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"Nice To Read You": identità digitali esplorate dall'artista visivo Alessandro Apai

La tua presenza digitale può determinare chi sei, cosa ti rende felice e cosa vuoi dalla vita?

Nice To Read You: identità digitali esplorate dall'artista visivo Alessandro Apai La tua presenza digitale può determinare chi sei, cosa ti rende felice e cosa vuoi dalla vita?

Il concetto di identità viene generalmente descritto come i caratteri distintivi di un individuo, i principali fattori del suo fisico o della sua psiche utilizzati per determinare un'idea generale a cui associare una persona. Nella vita quotidiana influenziamo il modo in cui il mondo ci percepisce attraverso il nostro vestiario  e il nostro comportamento che il mondo esterno interpreta liberamente a partire da questi indizi incosci.

Nel panorama digitale, però, questo processo è più meticoloso. Abbiamo infatti un maggiore controllo su ciò che mostriamo di noi al mondo tramite i social media: la percezione che gli altri hanno di noi è il risultato di feed di Instagram o post di Facebook filtrati e curati con cura, col fine di creare una proposta di come vogliamo che il mondo ci veda. Puro auto-design. L'ultimo progetto dell'artista visivo Alessandro Apai intitolato Nice To Read You, esplora questo panorama di identità digitali come performance quotidiana usando l'introspezione e l'autoanalisi come una mappa per ricavare la propria mentalità filosofica.

Con una serie di immagini scattate dal fotografo Paolo Prendin nella forma di una carta d'identità o di una foto di passaporto, un casting milanese di Kikiesse Casting e un Manifesto di Willy Ndatira, la serie di foto pone la domanda se dei completi estranei possano rispondere a domande esistenziali su chi siamo, cosa ci rende felici e cosa vogliamo dalla vita, attraverso il giudizio delle nostre personalità digitali. nss magazine ha scambiato due parole con l'artista per un'ulteriore visione del progetto e del concetto.

Qual è stata esattamente l'ispirazione per un progetto di questo genere?

Riguardava soprattutto l'interesse dei giovani, in termini di cultura e abitudini, che guidano questo progetto. Si trattava di mostrare questa dualità personale che molti oggi sentono. In questa era digitale siamo rappresentati sia da un volto e un corpo, sia da dati digitali e informazioni personali e abbiamo voluto esplorare questo fenomeno. 

Tutti i partecipanti al progetto erano parte della Gen Z?

Abbiamo lavorato con Kikiesse Casting per selezionare un gruppo multietnico di persone dai 15 ai 30 anni. Quindi i partecipanti erano della Gen Z e dei millennial.

In base alla tua esperienza, credi che la Gen Z passi più tempo a curare le loro identità online rispetto ai Millennial e alle altre generazioni?

La Gen Z e i Millennial sono entrambi abbastanza influenzati dal mondo digitale. La Gen Z ha iniziato ad avvicinarsi a Internet in un'età molto giovane e ciò fornisce loro un approccio più naturale alla tecnologia. Si sentono davvero parte di una grande comunità, ne trae beneficio la loro autostima e ne vanno orgogliosi. Ed è un modo interessante e molto contemporaneo di far sentire la propria voce al mondo, soprattutto rispetto alle generazioni passate che avevano modi più tradizionali di lasciare il segno. Direi che la Gen Z porta molta più personalità ed estetica al mondo digitale, mentre le generazioni più vecchie portano riferimenti culturali che vengono dal vecchio mondo analogico, ma ogni cosa è un mattone messo sopra l'altro con tutti i diversi modi in cui scegliamo di lasciare le tracce della nostra esistenza nel mondo.

Quali aspetti di un profilo Instagram personale o dei social media in generale costituiscono un'identità digitale?

