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Il mito di Vans

Come il brand di skate partito da Venice Beach ha conquistato il mondo intero

Il mito di Vans Come il brand di skate partito da Venice Beach ha conquistato il mondo intero

Il mondo della moda trae continuamente ispirazione dalle sottoculture, e quella dello skateboard è stata una delle più abusate, copiate, raramente omaggiate. Una ricerca americana, condotta dal 2001 ad oggi, racconta come Vans sia diventato uno dei brand più amati dai teenager americani, andando a sorpassare adidas e dando filo da torcere a Nike, soprattutto sul mercato femminile. Vans, nei suoi 50 anni di storia, è stato in grado di rimanere sempre fedele a sé stesso, senza dimenticarsi mai delle proprie origini, riuscendo allo stesso tempo ad aprirsi un pubblico praticamente infinito. 

Siamo nella California di fine anni Sessanta, in particolare tra Santa Monica e Venice Beach. Lo sport prediletto da decine di ragazzi è il surf. Dovevi essere uno tosto per surfare qui però, soprattutto nella cosiddetta zona di Dogtown, dove quelli più coraggiosi e spericolati cavalcavano le onde tra i pilastri poggiati nel mare dell’allora fatiscente Pacific Ocean Park, un parco divertimenti abbandonato. L’unico problema era che le onde belle, da cavalcare, si trovavano fino alle 10 di mattina, poi poco o niente, quindi c’era bisogno di trovare un modo per occupare la giornata, se possibile allenandosi anche. I leggendari Z Boys, surfisti che appartenevano al team del Jeff Ho & Zephyr Shop, primo store di tavole da surf veramente artistiche e personalizzate, iniziano così ad utilizzare lo skateboard per i loro allenamenti. La tavola era stato il gioco preferito da milioni di bambini americani negli anni Cinquanta, ma con il passare del tempo era completamente caduto in disuso. Gli Z Boys riprendono quel vecchio gioco e iniziano a portarselo in giro per le strade di Venice, inizialmente sul lungo mare, per poter tenere sempre sott’occhio le onde, poi provando i trick che avrebbero fatto in acqua, e piano piano creando delle nuove mosse appositamente pensate per la strada. Sono Tony Alva, Stacy Peralta, e Jay Adams i rappresentanti più illustri di questo movimento, surfisti e skateboarder fuori dagli schemi, il cui destino si incrocerà con quello di Vans. (Per conoscere meglio il mondo degli Z Boys qui trovate il bellissimo documentario Dogtown and the Z Boys). 

I fratelli Paul e James Van Doren arrivano in California nel 1964, dove fondano insieme ai soci Gordon Lee e Serge Delia, la Van Doren Rubber Company, ora conosciuta come Vans. I due fratelli arrivano dal Massachussets, dove lavoravano per la Randolph Rubber Manufacturing Company, la prima azienda a produrre scarpe da skateboard, molto simili ad un modello di Keds. I Van Doren arrivano inizialmente in California proprio per gestire una filiale della Randolph Rubber, e in poco tempo decidono di creare un loro marchio. Il 16 marzo 1966 apre a Anheim, California, il primo store della Van Doren Rubber Company. Ciò che differenzia fin da subito questa azienda da tutti gli altri calzaturifici è il metodo di produzione: le scarpe vengono infatti create al momento, quasi su ordinazione, il cliente entra nel negozio, sceglie un modello campione e solo a quel punto la scarpa viene effettivamente prodotta, in modo da tagliare i costi di produzione, cercando di non ritrovarsi con della merce invenduta, aumentando così i profitti. Il primo giorno di apertura sono 12 i clienti che si presentano in negozio, dopo aver scelto tra i tre modelli prodotti da Vans, viene chiesto loro di tornare nel pomeriggio a ritirare il loro acquisto. Tutti e 12 si ripresenteranno nel pomeriggio. Una delle prime scarpe vendute è la Vans #44, l’Authentic, la prima scarpa iconica scarpa del brand, che aveva già la cosiddetta Waffle Sole, la suola con la trama che ricorda un waffle.

