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Cos’è sopravvissuto nella moda dello stile di Kill Bill?

A sedici anni dal suo arrivo sugli schermi, il film-fiume di Tarantino è una masterclass di stile

Cos’è sopravvissuto nella moda dello stile di Kill Bill? A sedici anni dal suo arrivo sugli schermi, il film-fiume di Tarantino è una masterclass di stile

Tra tutti i film di Quentin Tarantino ce n’è uno che ha segnato l’immaginario collettivo più di ogni altro: Kill Bill. Al di là dei suoi meriti cinematografici, Kill Bill è rimasto memorabile per i suoi personaggi la cui identità, come spesso capita nel cinema di Tarantino, è fortemente definita dai loro costumi. Il lavoro delle due costumiste, Catherine Marie Thomas e Kumiko Ogawa, è stato infatti “doppio”: ogni costume rappresentava una chiave di lettura dei personaggi e una citazione cinematografica. È proprio per questo che il costume design di Kill Bill rimane un unicum in tutta la filmografia di Tarantino: gli abiti sono i protagonisti di certe scene tanto quanto gli attori e la storia che hanno dietro fa parte integrante dell’anima citazionista del film. Nei suoi momenti più salienti, l’estetica di Kill Bill può fornire chiavi di lettura per interpretare e contestualizzare alcuni aspetti dell’estetica del decennio che sta per concludersi. 

Il più iconico di tutti gli outfit è la tuta gialla e nera indossata da Uma Thurman durante il suo scontro con gli 88 Folli, una falange di assassini della yakuza in completo nero e maschera di pelle. Nessuna eroina d’azione, prima di questo momento, aveva sfoggiato un look così appariscente e colorato. Lo stereotipo dell’eroina anni ’90 prevedeva come unico outfit un onnipresente tuta nera o comunque dei vestiti estremamente rivelatori: Trinity di The Matrix e Selene di Underworld erano vestite di latex e pelle nera, la Nikita dell’omonimo film di Besson era spesso in lingerie e tacchi alti mentre Ellen Ripley di Alien e Sarah Connor di Terminator indossavano semplici canottiere. La Sposa di Uma Thurman invece non ha mai avuto niente di sensuale, nessuna scollatura, nessuna pelle scoperta. Il suo outfit giallo e nero e le sue Onitsuka Tiger Mexico 66 erano orientate alla praticità: la Sposa era una guerriera non una seduttrice.

A distanza di sedici anni, quella tuta gialla e nera sembra profetica dei trend di moda futuri nella sua capacità di elevare esteticamente un capo di sportswear tramite un uso audace del color blocking per creare un look che rimanesse impresso nella mente degli spettatori. È ovvio che quella della Sposa non è stata la prima tuta dai colori accesi che si sia mai vista al cinema, ed è essa stessa (insieme alle Mexico 66) una citazione al film di Bruce Lee L’ultimo combattimento di Chen. Ciò che la rende speciale, però, è la sua natura di oggetto iconico, di abito il cui aspetto colpisce per se stesso né serve a esibire il corpo di chi lo indossa. Persino le celebri Onitsuka Tiger Mexico 66 indossate dalla Sposa potrebbero trovare un posto nello sneaker game odierno, sia perché ASICS è ancora oggi uno dei principali player, sia perché quelle che vediamo nel film sono sneaker customizzate: durante la scena del combattimento si può vedere infatti la scritta “Fuck U” incisa sulla suola della scarpa. Qualcosa di simile era accaduto quando Reebok creò una sneaker per il personaggio di Ellen Ripley in Aliens.

Il secondo outfit più notevole del film appartiene a un personaggio secondario che è comunque rimasto indelebile nella memoria dei fan. La killer Gogo Yubari, interpretata da Chiaki Kuriyama, si scontra all’ultimo sangue con la Sposa nella tipica uniforme delle liceali giapponesi: giacca, camicia bianca, un fiocco rosso al colletto, una gonna a quadri e un paio di Nike Blazer Low in suede. Questo look ha il merito di mettere insieme per la prima volta in un film d’azione la silhouette di una sneaker a quella di un abito dalla linea più sartoriale. Oltre che ai film Battle Royale e Master of the Flying Guillotine, il personaggio si ispira alla sottocultura anni ’60 delle sukeban, le ragazze giapponesi che formavano baby gang criminali e modificavano le proprie uniformi scolastiche ispirandosi ai fuorilegge dei film. Quello delle sukeban è uno stile che è nato sulla strada, che mescola uniformi e accessori punk in una maniera non diversa da quella di stilisti moderni come Demna Gvasalia ed è riecheggiato nella cultura giapponese nel kogyaru style e, in una lettura ancora più eclettica, dall’harajuku style.

