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Prove generali di una moda democratica

«Life is free»

Prove generali di una moda democratica «Life is free»

Durante una delle sue più recenti interviste con Forbes, Kanye West ha detto: «Gli occhiali costeranno 20 dollari e tutto ciò che si trova su Yeezy Supply costerà 20 dollari. E stiamo lavorando su come rendere gratuito l'abbigliamento. Perché la vita è gratis». Parole che rientrano nella grande (e a volte un po’ fumosa) visione della moda democratica che Ye vorrebbe far diventare una realtà ma che riflettono anche un tipo di attitudine che brand di moda e agenzie creative stanno attuando in questi giorni e specialmente durante la Milan Fashion Week: mercoledì 21 settembre, Diesel ha offerto 3000 biglietti per il suo show a un pubblico composto per più della metà di studenti; il prossimo sabato sarà Moncler a celebrare il suo anniversario non con un evento chiuso ma con un grande spettacolo aperto a tutti in Piazza del Duomo a Milano e Benetton salirà in passerella domenica e proprio come noi di nss magazine abbiamo venduto le t-shirt celebrative del nostro anniversario nss X a 10 euro l’una andando sold-out in poche ore anche dall’altro lato dell’oceano, a New York, Telfar Clemens è stato in grado di bloccare il traffico di Brooklyn con un pop-up organizzato al posto di un fashion show convenzionale dove la sua celebre shopping bag era in vendita in tutti i colori e in tutte le taglie per tutto il pubblico. 

Sempre di più, nel corso degli anni, alcune forze all’interno dell’industria vogliono risolvere l’apparente paradosso di una “moda democratica”: dopo che il fast fashion è stato dichiarato il nemico pubblico numero uno per la salute del pianeta, dopo che il mercato secondhand è diventato mainstream saturandosi e finendo per alimentare i consumi sempre più frenetici della Gen Z, l’intera industria dell’abbigliamento ha dovuto porsi di fronte al difficile problema dell’accessibilità. Il processo è già molto avanzato in America, dove brand come COS e Boohoo sfilano a New York a fianco di designer decisamente più avant-garde e dove designer come Ralph Lauren e Tommy Hilfiger hanno costruito il proprio successo sul connubio tra moda e commercialità diventando fenomeni di massa mentre persino la sfilata in strada di Vogue da 3000$ al biglietto poteva essere vista gratis dal balcone di casa degli abitanti del vicinato. In Italia a questo punto ancora non si è giunti: il più avanti in questo senso resta il Diesel reinventato da Glenn Martens che sfila alla fashion week ieri e può essere comprato a prezzi accettabili oggi, con diverse fasce di prodotto che vanno dalla mainline commerciale fino al pezzo unico di semi-couture come la “finta pelliccia” fatta interamente di jeans sfrangiati che non è disponibile per il pubblico generale. Altrove gli esperimenti di moda democratica riguardano più la moda come cultura e spettacolo che la moda come prodotto che è dunque visibile ma non accessibile. Ma dopo tutto è proprio nel nostro paese, così come in Francia o nel Regno Unito, che l’idea tradizionale di lusso si è formata nei secoli e mantiene ancora la propria inossidabile aura.

Negli ultimi anni, poi, certi prodotti e certi brand hanno assunto un appeal trasversale: i Boston Clog di Birkenstock si vedono tanto nella piccola provincia italiana che nel mezzo della fashion week, lo stesso vale per i completi workwear di Dickies, per le Converse Chuck Taylor, per i Wallabee di Clark’s o per le Vans. Tutti prodotti di brand che sono stati in grado, per un verso o per l’altro, di diventare desiderabili senza essere esclusivi o, per usare una parola che potremmo applicare al luxury fashion, escludenti. Purtroppo escludere rimane ancora la maniera migliore di generare valore: persino alle sfilate chi è in seconda fila si sente escluso dal front row e chi rimane in piedi si sente escluso dai posti a sedere numerati. E rimane comunque vero che queste dinamiche, quelle della rarità, della scarsità e della scarsa accessibilità riguardano meno la moda che la natura umana in sé e per sé. Non di meno l’industria della moda vuole tanto escludere quanto diventare un fenomeno di massa: a Milano, la pubblicità dei grandi brand di mezzo mondo vengono affisse alle fermate di bus che i clienti di quei brand non si sognerebbero nemmeno di sfiorare, le star più popolari reclamizzano i prodotti più inaccessibili - rivelando che senza l’attenzione delle masse le complesse macchine dei grandi brand di moda globali finirebbero forse per incepparsi ma soprattutto che se le community dei brand fossero limitate alla clientela di quei brand, sarebbero sicuramente molto più piccole e oscure. Come risolvere dunque il paradosso di una moda che vuole essere popolare senza diventare cheap? Ancora non si sa ma, come abbiamo visto a Milano e New York, molti ci stanno provando.