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Come Beyoncé ha utilizzato la moda in "Black is King"

Il nuovo visual album di Beyoncé è soprattutto un inno alla bellezza nera

Come Beyoncé ha utilizzato la moda in Black is King Il nuovo visual album di Beyoncé è soprattutto un inno alla bellezza nera

Fu Beyoncé a scegliere Tyler Mitchell come fotografo per l’edizione di settembre di Vogue del 2018, rendendo l’allora ventitreenne di Atlanta il primo fotografo afroamericano a scattare una cover di Vogue: «fino a quando non ci sarà un mosaico di prospettive proveniente da etnie diverse dietro l’obiettivo, continueremo ad avere una visione ristretta di com’è il mondo realmente. Quando ho iniziato, 21 anni fa, mi è stato detto che era difficile per me entrare nelle copertine delle riviste perché i neri non vendevano», aveva detto proprio Beyoncé nell’intervista al magazine. 

Gli ultimi anni di società americana si sono dimostrati alquanto schizofrenici oltre che profondamente ipocriti sul tema della diversity nel mondo della moda, che ha continuato ad attingere a piene mani dall’estetica afroamericana. Nello stesso anno, il 2018, Virgil Abloh diventava il primo  direttore creativo nero di Louis Vuitton - non essendo mai però veramente capace di garantire la diversity nei suoi comparti creativi e fallendo miseramente quasi tutte le occasioni in cui fosse possibile dimostrare il contrario. Non ha fatto eccezione il momento di unità globale che ha fatto seguito all’uccisione di George Floyd e al rinvigorimento del movimento Black Lives Matter, che ha acceso un grande riflettore sui “black owned brand” e i designer neri, dimostrando se non altro ancora una volta la profonda influenza della black culture nella moda contemporanea. Ma come si trasportano questi momenti di orgoglio collettivo all’interno del mainstream? Come si garantisce ad un tema una piattaforma globale? Come tante altre cose successe negli 10 anni - dal femminismo all’arte - la risposta è: con Beyoncé. 

Il 31 luglio ha debuttato su Disney+ “Black is King”, il nuovo visual album dell’artista che ha riscritto per sempre i canoni dei visual album. In principio l’operazione doveva essere una mera estensione del disco “The Lion King: The Gift” e cioè del disco che ha accompagnato l’uscita del film “The Lion King”; ma il particolare momento storico ha spinto Beyoncé ad esplicitare ancora di più la celebrazione della “blackness” del suo lavoro. Scritto e diretto da Beyoncé stessa “BIK” è, nella sua essenza, quella celebrazione della bellezza nera che l’artista ha rincorso in tutti gli ultimi anni della sua carriera, almeno da quando - per citare un celebre sketch del Saturday Night - “l’America ha scoperto che Beyoncé era nera”. Wesley Morris ha scritto sul New York Times che «La bellezza è una ragione per cui questo film esiste. Il linguaggio interstiziale che Beyoncé recita proviene, proprio come in "Lemonade", in parte, dalla poesia di Warsan Shire: "Eravamo bellezza prima che sapessero cosa fosse la bellezza"». Al di là dei richiami alla tradizione popolare africana, agli accenni di afrofuturismo, “BIK” è soprattutto un inno all’estetica nera, quella personale e, che trova la sua sublimazione in “Brown Skin Girl”, momento in cui compaiono sullo schermo Naomi Campbell, Kelly Rowland, Lupita Nyong'o e la piccola Blue Ivy, mostrando tutte le sfumature di bellezza nera, quella legata all’hairstyling - da sempre uno dei modelli di riferimento di Beyoncé in fatto di espressione di bellezza, che qui trova nelle diverse acconciature africane la sua espressione - e, in maniera forse più esplicita rispetto al resto, quella legata al mondo della moda. 

Su Vogue, Janelle Okwodu ha raccolto tutti gli abiti, i brand e i designer utilizzati da Beyoncé nel suo film, acclamandolo come «il fashion moment afrocentrico che stavamo aspettando», sottolineando - come anche fatto da Vanessa Friedman sul Times - come la grande capacità di Beyoncé in “BIK” sia stata quella di riuscire a far dialogare e dare pari dignità ai custom creati appositamente per lei da Burberry o Balmain o Valentino alle creazioni di brand africani, come la label senegalese Tongoro, o di designer neri come Jerome Lamaar o Loza Maléombho, oltre che - ovviamente - Marine Serre o l’abito realizzato dallo studio libanese Ashi Studio che ha richiesto oltre 70 ore di lavoro. Più che celebrare il lavoro dei black designer o dei black owned brand, quello che ha fatto Beyoncé è stato mettere in mostra come il mondo della moda potesse mettersi a servizio della bellezza nera, rispettandone canoni, estetica e morale, in quel processo in atto da tempo in diversi comparti dell’industria, dalla cura dei capelli al beauty all’intimo. Per farlo, Beyoncé si è coscientemente servita di quello che sapeva sarebbe stato il modo più diretto per mostrare al pubblico il frutto del suo lavoro e l’estetica che voleva rappresentare: Instagram

Immediatamente dopo la release di “Alright”, il primo video estratto da “BIK” e del film stesso, Instagram ha cominciato a riempirsi degli outfit di Bey. I brand stessi hanno postato i custom realizzati per l’artista, raccontando storie e dettagli meno conosciuti del loro lavoro, veicolando in questo modo non solo estetica, ma anche cultura. Lo ha fatto anche Zerina Akers, l'ormai storica stylist di Beyoncé, che ha lanciato il progetto “Black Owned Everything”, una piattaforma per la registrazione dei business black owned - dai brand i moda a quelli di gioielli o di beauty - “for when the trend is over”, per quando il trend finirà - come si legge sull’account Instagram del progetto  - e per quando quindi i media e il mondo della moda avranno dimenticato l’importanza di sottolineare l’enorme influenza della bellezza nera nella società moderna. 

Beyoncé venne a conoscenza del lavoro di Tyler Mitchell proprio su Instagram, un luogo digitale in cui - come era successo con Twitter per Black Lives Matter - era ed è molto più facile per gli artisti neri evitare i gatekeeper, abbattere le barriere vecchie e arrivare senza alcun tipo di disintermediazione. E’ il processo che anche il critico d’arte Antwuan Sargent ha raccontato nel suo libro “The Black New Vanguard”, dove proprio grazie al ruolo del digitale era riuscito a raccogliere i lavori di artisti e fotografi neri d’avanguardia, o anche quello attraverso cui Kim Jones e Dior hanno deciso di collaborare con l’artista Amoako Boafo per l’ultima collezione della maison. E in questo universo digitale e cross-settoriale che l’arte - e per arte possiamo intendere anche il lavoro di Beyoncé - si avvicina sempre di più alla moda per provare a raccontare gli stilemi di una cultura che diventa sempre più importante e rilevante. Come ha detto Tyler Mitchell in una recente intervista al Times: «la fotografia e le immagini di moda sono un modo interessante di parlare della mia comunità, attraverso l'abbigliamento», proprio come ha fatto Beyoncé in “Black is King”.