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Quando Martin Margiela era il direttore creativo di Hermès

E l'inaspettata intesa tra due mondi agli antipodi

Quando Martin Margiela era il direttore creativo di Hermès E l'inaspettata intesa tra due mondi agli antipodi

Era l’aprile 1997 quando il designer belga Martin Margiela fu nominato nuovo direttore creativo di Hermès. Molti al tempo si chiesero come un creativo avant-garde e di rottura, un iconoclasta della moda, potesse “finire” da Hermès, e soprattutto cosa avesse spinto Jean-Louis Dumas a tentare un tale improbabile sodalizio artistico. Erano gli anni ‘90, Martin Margiela viveva nell’anonimato: rifiutava di farsi fotografare, comunicava con la stampa solo via fax, a fine sfilata lasciava la folla puntualmente in attesa, perché, in fondo, il suo lavoro era già di per sé piuttosto eloquente. Dai top ricavati da sacchetti di plastica a gilet assemblati con piatti rotti e fili di ferro, passando per guardaroba di bambole a grandezza umana ad abiti realizzati in candele: le creazioni di Margiela andavano oltre qualsiasi avanguardia del tempo, spesso oltre i limiti stessi della materia. Tra anonimato assoluto e una produzione a dir poco distante dalla minimale eleganza della famiglia Hèrmes, la nomina di una figura così sovversiva alla guida di una maison sinonimo del lusso tradizionale intrigò la stampa: come avrebbe interpretato Margiela i classici di Hermès? Il compromesso tra le due realtà era davvero possibile? Ma soprattutto, cosa aveva spinto i conservatori vertici di Hèrmes ad una scelta che era sembrata (o forse era stata) un colpo di testa? Il merito è di Sanrdine Dumas

La figlia di Jean-Louis Dumas Hermès, aveva più volte sfilato (non pagata ma in cambio di vestiti) per il designer belga nel corso degli anni ‘90, perciò quando un giorno il padre le chiese se avesse un nome da consigliare come direttore creativo al posto di Claude Brouet, rispose senza esitazioni: "Martin Margiela". Non ci fu bisogno di convincere nessuno, non ci furono moodboard, presentazioni o business plan, bastò un pranzo per capire che, seppur in modi molto diversi, le due personalità condividevano una visione della moda come sinonimo di rilassatezza, comfort, qualità e durabilità. E in effetti questa inaspettata corrispondenza di vedute fu per molti una delusione. Le dodici collezioni che si susseguirono dal 1997 al 2003 sotto la guida di Margiela, furono perfettamente in linea con il passato di Hèrmes, la dimostrazione del vero talento di chi riesce a fare proprio lo stile di un brand così definito, con rispettosa padronanza.  Abiti che si contraddistinguono per un look semplice, monocromo, ma estremamente raffinato, un lusso essenziale che giocava con il concetto stesso di classico. I capi disegnati da Margiela per Hermès erano molto diversi da quelli creati per la sua linea personale, non facevano scalpore sulle passerelle e di conseguenza, all'epoca, furono parzialmente trascurati. 

C’è voluto tempo prima che tutte le silenti rivoluzioni attuate da Margiela da Hermès venissero riconosciute. In particolare una mostra del 2017 alla Momu Museum di Anversa mise in relazione le creazioni di Martin Margiela per la sua linea eponima con le innovazioni progettate per la maison tramite un allestimento giocato sulla contrapposizione del bianco assoluto tipico di Margiela e il classico arancione di Hermès. Dalla famosa Vareuse, blusa dal profondissimo scollo a V, tra i componenti essenziali del look "componibile", fatto di layering e sovrapposizioni, proposto dallo stilista belga per la maison francese, ai trench trasformabili, dall'evoluzione del twin-set nel triple-set o all’invenzione del trikini: Margiela infuse un indubbio nuovo ésprit alla maison francese. Un lascito che ancora oggi permane nello spirito stesso del brand e in alcuni abiti e accessori divenuti parte della collezione permanente: dalla sciarpa Losange, rivisitazione del classico foulard carré in seta, all’iconico orologio Cape Cod campione d’incassi, caratterizzato da un lungo cinturino da portare a doppio giro al polso.

L’intesa tra Margiela e Hèrmes si vide anche nella filosofia no-logo, specialmente quando lo stilista propose semplicissimi bottoni a 6 buchi, cuciti manualmente in una piccola e sofisticatissima H. Fece lo stesso con i colori, preferendo tonalità complementari rispetto alle nuance d’impatto: cammello, avorio, biacca, taupe (il leggendario "acromatico" di Hermès), bronzo, pietra, alabastro, ardesia. Ma i cambiamenti non riguardavano solo i capi. Nel casting Margiela ha sempre preferito persone scelte per strada a modelle professioniste, donne "vere" e spesso mature, realmente rappresentative delle clienti Hermès. Le sfilate avevano luogo nella storica buotique al 24 di Faubourg-Saint Honoré, come colonna sonora una voce maschile scandiva in francese tutti complimenti che una donna vorrebbe sentirsi dire: "Tu es fantastique, Tu es charmante, tu es unique…", un’idea di Marie-Hélène Vincent sulle malinconiche note di sottofondo della Gymnopédies di Erik Satie.