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Guida completa all'Oscar per i migliori costumi 2019

Da Black Panther fino a La Favorita: tutto sull'Oscar della moda

Guida completa all'Oscar per i migliori costumi 2019 Da Black Panther fino a La Favorita: tutto sull'Oscar della moda

Lo scorso 22 gennaio sono state rese note le nomination per gli Oscar 2019, in programma nella notte (italiana) tra il 24 e il 25 febbraio. I premi sono assegnati dalla Academy of Motion Picture Arts and Sciences e rappresentano il più grande riconoscimento cinematografico, che celebra il lavoro di attori, registi, sceneggiatori, scenografi, produttori e anche costumisti. 
Quest'ultima è una categoria che spesso viene sottovalutata quando si giudica un film, i costumi tuttavia hanno un compito narrativo importante, quello di raccontare l’epoca in cui si svolge l’azione, la personalità e il grado sociale dei protagonisti. 
L'attività del costumista è quella di un vero e proprio designer di moda, realizzando prima bozzetti e disegni di vestiti, poi assemblati da un un gruppo di sarti professionisti. Proprio per la somiglianza di metodo, molti stilisti hanno curato i costumi di Hollywood, basti pensare alla passione di Auderey Hepburn per Givenchy, oppure a quella di Mensieur Dior per Marlene Dietrich. In alcuni casi i costumi hanno valorizzato film mediocri, come accaduto di recente al grande lavoro di Prada con Il Grande Gatsby. La lista delle collaborazioni è davvero infinita, da Armani a Gucci, ma anche Chanel, Fendi, Valentino e Versace. L'Italia da sempre eccelle per l’alta qualità del suo artigianato, che ha contribuito a portare il nostro cinema ai vertici mondiali, anche grazie a collaborazioni internazionali, basti pensare a Milena Canonero, vincitrice di 4 Oscar per Barry Lyndon, Momenti di GloriaMarie Antoinette e Grand Budapest Hotel.

Il lavoro del costumista è in equilibro tra la necessità di dover rispettare la verità storica e le possibilità creative, un lavoro calcolato che non si conclude con l'idea ma deve trovare una realizzazione concreta. Questi e altri sono i motivi per cui abbiamo voluto scoprire di più sui 5 film candidati all'Oscar per i migliori costumi 2019.

 

Black Panther - Ruth Carter

Il film della Marvel diretto da Ryan Cogler è il nono ad aver guadagnato di più nella storia del cinema, acclamato dalla critica in maniera unanime, è diventato il primo film su un supereroe a ricevere una candidatura agli Oscar come Miglior Film. Tra le 7 candidature, c’è appunto quella ai migliori costumi. Il protagonista del film è T’Challa, che eredita dal padre il trono di Wakanda, immaginaria nazione dell’Africa, apparentemente povera ma nei fatti ricchissima grazie ai giacimenti di Vibranio, un prezioso minerale alieno.

I costumi in questo caso aiutano a rivivere la natura selvaggia del continente africano, restituendo quel carattere tribale che i protagonisti cercano di difendere. La pellicola è stata al centro dell’attenzione a partire dalla sua uscita lo scorso febbraio, per il modo di interpretare la tradizione mischiandola con le tendenze di una cultura moderna, dalla musica agli atteggiamenti dei protagonisti, che dialogano con temi contemporanei e riferimenti politici inequivocabili. Il mondo black in tutta la sua fierezza, anche grazie agli abiti realizzati da Ruth Carter, la più importante costumista nera, due volte candidata agli Oscar per Amistad di Spielberg e Malcon X di Spike Lee, del quale è storica collaboratrice, anche in film come Do The Right Thing, simbolo del sentimento di orgoglio afroamericano come lo è il Marvel di Cogler.
I costumi sono ispirati a tessuti, vesti e monili dei popoli dell’Africa, come per esempio i dischi labiali, le armature Masaai, le maschere nigeriane, abiti del Laos, anelli al collo dello Zimbawe e mantelli Tuareg, ma anche i copricapi Zulù, la popolazione più numerosa del Sudafrica. Una scelta accurata dei vestiti è stato un modo per scansare gli stereotipi che circondano il popolo africano, con la stessa forza di altri elementi del film quali l’architettura e il linguaggio.
I 30 stilisti sul set hanno preso ispirazione dagli archivi etnografici di tutto il mondo, ma anche inevitabilmente dal fumetto, dalla moda contemporanea afro-punk e dai Sapeur, una particolare cultura dandy congolese. Sono i dettagli poi a completare i look, che essi siano preziosi monili o pitture per il corpo realizzate con argilla rossa e burro di Karitè, come quelle delle amazzoni del Dahomey.

