
Cosa serve per riportare in Italia la produzione della seta?
La rinascita della filiera potrebbe verificarsi, ma servono sostegno e investitori
13 Marzo 2025
Nel corso degli ultimi decenni, la filiera della seta in Italia ha attraversato un periodo di grandi difficoltà, principalmente a causa della crescente concorrenza internazionale, in particolare dalla Cina, e dell'avvento delle fibre sintetiche. Ma una serie di iniziative pubbliche e private sta cercando di riportare alla luce una delle tradizioni più prestigiose del paese. Come racconta il Financial Times, già nel 1871, a solo dieci anni dalla nascita del Regno d’Italia, il governo aveva creato la prima Stazione Bacologica Sperimentale di Padova, oggi parte del Crea, organismo di ricerca del Ministero dell’Agricoltura. La tradizione nord-italiana della produzione della seta, dopo tutto, è qualcosa che esiste nel nostro retaggio culturale nazionale ma che è stato dimenticato – per chi è sopravvissuto alle letture liceali de I Promessi Sposi di Manzoni, basterà ricordare come il lavoro di Renzo Tramaglino fosse precisamente produrre seta. Verso la metà del ‘900 però il settore era già in crisi ma le cose stanno cambiando. Nel 2024, l'industria tessile italiana ha visto un valore di 1,1 miliardi di euro nella produzione di tessuti d'alta gamma, ma il 95% del filato utilizzato proviene dalla Cina la cui produzione di seta, però, sta diminuendo a causa di un incremento dei costi: negli ultimi dieci anni, il prezzo al chilo della seta è raddoppiato, toccando i 80 euro, ben più dei 2 euro per il cotone e tra 7 e 15 euro per la lana. Ed è per questo che Confindustria Moda ha elaborato un piano per far rinascere la filiera italiana della seta. L'Italia, come vedremo, è infatti già un'eccellenza nella lavorazione e filatura della seta ma solo per quanto pertiene alla sua lavorazione: per riportare veramente in Italia la filiera della seta serve tornare a produrla con gli allevamenti dei bachi. In passato, sia al Sud che al Nord, il settore era molto diffuso e oggi l'Italia possiede tutto il know-how necessario. Servono solo gli investimenti giusti.
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L’idea è quella di ricostruire una produzione che parta dai gelsi e arrivi fino alla gestione dei bozzoli. Questo piano prevede una serie di investimenti e innovazioni, ma è necessario il supporto pubblico per le aziende, in particolare per quelle di media entità, come nel distretto tessile di Como. Come sottolineato dal presidente di Confindustria Moda, Sergio Tamborini, la seta ha un alto valore aggiunto e potrebbe rappresentare una risorsa per le zone agricole in difficoltà, come quelle colpite dalla xylella in Puglia. Il processo non è semplice: «Si deve ripartire dagli alberi, dai gelsi, raggiungere una produzione di foglie adeguata per nutrire i bachi, gestire i bozzoli» ha detto Tamborini al Financial Times. «Si tratta di una produzione complessa, per quanto supportata dalla meccanizzazione, a differenza di un tempo, che richiede investimenti e lunghe attese per entrare a regime». Al Crea di Padova, unica stazione di bachicoltura attiva in Europa, sono già stati lanciati corsi di formazione e progetti di ricerca, come la rete Bachicoltura Setica, che coinvolge produttori in Veneto, dove una recente legge regionale ha stanziato fondi per tre anni per gli agricoltori che vogliono avviare la bachicoltura. Proprio il Crea, come spiega Tamborini, è «l’ultima stazione di bachicoltura attiva in Europa, che ci rende depositari di tutto il know how sulla seta del continente. Ma è un vantaggio che sfruttiamo pochissimo». Il progetto europeo Aracne, di cui il Crea è capofila, punta anche a valorizzare la cultura della seta attraverso il turismo, con il coinvolgimento di aziende come D'Orica, che produce gioielli in seta italiana e oro, contribuendo a dare nuova vita a una tradizione antica. Tuttavia, senza un forte sostegno pubblico, sarà difficile ottenere i risultati sperati. E qui in Italia, in realtà, esiste già un “polo della seta” che è tanto antico quanto attivo – e potrebbe esserlo molto di più.
