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La community giusta è la chiave del successo

Il successo di New Balance raccontato da dove tutto è iniziato, Boston

La community giusta è la chiave del successo Il successo di New Balance raccontato da dove tutto è iniziato, Boston

Tutto è cambiato pressappoco nel 2019, con una delle più puntuali strategie di comunicazione della hype-era: «worn by supermodels in Milan  and dads in Ohio». La città della prima parte di affermazione cambiava a seconda della collocazione geografica di chi leggeva, ma il senso restava perfettamente lo stesso. Il rilancio della 990 di New Balance non passava solamente da una nuova shape, la v5, ma soprattutto da un posizionamento in grado di leggere perfettamente la sua contemporaneità e individuare il dad-core/normcore trend prima della sua definitiva esplosione. Già nel 1982, con la release della prima 990, NB aveva ridefinito uno standard: la prima running shoe ad abbattere il muro dei 100 dollari, diventando una hit culturale prima ancora che commerciale. Qualche anno dopo accadrà la stessa cosa, con il successo planetario delle 574, che sdoganeranno al grande pubblico l’idea stessa di New Balance. Il successo di quei lanci, però, non arriva solamente da una grande capacità di prevedere gusti e interessi del consumatore, quanto da un modus operandi - uno dei cosiddetti fattori “intangible” di una azienda - che NB ha poi riproposto in maniera frequente negli anni a venire e che trova la sua esternazione più visibile nel modo in cui seleziona le sue collaborazioni e i suoi brand ambassador. Un modo che incontra in maniera pedissequa le abitudini di una città, tra le più antiche d’America, capitale di uno stato che si fa chiamare “The Spirit of America”: Boston.

Per raggiungere Boston dall’Europa si arriva a toccare le coste della Groenlandia. Dai finestrini il paesaggio si trasforma da una distesa di ghiaccio a una distesa di campi da football, baseball o soccer, come si chiama dall’altra parte dell’Oceano. Anche in una nazione che ha un alto valore dello sport, Boston è una mirabile eccezione. Non è un caso se una città di “appena” 500 mila abitanti abbia eccellenze in tutti i principali sport di squadra americani: dai Bruins, ai Red Sox fino ai Celtics. Eppure, appena arrivati in città è impossibile non notare come il vero sport cittadino sia in realtà la corsa. Complice una struttura topografica abbastanza favorevole, negli anni la corsa ha generato una sorta di simbiosi tra le città e i suoi abitanti, una relazione legata a doppio filo alla Boston Marathon, la più antica maratona cittadina al mondo. Più o meno per lo stesso motivo che nel 1906 William Riley fonda a Boston la New Balance Arch Support Company, con l'obiettivo di trovare il giusto equilibrio per l’appoggio del piede. Da quel momento in poi la relazione tra il running, la corsa, e il brand è cresciuto in maniera esponenziale, fino ad arrivare alla creazione di The Track. Arrivo a Boston per l’inaugurazione del centro polisportivo di eccellenza, pensato per ospitare gli allenamenti degli atleti New Balance, della community così come lo sviluppo di un centro di ricerca, lo Sports Research Lab, che potesse permettere ai ricercatori di essere a stretto contatto con “la pratica”. Uno degli aspetti più significativi dell’iniziativa - a parte l’eccellenza tecnologica su cui si fonda - è l’aspetto culturale che promuove: durante la opening night il presidente Joe Preston ha ricordato come 50 anni fa Jim Davis e sua moglie Anna avevano comprato l’azienda con l’obiettivo unico di renderla sì una eccellenza nel mondo dell'atletica mondiale, ma anche di trasformare Boston Landing, la zona di Boston in cui si trovano sia The Track che l’HQ globale di NB, in un luogo di ritrovo unico nel suo genere per la comunità, un desiderio che finalmente si avvera. 

Di tutte le cose che possono colpire del modo in cui la “company culture” di New Balance è stata costruita negli anni, l’attenzione quasi maniacale alla cura della comunità è quella che colpisce maggiormente. Una comunità locale, prima di tutto. È impossibile rendersi conto di quanto il brand permei il tessuto cittadino senza passare almeno un pomeriggio passeggiando per downton e constatando quanto quel “dads in Ohio” sia in realtà applicabile a tutte le generazioni a Boston. Un rapporto tra brand e città che non ha probabilmente uguali. Ma quella stessa devozione alla comunità è scalabile globalmente, a partire da New York e arrivando, ad esempio, a Liverpool, Oporto o Roma. Servendosi del suo heritage, New Balance è stata in grado di cambiare la percezione globale del suo brand prima al di fuori degli Stati Uniti e poi, quasi per osmosi, al suo interno, attraverso attività mirate che hanno incontrato i gusti di un consumatore che stava mutando, in Europa quanto in America. 