I vestiti del Wakanda dovevano restituire un’immagine di un mondo non colorizzato, senza distogliere l’attenzione dalla trama, quindi i look diventano un’elemento di narrazione che spiega come i wakandans usino i vestiti come forma di espressione della comunità e dell’ordine sociale. Non è facile trovare un film mainstream come Black Panther che guardi alla moda africana, ma l’operazione di dimostrazione della bellezza tribale spostata in chiave moderna è notevole, allontanando si spera definitivamente quelle oscene visioni di indigeni con le ossa nei capelli o nel naso.
Al progetto hanno collaborato designer della scena moderna, mixando trame tradizionali o realizzando abiti in 3D. Tra questi ci sono il ghanese Oswald Boateng, Ikirè jones, Maxhosa e Duro Olowu, stilista amato da Michelle Obama.
La costumista Carter ha spiegato che l’insieme di codici che compongono il film non è da ridurre al concetto di afro-futurismo, così diffuso che potrebbe rischiare di prevalicare il film stesso se utilizzato senza la giusta consapevolezza sociale.

 

La Favorita – Sandy Powell

Sandy Powell è una delle costumiste più importanti di Hollywood, 12 volte candidata all’Oscar e vincitrice di 3 statuette, con Shakespeare in Love, The Aviator e The Young Victoria. La Favorita ci da uno sguardo dell’Inghilterra del 1708, epoca inesplorata cinematograficamente e trattata con un guardaroba anticonvenzionale dalla Powell.
La pellicola si regge su un punto di vista totalmente femminile e sul continuo parallelo con la vita moderna nei suoi intrighi e giochi di potere. Sono proprio gli abiti a proiettarci all’interno della dimensione storica, stravolgendola in modo sofisticato grazie all’uso di dettagli appartenenti a un epoca moderna.

Il regista Yorgos Lanthimos non aveva l’urgenza della verità storica. I colori opulenti degli abiti dell’epoca per esempio sono stati invertiti a favore di una tavolozza in cui dominano i bianchi e i neri. Sono stati utilizzati materiali chiaramente “sbagliati” come il denim e il vinile tagliato a laser, i quali hanno dato vita a una corte definita dalla Powell come “Punk Rock”. 

Le forme degli abiti avevano l’obbiettivo di rappresentare donne emancipate, mentre cavalcano indossando pantaloni, sportive con lo sguardo audace, senza perdere tuttavia la propria femminilità. I costumi si caricano anche di significati simbolici, come quello largo bianco indossato dalla regina, esemplificativo dello stato mentale ed emotivo della donna, logoro e indebolito. In questo senso quella che è una sorta di vestaglia da casa (realizzata con un copriletto trovato su eBay) descrive una situazione di intimità e debolezza.
Interessante è anche l’inversione di tendenza che decora i protagonisti maschili e minimalizza quelli femminili, l’effetto è quello di un’accentuata ed eccessiva vanità. Gli abiti dei personaggi femminili con tinte per lo più incolore, compensano l’assenza di complessità cromatica con trame e motivi decorativi della stoffa, i quali spingono i personaggi femminili ancor più in primo piano, staccandoli come singoli dal resto della folla a corte.

La vera impresa del film è stata quella di riuscire a realizzare un film in costume con un budget limitato rispetto ad altre produzioni, ma anche dalle sole 5 settimane concesse per ideare il mondo in cui Olivia Colman e Emma Stone sono assolute protagoniste. 

150 costumi e risorse limitate, una mossa non convenzionale per un film in costume, limitato nella fedeltà ma dal forte impatto visivo.

