con una giacca che creava un malizioso vitino da vespa ricalcata sul modello Bettina che Westwood aveva portato in passerella nelle sue collezioni regolari. I capispalla abbinati al tailleur erano spettacolari, con enormi baveri e forme avvolgenti. Fu poi la volta, nel 2018, di Alberta Ferretti per la sua celebre collezione di Alitalia mentre, dopo il crollo della compagnia e la rinascita sotto forma di ITA Airways, fu Brunello Cucinelli a offrire la propria consulenza a titolo gratutito per una linea di uniformi pulita ed elegante, dominata dal blu navy. Quest’anno, invece, è stata annunciata la nuova collaborazione di Air France con Jacquemus che però non riguarda le uniformi del personale di bordo ma il pigiama che la compagnia fornisce ai passeggeri della prima classe – forse la prima collezione del suo genere che dimostra come, dopo la loro fase "istituzionale" numerose compagnie aeree stiano tornando a funzionare come brand di hospitality pubblicizzandosi attraverso una promessa di lifestyle. Forse per questo la All Nippon Airways ha deciso di coinvolgere Satoshi Kuwata per la creazione delle sue uniformi, rinforzando uno storytelling che la linea aerea stessa ha voluto incentrare sull’eccellenza del design.