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Il mondo non è pronto per il vero McQueen

La nostalgia ci fa dimenticare quanto sarebbe controverso oggi Lee McQueen

Il mondo non è pronto per il vero McQueen La nostalgia ci fa dimenticare quanto sarebbe controverso oggi Lee McQueen

Sean McGirr ha avuto un compito ingrato questa stagione: proporre una nuova visione creativa per Alexander McQueen, uno dei brand più inafferrabili e multiformi di sempre, un brand la cui estetica più autentica era rimasta intraducibile anche per Sarah Burton, che del fondatore era il braccio destro. Fatto sta che la collezione di debutto di McGirr per Alexander McQueen presentata sabato scorso e preparata in appena tre mesi è stata un risultato discontinuo, ispirato dai primi show del founder, Banshee e The Birds, ma sicuramente più vicino a un regolare ready-to-wear che all’originaria potenza figurativa e drammatica del “vero” McQueen. Ora, il desiderio di praticamente chiunque non è vedere il brand Alexander McQueen cambiare il corso della storia della moda ma semplicemente tornare a quelle collezioni simbolistiche, misticheggianti, ricche di fantasia e di romanticismo ma anche così brutalmente moderne – collezioni che all’epoca erano spesso accolte male e sono state retrospettivamente riabilitate ma che non mancavano di creare enormi controversie. Il problema è proprio questo: come industria della moda e come società, saremmo in grado di accettare McQueen se dovesse tornare oggi con gli stessi show e gli stessi look? 

@saintpaulw NEW | #AlexanderMcQueen F/W24 by #SeanMcGirr little dark age - favsoundds

Diciamolo pure: se gli show di McQueen si svolgessero adesso, gli zeloti dell’attivismo online avrebbero più di un giorno campale. Torniamo con la memoria, per esempio, allo scorso settembre quando la sfilata SS24 di Undercover, bellissima, si chiuse con tre look composti da abiti-lanterna la cui gonna rigonfia ospitava terrari illuminati dentro cui volavano farfalle. Le farfalle provenivano da allevatori etici e riconosciuti ed erano state rilasciate subito dopo lo show – il che non ha impedito alla PETA di sollevare un polverone per cui Jun Takahashi ha dovuto scusarsi via lettera, promettendo di non usare più animali nei propri show. Ma abbiamo utenti del web che si sono indignati per una campagna di Zara con statue imballate e detriti, della sfilata di Elena Velez finita in una pozza di fango, delle modelle di Marc Jacobs che cadevano dalle scale per una campagna, delle finte teste di leone alla Haute Couture di Schiapparelli che glorificavano la caccia, dei lacci di una hoodie legati in un nodo scorsoio a uno show di Burberry del 2019 e di un gioiello dalla forma analoga apparso allo show di Givenchy nel 2021. Per non parlare della volta in cui Alessandro Michele incluse camicie di forza per la SS20 di Gucci e della controversa pubblicitaria di Balenciaga da cui il brand non si è ancora ripreso. Siamo fortunati che non ci siano state proteste per i corsetti e le mutande “finto nudo” viste allo show Artisanal di Maison Margiela ma, insomma, questi e altri esempi dimostrano non tanto il tenore della sensibilità collettiva, ma che le conseguenze di una controversia possono essere assai più disastrose oggi – cosa che porta molti designer a evitarle del tutto e scusarsi diffusamente.

Ora, in vita sua McQueen ha fatto piovere acqua gialla simile a urina su una passerella, ha fatto indossare a una modella un body pieno di vermi vivi, ha truccato e vestito le modelle da vittime brutalizzate per uno show di nome Highland Rape, pescato a piene mani dalla cultura islamica per diversi suoi look abbastanza sessualizzanti, organizzato uno show interamente imperniato sull’immaginario di un manicomio come Voss che si è concluso con la liberazione di centinaia di falene, chiuso le modelle in gabbie corporee, decorato dei look ispirati alla corrida creando l’illusione di una modella impalata da due lance, cucito ciocche di capelli negli abiti come reference a Jack Lo Squartatore, una volta si è pure calato i pantaloni al posto di inchinarsi a fine show mentre un cappello nero decorato da un teschio argenteo della FW01 ricordava da vicino il Totenkopf delle SS naziste, altrove una giacca della FW98 era decorata dalle stampe dei bambini della famiglia Romanov uccisi dai rivoluzionari russi nel 1918. Sempre per lo show Golden Shower, Gisele Bundchen che aveva solo 18 anni all'epoca venne praticamente costretta a sfilare a petto nudo e sono rimaste famose le foto della ragazza in lacrime che avanza sulla passerella mentre le si disfà il trucco; per lo show SS09, Abbey Lee Kershaw, ai tempi 19enne, svenne appena uscita dalla sfilata perché il suo corsetto era stato stretto eccessivamente - oggi incidenti del genere basterebbero a concludere la carriera di un designer.

E tutto ciò senza menzionare i diversi comportamenti alquanto controversi che oggi sarebbero passati sotto silenzio o gli varrebbero seri problemi sul lavoro: dagli ingenti consumi di stupefacenti (secondo Daily Mail, la media era di seicento sterline di cocaina al giorno) e di altre abitudini di cui è meglio non riferire e che hanno già riempito articoli e video-essay vari. È vero che il livello di “scorrettezza” di McQueen si era affievolito con il passare degli anni, che le provocazioni erano andate molto scemando – ma la carriera del designer potrebbe sopravvivere allo scrutinio dei media, alle teorie del complotto e alle enormi pressioni interne suscitate da uno dei suoi gimmick? Tutti vogliono il vecchio McQueen – ma non siamo certi che tutti sarebbero pronti al “vero” McQueen.