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Perché più di metà della Gen Z ha iniziato a comprare moda fake

Cultura del branding contro cultura della craftmanship

Perché più di metà della Gen Z ha iniziato a comprare moda fake Cultura del branding contro cultura della craftmanship

Ieri, un report della European Union Intellectual Property Office ha svelato, come riporta The Fashion Law, «che il 52% dei consumatori intervistati ha acquistato almeno un prodotto contraffatto online negli ultimi 12 mesi, e il 37% di loro ha acquistato il prodotto falso di proposito». Il sondaggio, che ha coinvolto individui tra i 15 e i 24 anni di tutti i paesi dell’Unione Europea, ha registrato un enorme aumento dei consumatori di prodotti fake che nel 2019 erano solo il 14% del totale. Di questi prodotti, il 31% era composto da abbigliamento e calzature e le principali cause addotte dagli intervistati per spiegare l’acquisto di fake sono state la convenienza economica, una letterale noncuranza nei confronti dell’autenticità del prodotto e la convinzione che non esista differenza tra vero e falso, oltre che la relativa semplicità con cui si possono condurre questi acquisti, citando tra i motivi anche l’influenza di persone che conoscevano. Le cose diventano ancora più interessanti quando si parla dell’opinione che gli intervistati avevano dei fake: la maggior parte ha detto che rinuncerebbero ai fake se i prodotti originali fossero più accessibili, se i fake fossero di pessima qualità, se la sicurezza della transazione online fosse compromessa o se i prodotti stessi si rivelassero essere pericolosi o dannosi per la salute. Molti di questi fake, come evidenziato anche da Highsnobiety, vengono da portali come DHGate, o anche da Vinted o Ebay, e su TikTok sono diventati popolari i video di haul di giovani membri della Gen Z che mostrano con orgoglio i propri acquisiti. I risultati di questa ricerca dicono qualcosa sia sulla nuova generazione di consumatori di lusso che sullo stato dell’industria della moda. 

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Sul piano dei consumatori, questo report non solo modifica il senso di quel dato secondo cui la Gen Z sarà responsabile per il 50% delle vendite di prodotti di moda, ma descrive anche la maniera in cui i membri di questa generazione si rapportano al concetto di lusso. Se sempre più giovani consumatori acquistano prodotti fake consapevolmente è perché le tattiche di marketing aggressivo dei brand di moda, diretti proprio alla Gen Z, stanno cominciando ad avere effetti collaterali: la desiderabilità dei prodotti brandizzati aumenta ma il desiderio suscitato nei membri della Gen Z si sfoga nel mercato dei fake e non in quello dei prodotti autentici - il risultato di un marketing rivolto alla massa ma con dei prezzi rivolti a un’élite. Chi compra dei fake, a prescindere da tutto, vuole vivere l’ebbrezza del logo senza il prezzo del logo – dimostrazione di come l’oltranza del marketing di moda abbia creato una forma mentis per cui un certo monogramma o un certo logo sono così desiderabili che le nozioni di qualità e autenticità del prodotto passano in secondo piano e l’unica cosa importante sia possedere un prodotto riconoscibile, vero o falso che sia. Non si tratta più di craftmanship né di esperienza in negozio o anche solo banalmente di qualità dei materiali – tutto si risolve nella natura puramente visiva di una certa silhouette o di un certo logo. 

Per i brand l’esplosione dei fake non rappresenta certo una rovina, dopo tutto questi dati significano solo che i loro prodotti sono così richiesti che i consumatori fanno carte false pur di averli. Eppure questa enorme diffusione di repliche e contraffazioni potrebbe rappresentare una reazione alla tattica dei brand di vendere, accanto a prodotti autenticamente lussuosi, anche prodotti brandizzati dalla produzione poco costosa come ad esempio t-shirt di cotone o ciabatte di gomma. La semplificazione del design pensata per il mercato di massa (praticamente ogni brand vende una versione logata delle Stan Smith o delle Converse) ha aperto le porte a nuove categorie di prodotti molto desiderati ma anche facilmente riproducibili come le già citate t-shirt e ciabatte ma anche come borse, hoodie, piumini o sneaker. Ma va anche fatto notare, da ciò che si può vedere negli haul di prodotti fake su TikTok, che molti dei fake che si vedono online non sono affatto raffinati come la stampa vorrebbe dare a credere: un occhio attento può vedere, anche attraverso TikTok, inesattezze nei font dei loghi o nelle etichette stesse, materiali e stampe scadenti e costruzioni chiaramente pedestri. Solo alcuni fake sono autenticamente convincenti – e dunque il problema sta nel fatto che chi compra fake non è in grado di riconoscere i veri colori di un motivo Dior Oblique, il lettering di brand come Prada o Gucci o la maniera in cui il cuoio di Bottega Veneta si pieghi morbidamente senza corrugarsi ovunque.

Tutto si risolve dunque in una questione di cultura. Chi possiede la cultura della craftmanship apprezzerà sempre non solo il prodotto autentico ma preferirà ai prodotti brandizzati altri prodotti che sono magari più anonimi ma anche più artigianali. D’altro canto, chiunque potrebbe comprare un fake se fosse irriconoscibile al 100% - ma a questo punto la craftmanship del falsificatore sarebbe identica a quella dei veri artigiani. Ma paradossalmente proprio la craftmanship è un elemento spesso trascurato nella comunicazione dei brand di moda, che si rivolgono al pubblico in termini di “esclusività” ma senza educare i nuovi consumatori ad apprezzare la perfezione delle impunture, la texture e la resistenza dei materiali, i trucchi e le preziosità della costruzione. Il risultato di questa enfasi sul branding lo dice il report dell’ EUIPO: una nuova generazione di consumatori così ossessionati dal logo da dimenticarsi della qualità.