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I problemi della moda sono davvero tutta colpa dei CEO?

Il via vai di direttori creativi non dipende dai giovani designer

I problemi della moda sono davvero tutta colpa dei CEO? Il via vai di direttori creativi non dipende dai giovani designer

È inutile girarci intorno. Le ultime settimane, per non dire mesi, sono state un vero e proprio caos nel mondo della moda. Poco prima di Natale, l’addio tra Alessandro Michele e Gucci aveva dato involontariamente il via a un vero e proprio effetto domino che ha portato, nei mesi successivi, all’abbandono di Jeremy Scott  da Moschino, di Bruno Sialelli da Lanvin, di Charles de Vilmorin da Rochas, di Serhat Işık e Benjamin A. Huseby da Trussardi, di Rhuigi Villaseñor da Bally e - ultimo solo in ordine di tempo - di Ludovic de Saint Sernin da Ann Demeulemeester. Proprio il divorzio tra il giovanissimo designer belga e il brand di proprietà di Antonioli ha riportato in auge il dibattito su chi sia davvero il colpevole di uno dei momenti più caotici della fashion industry contemporanea. C’è chi punta il dito contro i designer, spesso troppo giovani e inesperti per guidare brand di proporzioni esagerate, distanti dalla dimensione indipendente da cui molti di loro provengono. Manca la gavetta, ha fatto notare qualcuno, sottolineando non a torto come gli ultimi esempi di direzioni creative di successo siano stati proprio quelli tra quei designer che si erano fatti le ossa nei team creativi di questo o quell’altro brand, prima di approdare alla massima carica.

Non solo Alessandro Michele o Demna - che prima di entrare da Gucci e Balenciaga avevano insieme un curriculum che poteva vantare Margiela, Louis Vuitton, Fendi a fianco di Karl Lagerfeld e Gucci insieme a Tom Ford - ma più recentemente anche Matthieu Blazy e Glenn Martens hanno avvalorato una tesi che, per quanto corretta, non tiene conto dei motivi che spingono un giovane designer ad accettare un incarico che sulla carta somiglia a una certezza lavorativa, una boccata d’aria dal lavoro di un brand indipendente fatto di incertezze e sacrifici. La colpa sarebbe piuttosto da ricercare tra chi sceglie quei nomi spesso ignorando i ragionamenti più semplici e necessari, puntando unicamente all’effetto sorpresa che genererà l’annuncio. Dopotutto, cosa c’è di più eccitante della nomina di un giovane designer dal folto seguito social per risollevare l’attenzione di un brand magari defunto o dimenticato da anni? Probabilmente solo la notizia del suo licenziamento pochi mesi dopo la sua nomina. «Nessuno degli ultimi direttori creativi ha “rovinato Ann Demeulemeester”, l’ha fatto l’avarizia delle persone che la gestiscono» ha scritto la fashion editor di 032c, Brenda Hashtag, in uno dei tanti commenti online che trovano nei CEO i maggiori responsabili dell’accaduto. Ma se è vero che chi comanda dovrebbe prendersi la responsabilità delle proprie scelte, dall’altra anche una buona parte della stampa di settore dovrebbe iniziare a rivedere il modo e il tono con cui parla e tratta alcuni giovani designer.

I talenti esistono, ed è compito degli addetti ai lavori proteggerli dai meccanismi vorticosi del sistema moda, sempre pronti a inghiottirli come delle sabbie mobili. «Penso che ogni settore tragga beneficio da una critica esterna e ponderata. Si perde qualcosa quando i giovani designer non ricevono questo tipo di critiche, quando tutto ciò che sentono è un ritmo costante di "Stai andando alla grande, sei fantastico, diventa più grande, disegna più collezioni"» ha dichiarato Robin Givhan nella sua intervista a Interview. Proprio su queste pagine pochi mesi fa ci chiedevamo quanto fosse davvero utile continuare a portare avanti il mito dell’enfant prodige nel mondo della moda, parlando, nel caso specifico di Charles de Vilmorin, di successo prefabbricato che aveva finito per indispettire il pubblico, stanco di vedere nomi nascere e scomparire dall’oggi al domani. Ecco, mentre in questi giorni sembra imperare lo stesso sentimento di stanchezza e perplessità, per trovare il colpevole di quanto accaduto negli ultimi mesi basterebbe fare un giro online per tastare l’opinione generale sull’accaduto. Forse, farebbe bene anche ai diretti interessati.