 

Il Ritorno di Mary Poppins – Sandy Powell

La tata più famosa di Hollywood torna ad aiutare una nuova generazione della famiglia Banks. Michael è adulto e vedovo, vive con tre figli e deve risolvere grossi guai economici che minacciano di togliergli la casa in Viale dei Ciliegi n°17. Mary Poppins torna in quello che è un ibrido tra un remake e un sequel, con molte aspettative e la speranza che non si perda l’elemento che ha reso il film Disney un vero classico intramontabile, la magia. Mary però, anche in questo film è portatrice di significati profondi, per una storia di formazione unica, candidata a 4 premi Oscar tra i quali quello per i migliori costumi, ancora con Sandy Powell, che si presenterà quindi agli Academy con due film. Con il personaggio impersonato da Emily Blunt la costumista ha fatto un tuffo negli anni ’30, più facilmente interpretabili rispetto alla moda vittoriana de “La Favorita”.

Un film nel quale spiccano macchie di colore vivaci e intense, la Powell ha dichiarato:

“L’unica volta in cui ho fatto davvero allusione al look originale del primo film è stato nella scena in cui Mary arriva dal cielo e che ha una certa somiglianza con l’originale ma è adattato al 1934, pensato per attirare un pubblico più contemporaneo”

In questa scena il cappotto blu stretto in vita con una cintura e due balze che cadono all’altezza della spalla, contrasta piacevolmente con il cappello e il foulard rossi, per un look che da un tocco nuovo allo stile edoardiano. Lo stesso look è poi invertito nei colori, con il cappello, leggermente inclinato in maniera sbarazzina, che da un timbro moderno a Mary Poppins.

“Volevo un blu che da lontano sembrasse un blu scuro, ma che avvicinandosi diventasse più luminoso. Grazie al nero ad esso mescolato, si riesce a evitare che sia un blu troppo vibrante o royal. Il cappello invece ha una tipica forma anni ’30 con tesa. Per il cappello ho scelto il rosso semplicemente perché ho provato molte forme diverse di cappello su Emily Blunt per vedere cosa avrebbe funzionato e cosa no con gli abiti” 

Gli anni ’30 sono stati descritti anche da corsetti e persino da un costume da bagno tipico dell’epoca, indossato per le avventure subacquee che vivono i protagonisti del film. I colori pastello caramellato nelle scene di animazione, che combinano bidimensionalità e tridimensionalità, sono realizzati in tela di cotone e calicò e ideati in dialogo con gli animatori, per fare in modo che risultassero delle stesse tonalità dei disegni.

Nella scena in cui compare Maryl Streep, Sandy Powell ha giocato con le forme del kimono, con tanto di frange sul fondo. L’obbiettivo iniziale era quello di far risaltare i colori brillanti, ispirati ai campioni degli anni ’20 e ’30, sul fondo nero, tuttavia la costumista ha optato per una stampa su un velluto dévoré dipinto a mano. Questo costume ha impiegato un dispendio di tempo altissimo, più di qualsiasi altra cosa del film, ma il risultato è davvero couture.
A differenza dell’altro film in gara, Sandy Powell ha avuto a disposizione 450 costumi, 467 paia di scarpe, 228 cappelli e un budget di due milioni e mezzo di dollari.

 
 

La Ballata di Buster Scruggs – Mary Zophres

Il film dei fratelli Coen distribuito da Netflix era stato presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia ed ora è candidato a 3 premi Oscar. Per la Miglior Sceneggiatura non Originale, Canzone e ovviamente Costumi. A realizzarli è stata Mary Zophres, statunitense già candidata nel 2011 per Il Grinta e nel 2017 per La La Land, ma autrice anche di film cult come Interstellar, Non è un Paese per Vecchi e Il Grande Lebowski. La Ballata di Buster Scruggs è solo l’ultima delle collaborazioni con i fratelli registi del Minnesota.
Il film è composto di 6 episodi che ruotano solo in apparenza intorno al mondo western e ai suoi stereotipi, sovrastati dalla morte e dall’aura epica delle storie di frontiera, vera ossessione dei Coen, i quali sembrano aver abbandonato il discorso metacinematografico di Ave, cesare!. La pellicola è ispirata ai film italiani degli anni ’60, mischiati con l’epica americana costruita sulla menzogna storica di indiani senza volto e cowboy girovaghi.