Secondo un articolo di Forbes dello scorso dicembre, Como è ancora oggi il cuore pulsante della produzione di seta in Italia e in tutta Europa - una tradizione che risale ai tempi degli Sforza e dei Visconti, che promuovevano la coltivazione del gelso e l'allevamento dei bachi. Attualmente, Como è responsabile dell'80% della produzione di seta europea, con un fatturato complessivo di circa 2,1 miliardi di euro, di cui il 20% deriva direttamente dalla seta. Le aziende di Como impiegano circa 14.000 persone, e sebbene la produzione di seta pura sia ormai quasi scomparsa, essa rimane un elemento fondamentale per il distretto tessile, che continua a essere un punto di riferimento per la qualità delle lavorazioni, in particolare per quanto riguarda la tintura e la stampa dei tessuti. Nonostante l'importazione di filati dalla Cina, le aziende comasche, come quelle rappresentate dal segretario del gruppo filiera tessile di Confindustria Como, Guido Tettamanti, sono riuscite a mantenere un posto di rilievo nei mercati internazionali, soprattutto in Italia e Francia, i due principali mercati di riferimento per l’alta moda. Nel distretto comasco, aziende come Cosetex, Saati, Mantero e Ratti continuano a investire sulla seta, cercando di mantenere il primato mondiale in qualità. Cosetex, ad esempio, ha sviluppato innovazioni come T.Silk, un'imbottitura 100% seta, e Saati, la gigante del distretto, si distingue per la produzione di tessuti tecnici. Mantero, che dal 1902 è attiva nella tessitura della seta, continua a tessere, tingere e stampare tessuti pregiati, mentre Ratti, fondata nel 1945, è uno dei marchi di punta nella produzione di tessuti per abbigliamento e arredamento.
C'è stato un tempo in cui i gelsi, sia bianche che neri, caratterizzavano il paesaggio del nord per via della seta. In Lombardia ad esempio nel 600 costituivano quasi un terzo delle coltivazioni https://t.co/bb7XZMjeNk
— Marco Gambaro (@MaGambaro) June 15, 2024
E già nel 2023, il governo italiano, come riportato dal sito del Crea, aveva lanciato il progetto "Serinnovation" per favorire la rinascita della gelsibachicoltura nel paese. Secondo le comunicazioni di allora, il settore della seta italiana aveva visto un boom dopo il lockdown in termini di esportazioni (+29,5% nel primo semestre 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021) anche se grandissime parti di fibra e tessuti erano importati. La sfida principale per il rilancio rimane la reintroduzione della gelsibachicoltura, un settore quasi scomparso, che sta ora vivendo una rinascita attraverso l'automazione dei processi di raccolta e lavorazione, con l’obiettivo di rendere la filiera più competitiva e sostenibile. Inoltre, l'uso di sottoprodotti della lavorazione serica, come le crisalidi e i residui di potatura dei gelsi, sta trovando nuove applicazioni nei settori farmaceutico e cosmetico. Il futuro della seta in Italia sembra dunque promettente. Se gli sforzi di innovazione e sostenibilità saranno accompagnati da politiche di supporto pubblico e privato, la seta italiana potrebbe non solo risorgere, ma anche ridefinire i propri confini, integrandosi con nuovi settori industriali e rispondendo alle esigenze di un mercato sempre più attento alla qualità, alla tracciabilità e alla sostenibilità. Come ha sottolineato Luca De Carlo, presidente della IX Commissione permanente del Senato, durante il convegno "Serinnovation" del maggio 2023, il progetto di rilancio della filiera serica ha un grande potenziale per contribuire alla crescita delle aree agricole italiane, creando nuove opportunità di sviluppo economico e sociale ma anche per risollevare un settore del Made in Italy che negli ultimi tempi non se la sta passando benissimo.