Il piano di azione di Paul e soci sembra funzionare, pertanto l’azienda decide di aprire nove nuovi negozi, di cui però solo quattro generano profitti. Nonostante i partner di Paul e soprattutto i contabili gli consigliassero di chiudere gli store che non fatturavano, Paul pensò che aprendo un numero sempre maggiore di negozi, Vans avrebbe prodotto più sneaker, abbassando in questo modo i costi di produzione e aumentando invece il profitto, compensando in questo modo la perdita di denaro causata dai negozi che guadagnavano meno. Leggenda vuole che Paul cercasse nuove location e locali in cui aprire il lunedì, ed entro la domenica della stessa settimana un nuovo Vans Store era aperto. Per i primi dieci anni di attività la compagnia fece molta fatica a restare a galla. Ciononostante, a livello di customizzazione Vans era avanti anni luce. Grazie all’innovativo metodo di produzione, infatti, i clienti potevano praticamente disegnare la loro scarpa ideale, avendo persino la possibilità di portare tessuti e materiali a loro scelta. Vans nel giro di un giorno riusciva a consegnare la sneaker dei loro sogni.

Vans era perfettamente consapevole di chi acquistava i loro prodotti e i vertici dell’azienda si erano infatti accorti che erano i surfisti a scegliere molto spesso le loro scarpe per allenarsi sullo skate. Sono proprio Tony Alva e Stacy Peralta che, nel 1975, si rivolgono direttamente a Vans chiedendo di produrre un modello disegnato appositamente per gli skater, facendo loro stessi da consulenti per il design e la scelta dei colori e dei materiali della scarpa. L’azienda dei fratelli Van Doren crea quindi la #95, la Era, una delle scarpe più vendute del marchio, la scarpa di una generazione intera di skater. La tomaia rinforzata rendeva la sneaker più resistente agli urti e alle cadute, molto frequenti durante gli allenamenti. Il fatto che spesso la Era fosse bicolore lo si deve in particolare ad Alva, che una volta entrò in negozio indossando solo la scarpa sinistra, blu, e ne prese a caso un’altra, rossa. A Vans viene quindi l’idea di creare una Era bicolore, e la prima sarà proprio blu e rossa.

È inoltre in questa sneaker che appare per la prima volta il logo “Off The Wall”, che ancora oggi è parte integrante del simbolo di Vans. Secondo la leggenda l’espressione Off The Wall la si deve ancora una volta ad Alva. Durante un allenamento in una piscina vuota, rannicchiato sullo skate, tenendosi ancorato ad esso con una mano, Alva si staccò praticamente da terra, prese quasi il volo, uscendo dalla piscina stessa. Skip Engblom, un altro membro degli Z Boys, assistette alla scena e disse “Cavolo, sei andato proprio oltre, hai superato i limiti (You went off the wall)”. L’espressione è entrata poi stabilmente a far parte dell’universo Vans.

Da questo momento in poi Vans si rivolge con convinzione e orgoglio al mercato degli skater e nel giro di due anni produce tre modelli destinati a diventare dei best seller assoluti. Nel 1977 arriva la #36, la Old Skool, la prima scarpa sportiva ad avere degli inserti in pelle, per una maggiore resistenza e durabilità, decorata dalla Sidestripe, quella linea bianca che diventa fin da subito il simbolo delle scarpe Vans, e che aiuta a distinguerle da quelle più riconoscibili di adidas e Nike. Poi è il turno della #93, la Slip-on, diventata celebre nella versione a scacchi. Infine, nel 1978, nasce la #38, la Sk8-Hi, la prima scarpa da skate alta, che arriva alla caviglia, per proteggere ulteriormente il piede dell’atleta e per mostrare ancora più chiaramente la Sidestripe.

Nel 1980 Vans riceve una chiamata dagli Universal Studios, stanno producendo un film, Fast Times at Ridgemont High, che racconta la storia di un giovane skater di Santa Monica. Il protagonista è un certo Sean Penn che dice alla produzione che essendo uno skater, il suo personaggio deve assolutamente indossare un paio di Vans. Il marchio dei Van Doren manda alla produzione diverse sneaker, e nel film Penn indosserà le ormai iconiche Slip-On a scacchi. Il ritorno d’immagine ed economico per Vans è enorme, l’anno dell’uscita del film le vendite raddoppiano, da $20 milioni di dollari dell’anno precedente a $45 milioni.

