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"Hamnet" ci insegna che l’arte batte anche la morte E che ritroveremo agli Oscar la regista Chloé Zhao e gli interpreti Jessie Buckley e Paul Mescal

Chloé Zhao è tornata al cinema. È tornata persino a Roma, dove nel 2021 aveva presentato alla Festa del Cinema Marvel Eternals, questa volta con un altro film dove c’è qualcuno che salva qualcun altro, ma non si tratta di un supereroe. Hamnet è la trasposizione del romanzo scritto da Maggie O’FarrellNel nome del figlio. Hamnet»), peraltro co-sceneggiatrice insieme a Zhao. È interessante osservare come i diritti del libro vennero acquistati per il film persino prima della pubblicazione del romanzo, pubblicato nel 2020.   

Zhao sceglie come protagonisti Jessie Buckley e Paul Mescal, riportando al centro della sua filmografia la natura incolta e selvaggia che pervade il film e lo alimenta. La Madre Terra diventa qui incarnazione della protagonista, Agnes, madre dei suoi figli e, simbolicamente, madre di tutti noi che la abitiamo. È in mezzo al verde che la donna incontra William, ancora non divenuto Shakespeare: il giovane poeta le ruba un bacio prima ancora di conoscerne il nome, un incontro da cui nascerà un amore che li porterà al matrimonio e alla creazione di una famiglia. Vagabonda della foresta considerata figlia di una strega, Agnes ha delle visioni e può scrutare nell’anima delle persone fino a risalire al loro passato. Ma sa che, per non perdersi nel futuro, il marito deve partire, lasciare la campagna e seguire il proprio destino. Lo stesso destino tragico che toccherà al figlio Hamnet, sottratto troppo presto alla vita.

È sorprendente come Hamnet riesca a racchiudere tutto questo: dall’incontro tra Agnes e William alla loro passione complice, dalla creazione di una famiglia al mestiere di drammaturgo dell’uomo destinato ai fasti londinesi. Tutto è immerso in un paesaggio vivo, dove foglie e radici ricoprono il terreno su cui i personaggi si muovono, un ambiente con cui la protagonista mantiene un legame intimo. Questa connessione con la natura riecheggia quella presente negli altri film di Chloé Zhao, dal legame tra flora e fauna in The Rider ai paesaggi periferici di Nomadland. E poi la vita, che fiorisce e scorre fino al sopraggiungere della morte. La vecchia amica, la morte, aleggia sulla famiglia Shakespeare, ma è sempre la natura a tornare in scena, come se Zhao trovasse in essa una porta tra il mondo terreno e l’aldilà.  Se la selva rappresenta il mondo concreto e tangibile, il teatro rappresenta la possibilità di dare forma a ciò che non vediamo.

Hamnet è la sublimazione della rappresentazione. È riportare in vita chi in vita non c’è più, che si tratti di una persona, di un mondo, di un passato, o che sia qualcosa che non c’è mai stato, come un demone o un fantasma. Chloé Zhao e Maggie O’Farrell parlano dell’arte come possibilità di ritorno attraverso il confine liminale tra noi e l'ultraterreno. Il palcoscenico diventa così il luogo in cui questi due universi collidono, dove la rielaborazione di un lutto diventa condivisione di un dolore che si vive come singoli, ma che con le possibilità offerte dall’arte può diventare comunitario e condiviso. Hamnet è un film sulla potenza della rappresentazione, un saggio sul teatro e su come le sue immagini riescono a evocare e a dare senso anche a ciò che non ne ha. Forse perché è l’arte, alla fine, ad aiutare a dare senso alla vita.