Vedi tutti

La strana atmosfera della seconda serata di Sanremo

Un racconto di Sanremo – Parte II

La strana atmosfera della seconda serata di Sanremo Un racconto di Sanremo – Parte II

La seconda serata del Festival di Sanremo di ieri sera è stata strana: chiusa in fretta e furia prima dell’una, con il palcoscenico inondato da fischi durante il momento della classifica, piena fino all’orlo di prediche più o meno velate ma soprattutto stranamente riempita di vecchie glorie che hanno cannibalizzato lo spazio delle nuove proposte. La sensazione è stata come se stesse succedendo qualcosa dietro le quinte e tutti fossero agitati e confusi. A graziare il palcoscenico, però, a fianco di un Amadeus che pareva un po’ teso c’è stata Lorena Cesarini, splendida in Valentino e Roberto Cavalli, che, anche se tradendo una certa emozione e un comprensibile spaesamento, ha portato sul palco dell’Ariston una ventata di spontaneità che è stata come una fresca brezza primaverile in un museo delle mummie.

Le parti migliori della serata, per inciso, sono state dei giovani: Sangiovanni, Irama, Ditonellapiaga e Matteo Romano su tutti – seguiti dalle altre giovani proposte (Highsnob & Hu, Aka 7even e Tananai, il cui outfit di Dior era meglio della sua canzone, no offense) che hanno mostrato una bella presenza scenica ma con canzoni meno monumentali di quelle portate dalle vecchie glorie che hanno invaso il palco. Emma, Le Vibrazioni e Giovanni Truppi non mi hanno proprio esaltato. Emma stava per riconquistarmi (anche se non sono mai stato un fan) ma poi ha mandato quel bacio schioccante in camera che mi ha fatto un po’ crollare. Le Vibrazioni dovevano forse vibrare più intensamente, come anche Fabrizio Moro, mentre la canzone di Giovanni Truppi non era esattamente un travolgente uragano emotivo.

Parlando di vecchie glorie, se la prima serata è stata piena di uomini, questa seconda lo è stata di donne, praticamente tutti i pesi massimi della canzone femminile degli ultimi vent’anni: la migliore ovviamente è stata Donatella Rettore che, anche se truccata con un make-up verdognolo (era verdognolo?) che ricordava i primi film di George Romero, ha massacrato la concorrenza. Monolitiche sono state poi Laura Pausini e Iva Zanicchi, vestite di nero come in un’armatura: dopo una canzone scritta da Madame, Laura ha cantato con Mika I have a dream degli ABBA, entrambi erano ingessatissimi (Mika mi sta anche simpatico, eh, solo che ieri sembrava che l’avessero tirato fuori dalla naftalina) e io ho avuto un flashback traumatico a Lea Michele in Glee; la Zanicchi è arrivata sul palco ridendo e scherzando come una nonna affettuosa ma quando ha cominciato a cantare sembrava Danaerys Targaryen che mette a ferro e fuoco Approdo del Re. La sua canzone è stata un ritorno alla classica mega-canzone d’amore italiana, enfasi sul “classica”, e dunque non particolarmente innovativa ma granitica e potente come la sua cantante. 

Infine, quasi a sorpresa, la principale pretendente al trono di Sanremo, venuta a sfidare l’uber-successo di Mahmood e Blanco: Elisa. Prima di tutto – quella donna non invecchia, è incredibile come il suo viso sia praticamente lo stesso di vent’anni fa quando io devo combattere con le occhiaie ogni mattina. Secondo di tutto – datemi più outfit di Valentino please perché quello che indossava era una hit. Terzo di tutto – con tutto il bene che vogliamo a Elisa, la sua ballata rock merita davvero il primo posto contro Brividi? I think not. Due note irrelate a lato: 1 - Margherita Mazzucco e Gaia Girace sono brave attrici, forse le uniche italiane coinvolte in una serie internazionale di livello, perché farle arrivare sul palco per dargli una pacca sulla spalla e mandarle via dopo cinque minuti?; 2 - Se muore Monica Vitti, mi aspetto molto più di un frettolosissimo omaggio iniziale, dedicate qualche minuto in più a lei e qualche minuto in meno a quella nave da crociera green, non penso che gli affari di Costa Crociere ne risentirebbero eccessivamente, considerata la circostanza.

Infine, come ultimissima considerazione, vorrei domandare pubblicamente alla Sala Stampa quale di preciso sia il loro problema. Ieri sera questi giudici invisibili si erano alzati dalla parte sbagliata del letto, oppure gli avevano sbagliato l’ordinazione al ristorante, non ne ho idea, fatto sta che erano nervosi e hanno onestamente dato i loro voti ad mentula canis (uso il latino per sfuggire alle censure). Su Elisa hanno azzeccato, eh, è stata la migliore di ieri, ma Irama, Iva Zanicchi e Matteo Romano meritavano di essere molto più up nella classifica – che non a caso è stata fischiata come poche. Irama ha stile, è bravo, sta assumendo quel vibe da capo di una setta anni ’70 (pensate a un Charles Manson ma senza gli omicidi) che colpisce ogni sweet spot possibile. Iva Zanicchi è un’istituzione nazionale, non fanno più artiste della stessa inossidabile pasta e andrebbe celebrata e non relegata al fondo della classifica. E Matteo Romano, infine, è giovanissimo, è bravo e magari Virale non sarà rivoluzionaria ma suona come una canzone scritta in questo secolo – e meritava decisamente un posto molto più alto.  Aggiungo anche che il pubblico non è stupido, dunque se gli organizzatori danno annunci all’ultimo secondo al povero Amadeus, tipo quello della chiusura, o tipo il misterioso addetto ai lavori che a un certo punto ha invaso l’inquadratura di uno dei conduttori d’orchestra, il casino delle entrate e delle uscite della Zanicchi e via dicendo, lo notiamo tutti. Per stasera, ve ne prego, capitevi tutti meglio fra voi.