Nonostante questo grande successo, gli anni Ottanta rappresentano un periodo difficile per Vans. La compagnia cerca infatti di espandersi in quanti più mercati possibili, da quello della danza a quello del running, trovandosi però costretta a dichiarare bancarotta nel 1984. Oltre alle difficoltà economiche, Vans si vede obbligata a rinunciare a troppe opportunità. Per esempio, nel 1984 Stacy Peralta dirige il suo primo film dedicato alla skate culture, The Search for Animal Chin, ma non potendo Vans fornire le proprie scarpe al set, gli attori decidono di indossare delle Nike Air Jordan. È soprattutto la competizione con Nike che si fa sentire maggiormente in questi anni, Michael J Fox aka Marty McFly in Ritorno al Futuro va sulla tavola con delle Nike, e Farah Fawcett viene fotografata sullo skate con un paio di Cortez. Quasi miracolosamente nel 1987 Vans riesce a riemergere e ad assolvere completamente il debito di $12 milioni.

L’anno successivo nasce una nuova sneaker iconica, la Vans Steve Caballero, ispirata ad un’altra leggenda dello skate, sempre in versione high-top. Caballero skatava davvero con quella scarpa e molto presto si rese conto che era troppo alta, che stringeva troppo la caviglia, rendendo più difficile il movimento, perciò decide di tagliarla, letteralmente, creando una versione mid-top, una via di mezzo. Caballero si rivolge poi direttamente a Vans, chiedendo di mettere in produzione il modello da lui artigianalmente realizzato. Nel 1992 arriva quindi la Half Cab, uno dei maggiori successi di Van Doren e soci. 

Ormai il marchio è completamente affermato, può permettersi di avventurarsi in nuovi mondi e in nuovi sport, organizzando decine di eventi sportivi (surf, BMX, snowboard, motocross) e competizioni, decidendo perfino di quotarsi in borsa. Nel 1996 Vans lancia una collaborazione decennale, con quello che all’epoca era un piccolo brand conosciuto e amato dai veri appassionati di Skate, Supreme New York. Sappiamo tutti come è continuata la storia di Supreme, che continua a lanciare ogni anno capsule con Vans.

La disponibilità economica quasi infinita di Vans permette ai Van Doren di rimediare agli errori del passato, andando a chiudere un cerchio. Nel 2001, infatti, Stacy Peralta dirige un nuovo film, Dogtown and Z Boys, un documentario monumentale e iconico su quella che era stata la California di fine anni Sessanta, raccontata dai leggendari membri del team del Zephyr Shop, un tempo e un luogo parte integrante del DNA di Vans. Il marchio questa volta partecipa al film al 100%, che ha come voce narrante un altro volto famigliare, quello di Sean Penn. La pellicola trionfa al Sundance Film Festival e Vans entra così a far parte della storia del cinema.

Non avendo praticamente niente più da dimostrare, Vans continua a fare solo ciò in cui crede. Nel 2004 viene lanciato sul sito del brand Vans Customs, il servizio di customizzazione che permette ai clienti di scegliere colori e materiali della loro Vans, praticamente la versione tecnologica di quello che i fratelli Van Doren avevano sempre fatto. Continuano inoltre le collaborazioni con atleti (lo skater Anthony Van Engelem è il primo ad indossare abbigliamento firmato Vans, lo stesso faranno lo skater Christian Hosoi e il surfista Joel Tudor), lo skater professionista Chima Ferguson crea la Chima Pro, la prima sneaker disegnata da un atleta in oltre sei anni, nascono le collezioni create con Simpsons, Disney, Beatles, Takashi Murakami.
Nel 2011 le vendite del brand superano il miliardo di dollari.

Con il passare degli anni Vans, da brand amato e indossato solo sulle strade da skater, surfisti o giovani ragazzi, è entrato a far parte anche del mondo dell’alta moda. L’ex direttore creativo di Celine, Phoebe Philo, si presentava sempre alle sfilate della maison con un paio di Slip-On a scacchi, a cui si è ispirata per crearne una versione luxury per il suo brand; esempio seguito poi da Saint Laurent e Givenchy. Nel 2017 è il Kaiser della moda, Karl Lagerfeld, a disegnare una collezione per Vans.

Da piccolo calzaturificio nato tra le strade assolate della California a brand riconosciuto e amato in tutto il mondo, il marchio dei fratelli Van Doren ne ha fatta di strada, anche se viene spontaneo chiedersi che cosa ne pensano gli Z Boys di questa evoluzione...