Solo qualche giorno dopo l’apertura di The Track, New Balance e Aimé Leon Dore hanno annunciato l’opening della Masaryk Community Gym. La volontà di fare cose durature, che raccontino una storia e che “servano” per un motivo. Una challenge gigante per un brand delle dimensioni di New Balance, ma che rispecchia in maniera esemplare il modo in cui il brand ha scelto di lavorare, ad esempio, al Sacro Grail dell’era moderna: le collaborazioni. Tutte le collabo messe in piedi dal brand negli ultimi anni - ma anche prima - sono state finalizzate a creare rapporti duraturi e costruire un'estetica in cui fosse estremamente semplice posizionare New Balance. In questo senso, la collabo - che oramai non si può neanche più definire tale - tra NB e Aimé Leon Dore è esemplare. Dalla prima release in poi i due brand si sono nutriti l’uno del successo dell’altro, guadagnando scala mondiale e posizionamento reciproco e, cosa più importante, perpetrando un'idea precisa di quello che volevano rappresentare. Un rapporto così viscerale che ha portato Teddy Santis alla guida della divisione Made in USA di New Balance proprio da questa stagione, visibile in parte (anche se in maniera non ufficiale) nella collezione lifestyle che sfila all'inaugurazione del The Track. Aimé Leon Dore è però solo una parte: una delle altre è ad esempio Joe Freshgoods con il quale il brand ha sviluppato una collaborazione e una campagna volte alla promozione della black culture, attraverso la riscoperta dei tick e delle idiosincrasie riconoscibili solo dagli insider. E prima ancora Kith, Bodega, Jaden Smith e Salehe Bembury. Un lavoro possibile solo grazie, ed è poi il punto fondamentale della faccenda, alla community che New Balance ha costruito. 

Si parla spesso della necessità, per un brand, di costruire attorno a sé una community (intesa come person of interest) rilevante e che sposi i valori del brand. Discorsi che possono sembrare vacui, superflui e non influenti sulla percezione di un brand o sui suoi venduti. In realtà, la possibilità di individuare con facilità la figura di influenza più affine a un brand è la base del suo posizionamento e, in un secondo momento, il suo valore commerciale. Creare una community credibile è stato il motivo principale del successo di Nike e la ragione del perché tutti volevano “be like Mike”. Quello che sta accadendo, con le dovute proporzioni e scale, a New Balance è qualcosa di molto simile. La scelta degli ambassador in questo senso è estremamente importante per un brand, motivo per il quale le firme di Kawhi Leonard prima e Jack Harlow poi riassumono perfettamente il senso. Il rapper del Kentucky - un appassionato “OG” di New Balance fin dal suo primo singolo “What’s Poppin” (I got a check from the shoe company / Now I do anything that New Balance say) - è oggi tra i più popolari nonché influenti rapper in circolazione. Rappresenta un modo di intendere il rap estremamente vecchio ed estremamente nuovo allo stesso tempo ma, cosa più importante, è culturalmente allineato a quello che il brand vuole dire. E a come vuole dirlo. Harlow chiude la serata al The Track, introdotto da Storm Reid (MC dell’intera serata), cantando per la prima volta in live “First Class”, supportato da un pubblico che lo accoglie come una sorta di homeboy hero. 

Cambiare prospettiva è molte volte fondamentale per poter re-imparare a guardare e, nel farlo, riuscire a capire cose che poco prima sembravano misteriose, quasi magiche. L’industria dello streetwear, così come quella dello sportswear, si è interrogata spesso sulle ragioni del fragoroso successo di New Balance, di come quel copy abbia generato un effetto a valanga che oggi ha portato alla direzione creativa del brand uno che avrebbe potuto (e magari prima o poi…) raccogliere l’eredità creativa di Virgil Abloh. Ma passeggiando per Boston e avendo l’opportunità di dialogare con i product manager di New Balance Running, ascoltando come NB abbia estremamente beneficiato dell’allargamento dei consumer del mondo della corsa, di come si stia approcciando in maniera rispettosa al mondo della sostenibilità - attraverso la release della green leaf technology, un brevetto NB - e di come l’estetica dei suoi componenti non prevarichi mai la mission principale e originale del brand; facendo tutte queste cose da molto vicino la New Balance del 2022 non sembra solo comprensibile, sembra quasi ovvia.