Una struttura che ruota intorno alla musica e a un immaginario così definito nei suoi elementi tipici doveva essere credibile anche nei costumi, per questo i personaggi si vestono da cowboy, nel modo più esplicito e manifesto possibile, spingendo i toni fino alla saturazione. È stato definito una sorta di musical in costume, regolato da un totale antinaturalismo, confermato dal bianchissimo vestito di Buster Scruggs, reperto archeologico di un immaginario hollywoodiano trapassato ma evidentemente non ancora abbandonato. Gli episodi alternano comunque la brillantezza dei vestiti nelle scene all’aperto, sempre molto luminose, con la cupezza degli abiti del terzo episodio, dal carattere noir. I toni si adattano al contesto ambientale, i bruni delle vesti sono gli stessi delle pelli degli animali, i chiari gli stessi del cielo e i verdi si mischiano con il paesaggio. 

Mary Zophres spiega che la ricerca non potendosi basare su fotografie, è partita da diari e libri, una costruzione snervante, passata attraverso processo creativo molto lungo, fatto di un gran numero di sketch, idee e ripensamenti. Liam Neeson nel film indossa un cappotto di pelle d’orso molto grande, realizzato a detta della costumista, con dei tappeti dell’IKEA - stessa soluzione adottata in Game of Throne - poi modificati a mano dall’artista Rob Phillips.

 

Maria Regina di Scozia – Alexandra Byrne

Il film racconta la storia di Maria Stuarda, regina di Scozia, e dello scontro con la cugina Elisabetta I d’Inghilterra, della loro rivalità storica e dello scontro religioso e d’amore. Uno scontro tra due donne che non piace all’aristocrazia maschile inglese. Il film ricerca la verità storica, ma tendendo a modernizzarla con anacronismi soap.
La costumista è Alexandra Byrne, candidata 3 volte con Hamlet, Neverland- un sogno per la vita e Elizabeth: The Golden Age per il quale ha vinto la statuetta. Non è la prima volta quindi che la Byrne lavora con questo periodo storico, ciò gli ha permesso di procedere in modo molto più istintivo, unendo una visione artistica al senso pratico. Il periodo elisabettiano è perfetto per i designer, così vasto nelle forme che permette di sperimentare con gli abiti e interpretarli in chiave moderna. La sterzata di simpatia hollywoodiana femminista mostra donne che sfruttano la sensualità. La sfida era rappresentata dal fatto di rendere sexy la regina, evitando di rappresentarla come la solita sovrana in tunica. Si punta su tessuti che funzionano in tutte le condizioni climatiche, gli elisabettiani sudavano nei propri vestiti, erano qualcosa da usare fino all’usura, come i moderni jeans. Proprio questo pensiero ha portato Alexandra Byrne a pensare di utilizzare il denim, che aggiunge modernità alla figura della regina.

Maria ha abiti che parlano del suo viaggio, con i colori azzurri della Scozia e il fango e la pioggia che decorano i tessuti, il denim in lei ha un forte valore simbolico nei suoi look, equilibrando gli elementi settecenteschi con quelli più moderni. La sua immagine cambia poi nel corso del film, seguendo le fasi della narrazione, dopo aver contratto il vaiolo la donna inizia a indossare colori diversi, monocromatici e desaturati.

Elisabetta è una donna più complessa e i costumi lo confermano, colori inevitabilmente contrastano con il colore bianco della sua pelle, con cui è iconograficamente passata alla storia alla storia. Gli abiti di Elisabetta hanno l’obbiettivo di rappresentare la sua interiorità, l’animo strategico e scaltro, non quello di una Vergine.

Come spesso accade per i film in costume, le fonti sono state i dipinti, ma anche un gran numero di lettere degli ambasciatori ai tribunali.

 

Dopo esserci appassionati a tutte e 5 le storie una cosa è certa, non vorremmo essere nei panni nei giudici della Academy of Motion Picture Arts and Sciences. Una preferenza però ci sentiamo di esprimerla, per un film che per complessità dei temi e dei modelli sembra davvero un gradino sopra agli altri 4. Per noi l'Oscar va a Black Panther, supereroe moderno e mai come altri parte della cultura che viviamo ogni giorno. Secondo voi, chi vincerà la statuetta?