La costruzione dell'identità digitale si basa principalmente sui contenuti, le abitudini e l'atteggiamento tenuto sulle singole piattaforme. Su un primo livello c'è uno specchio della propria identità che riflette loro stessi e e il loro circolo sociale (come i selfie nelle storie di Instagram, o le foto con gli amici). Questo livello si compone delle cose che condividono, dai contenuti che ricevono like, dagli account che seguono e dagli argomenti di cui discutono. Poi c'è un altro livello "nascosto", che riguarda i dati. Dico nascosto perché di solito i dati sono usati con meno consapevolezza. Questi dati dicono tutto su di loro: luoghi visitati, compleanni, brand preferiti, oggetti che acquistano e gli account che visitano di più. Tutte queste informazioni vengono utilizzate come un filtro per personalizzare l'esperienza che gli utenti hanno su ciascuna piattaforma, proprio come nella vita reale, ognuno di noi costruisce la propria "sfera" tramite i propri rapporti e abitudini, basandosi su azioni, gusti personali ed esperienze pregresse.

Qual è stato l'aspetto più interessante della cura di questo progetto?

Di sicuro lo studiare un gruppo specifico di giovani adulti contemporanei. Sono loro il carburante del futuro e una rappresentazione trasparente dell'intera società contemporanea. Di conseguenza, forse la fase più interessante di questo progetto è stata il questionario iniziale, che abbiamo chiesto ai modelli di compilare quando sono arrivati in studio. Era un modo di conoscere il coinvolgimento personale di ciascuno. C'erano varie domande sulla vita reale e digitale, ed è stato interessante vedere la combinazione di memoria, carte d'identità e telefoni che utilizzavano per rispondere a tutte queste domande.

Secondo te, le nostre identità digitali sono rappresentazioni accurate di chi siamo o più rappresentazioni di chi vogliamo essere?

A ben vedere, ogni elemento è correlato da una forma di comunicazione non verbale, quindi è un mix di entrambi: chi vogliamo essere si basa anche su chi siamo realmente. È un discorso simile per la scelta di abbigliamento e stile personale. Ci "progettiamo" ogni giorno quando ci vestiamo, decidiamo che tipo di marchi, stile, capi rappresentano meglio la nostra personalità. Gli account dei social media funzionano in modo molto simile: è un modo per esprimere gusti personali, relazioni, religione, status sociale, opinioni politiche... Tutto questo è solo all'interno di ogni account, come un'estensione di se stessi. Ovviamente non è un flusso di pensieri completamente aperto, quindi si può decidere cosa mostrare, ma con un occhio analitico si possono trovare molti messaggi spontanei su ogni post.

Ci sono pericoli derivanti dalla libertà di alterane la percezione che il mondo ha di noi?

Il problema principale e specifico del mondo digitale riguarda l'aspetto fisico e gli standard estetici che vengono imposti. È importante arrivare al punto in cui valorizziamo le imperfezioni rimuovendo i filtri superficiali. Ma in generale penso che il livello di pericolo online sia uguale a quello che si corre nella vita reale. Ad esempio, se qualcuno vuole usare questa maschera sociale per ferire qualcuno intenzionalmente, allora potrebbe farlo facilmente anche al di fuori di Internet, e questo fa parte dell'umanità. C'è sempre un lato oscuro. Il che dimostra che, indipendentemente dal bene o dal male, queste abitudini digitali sono una pratica molto umana, anche se si tratta di numeri e coding, tutto potrebbe ridursi a una proiezione del nostro cervello. Se ci pensate, anche i telefoni sono uno strumento pericoloso: nelle nostre mani abbiamo un oggetto che contiene le nostre informazioni finanziarie, abitudini alimentari, emozioni, piaceri colpevoli, segreti, informazioni sul lavoro, informazioni sulla salute e pettegolezzi. Tutto è dentro questa pietra rettangolare, è primitivo, stiamo basando la nostra vita su queste pietre, come nella preistoria.

Qual è il futuro di questo progetto? Ci sarà una seconda parte? Installazioni o mostre?

Il nostro outlet creativo Via Piave 33 rilascerà una componente fisica del progetto. Produrremo capi, oggetti e un editoriale basato su questo concetto. Ci sarà anche un evento ad un certo punto. In generale con VIA PIAVE 33 speriamo di creare più esperienze, ed esplorare diversi argomenti, capi, oggetti, immagini, video ed esposizioni.