Un’intera categoria di outfit del film invece è un classico di Tarantino: il completo nero. Tarantino, che è da sempre attentissimo ai costumi dei propri personaggi e ha lamentato l’esclusione dei suoi costumisti dalla corsa all’Oscar, ha sottolineato l’importanza che ha per lui il completo nero:

«Per questo ho insistito tanto per far indossare a tutti i personaggi de Le Iene quei completi neri. [...] Durante gli anni ’90, se indossavi un completo nero, sembravi un gangster. Sembravi uno con cui non si deve scherzare».

Il completo nero è abbastanza presente all’interno del film ma il suo highlight lo si trova nel guardaroba minimal di Elle Driver. Tutti i look di Elle Driver sembrano essere fuoriusciti da un archivio di Hedi Slimane. I più notevoli sono due: il tailleur bianco nella scena dell’ospedale con dettagli sartoriali disegnati sul tessuto in nero in una maniera che ricorda i custom di Joshua Vides e il completo nero con camicia in seta oversize che anticipa i look sartoriali e aggressivi di brand come Balenciaga e il Saint Laurent e il Céline di Slimane. A differenza di O-Ren Ishii, che col suo abito vuole rientrare nella tradizione da cui è esclusa per nascita, e di Vernita Green, che ha smesso gli abiti neri da killer e ora indossa i leggins e la felpa di una tranquilla madre suburbana, Elle Driver comunica uno status con i suoi tailleur - uno status di donna che, passi l’espressione, “porta i pantaloni” ma non rinuncia a dimostrare la propria superiorità anche nei minimi dettagli della propria estetica.

Anche se Kill Bill è un’epopea tutta al femminile, il racconto di come una madre si riunisce alla propria figlia, due personaggi maschili incidono profondamente sulla sua narrativa: il Bill del titolo, interpretato dall’iconico David Carradine e il sicario in pensione Budd. I loro due look sono assai simili e costituiscono due interpretazioni “alta” e “bassa” del medesimo trend: quello del cowboy-chic che ha dominato gran parte del 2019. Il personaggio di Bill è vestito con un completo nero con inserti in pelle, stivali neri e camicia: una moderna interpretazione del “man in black” degli spaghetti-western con un’estetica severa, che esprime autorità e forza. Il più vicino all’estetica contemporanea è il Budd di Michael Madsnen, che vediamo in jeans, stivali e cappello da cowboy e che sfoggia due camice diverse: una è la classica bowling shirt blu e nera, l’altra una camicia hawaiiana con stampe di onde e di palme. L’estetica del cowboy “moderno” è di sicuro la più grande profezia in fatto di moda contenuta nel film.

Menzione d’onore va poi al “Pussy Wagon”, il pick-up del becero infermiere Buck che la Sposa ruba in una delle migliori sequenze del film. Pur apparendo per pochi minuti sullo schermo, il pick-up giallo decorato con fiamme in aerografia, con il font anni ‘60 delle sue grafiche, suggerisce qualche riflessione. L’automobile è così memorabile da avere un nome proprio, è un oggetto iconico che è parte integrante dell’identità del film. Il motivo di questa iconicità è la sua voluta e autoironica volgarità, un cattivo gusto che, attraverso il filtro della consapevolezza, si capovolge e diventa all’istante di culto. Il motivo delle fiamme aerografate sulla carrozzeria, un classico caso di camp automobilistico, che è sopravvissuto nella cultura delle sneaker con le Vans Flame Old Skool e nella moda, a partire dai custom di Harley Davidson, passando per gli skater che orbitavano intorno a Thrasher fino alle mitologiche camice di Guy Fieri, si è infiltrato nelle collezioni di Prada e Dior Homme per per l’Autunno 2018 e in quelle di Vetements due anni prima. In definitiva il Pussy Wagon è un esempio pratico come font ed elementi grafici riescano a diventare memorabili in se stessi come ad esempio è capitato con i font creati da Shawn Stussy, che hanno determinato il successo e l’iconicità delle sue collezioni originali, e sono state recuperate per show di alto profilo come la Pre-Fall 2020 di Dior.

Ma qui si pone un’altra domanda: è il film che ispira la moda o la moda che ispira il film? È come il dilemma dell’uovo e della gallina e la risposta è molto più complessa di quanto potrebbe sembrare. Tarantino è un uomo innamorato del passato: quasi ogni costume è il riferimento a questo o quel film, a questa o quella sottocultura. Gli outfit presenti nei suoi film risultano così iconici perché sono pensati dal loro creatore e dai costumisti per esprimere chiaramente una personalità, veicolare impressioni mentali. Kill Bill si svolge in un’epoca indefinita, in cui il sobborgo americano dei nostri giorni convive con gli antichi samurai, un mondo in cui la cultura digitale non esiste e che allo stesso tempo prende ispirazione da un cinema vecchio di vent’anni. L’eclettismo dei riferimenti è ciò che rende i suoi personaggi così iconici, le sue icone non sono che rielaborazioni di altre icone.