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Ralph Lauren: 50 anni tra preppy & hip-hop

La storia di come il brand americano è diventato il simbolo della Lo-Life

Ralph Lauren: 50 anni tra preppy & hip-hop La storia di come il brand americano è diventato il simbolo della Lo-Life

Tra i vari show della NYFW uno su tutti appare oggi interessante analizzare: quello di Ralph Lauren, che con la Ready To Wear Spring Summer 2019 celebra i 50 anni del suo brand.

Non è tanto il traguardo celebrato che cattura la nostra attenzione, non è la longevità del marchio, ma la sua storia, il percorso intrapreso negli anni, che sembra confermarsi ancora una volta con questa ultima collezione, e il destino che inevitabilmente si è “imbattuto” su Ralph Lauren.

 

Ebreo di origine, cresciuto nel Bronx, ha cambiato il suo nome e ha dato vita al suo brand, pur non avendo la minima idea di cosa volesse dire disegnare un capo o tanto meno realizzarlo. Sapeva bene cosa voleva però: creare un brand per la gente per bene, per la famiglia tipo americana: bionda, ricca e felice. Pur probabilmente non avendo mai giocato a polo, Ralph decise di chiamare così il suo brand, volendo già puntare in alto, identificando il suo lavoro con la sua clientela ideale, quella a cui aspirava. 

Qualcosa nei suoi piani andò fortunatamente o sfortunatamente storto. Non solo riuscì a catturare il pubblico da lui desiderato, ma la natura aspirazionale del brand - il sogno che raccontava - arrivò ai giovani ragazzi afroamericani che animavano i ghetti. La cultura hip-hop, trovò in Polo il suo marchio preferito, quel marchio che permetteva di esprimere a pieno la loro identità pur non essendo stato creato esattamente per loro. L’uso e gli accostamenti differenti che venivano realizzati nelle strade, esprimevano allo stesso tempo la volontà di essere meglio di ciò che si era e la voglia di rivoluzionare gli schemi esistenti. L’hip-hop scelse Ralph, facendone rapidamente crescere la popolarità e le vendite. Probabilmente vendite non è esattamente il termine più corretto per descrivere il trend. Si assiste infatti negli anni ‘80 al sorgere di una delle sottoculture più interessanti degli ultimi decenni: la Lo-Life.

Due diverse crew con sede a Brooklyn il cui tratto distintivo era quello di vestire interamente Polo. Dalle calze al cappello, tutto doveva matchare e riportare gli iconici cavallini, corone o orsi. Più capi Polo indossavi meglio era. 

Il nome Lo-Life nasce dalla fidanzata di Thirthin - uno dei fondatori del movimento- che vedendo il suo uomo prendere il numero di una ragazza esclamò: “That’s some lowlife shit”.

La Lo-Life ebbe una forza eccezionale nel far crescere la popolarità di Polo e Polo Sport: tutti i rapper e non solo, erano attratti dai colori vivaci del brand, dai maxi logo, dalla possibilità di invertire i significati che quei capi avevano. Possederli era l’unica cosa che contava. Per questo motivo i vari Barneys, Saks Fifith Avenue e gli store Polo venivano periodicamente saccheggiati. La merce rubata veniva poi indossata o rivenduta, e il mercato parallelo che si andava a creare era decisamente enorme.

Ralph Lauren probabilmente non era particolarmente entusiasta di ciò che stava avvenendo per le strade, ma sicuramente riconosceva che tutto ciò stava rendendo il suo marchio un’icona. Fu proprio dal suo non prendere una posizione in merito che brand con FUBU (For Us By Us) nacquero, combinando gli insegnamenti del maestro alla valorizzazione della cultura hip-hop e alla centralità della popolazione afroamericana. Polo è nella storia dell’hip-hop uno dei brand più citati nei testi; anche la nuova generazione capitanata da Kanye West - a cui va il merito di aver riportato in alto il brand ai tempi di College Dropout- non resiste al suo fascino esclamando “Thank you Ralph”.


Quasi trenta anni dopo Ralph sembra - pur senza mai averlo ammesso - imparato la lezione.

Il rilancio della ’92 Stadium Series e della Snow Beach, testimoniano, insieme all’ultimo SS19 show, che Ralph Lauren non può fare a meno delle sue due componenti, quella preppy e quella hip-hop.