
Per chi vende e coltiva cannabis light in Italia ora arrivano i guai
E un intero settore rischia di vedere azzerato il proprio fatturato
29 Aprile 2025
Il recente decreto-legge sulla sicurezza approvato dal governo di Giorgia Meloni ha introdotto un divieto sulla vendita, la coltivazione e perfino il trasporto della cosiddetta cannabis light, rendendo di fatto illegale un intero comparto produttivo. Questo tipo di cannabis è caratterizzato da un bassissimo contenuto di THC – la sostanza psicoattiva responsabile degli effetti stupefacenti della marijuana – e da una maggiore concentrazione di CBD, un principio attivo noto per i suoi effetti rilassanti, ma non psicotropi. La nuova misura sta creando gravi difficoltà a un settore che, fino a oggi, operava in un quadro di relativa legalità grazie alla legge del 2016. Tale normativa permetteva la coltivazione di cannabis senza necessità di autorizzazioni, purché destinata a usi industriali: dalla produzione di alimenti a quella di cosmetici, passando per altri impieghi. La legge non citava il consumo a scopo ricreativo, cosa che aveva lasciato spazio a un’interpretazione più flessibile, che ha permesso a centinaia di imprese di coltivare e vendere cannabis light senza incorrere in sanzioni.
Con il nuovo decreto, invece, il governo ha scelto di restringere in modo significativo l’interpretazione della legge del 2016, colmando quello che veniva considerato un vuoto normativo. L’intento dichiarato è impedire che la cannabis light, seppur a basso contenuto di THC, possa essere commercializzata. Tuttavia, numerose sentenze della magistratura italiana negli anni hanno stabilito che questi prodotti non rientrano nella categoria delle sostanze stupefacenti, proprio a causa della loro composizione chimica. Nel frattempo, in Italia si era sviluppata una vera e propria filiera legata alla cannabis light, fatta di oltre 3mila imprese che impiegano ogni anno circa 15mila lavoratori, tra dipendenti fissi e stagionali. Il giro d’affari del settore si aggira intorno ai 500 milioni di euro annui, e una quota rilevante – circa il 90% del fatturato – deriva dall’esportazione all’estero, dove la normativa è spesso più permissiva.
Cosa non convince della misura contro la cannabis light
Il gov Meloni non ha comunicato in anticipo alla UE l'articolo del dl sicurezza in cui vieta la cannabis light, alcune imprese e associazioni hanno fatto ricorso al tribunale di Firenze.
— lisameyer (@lisameyerildra1) April 19, 2025
Quindi l'articolo potrebbe essere reso inapplicabile se in contrasto con le leggi comunitarie
Il nuovo decreto è stato giudicato da molti anomalo anche dal punto di vista procedurale. Normalmente, quando un prodotto viene reso illegale, si prevede un periodo transitorio per consentire lo smaltimento delle scorte o, eventualmente, la loro distruzione. In questo caso, invece, il divieto è entrato in vigore immediatamente, senza alcun margine di tempo, esponendo al rischio di denunce e sequestri tutti coloro che possedevano scorte legali fino al giorno prima. Per evitare conseguenze, molti produttori hanno deciso di interrompere le attività o di chiudere temporaneamente i punti vendita. Secondo gli esperti, il provvedimento si basa su una concezione distorta della cannabis light, che in questo caso viene considerata a tutti gli effetti una sostanza stupefacente, contrariamente a quanto stabilito sia dalla scienza che dalla giurisprudenza. Tale scelta – giudicata strumentale e dannosa – rischia però di cancellare completamente un settore produttivo, con gravi conseguenze economiche e occupazionali.
Un ulteriore elemento di criticità risiede nella forma del provvedimento: la scelta di inserire il divieto all’interno di un decreto-legge ha permesso di accelerarne l’approvazione, riducendo la possibilità per il Parlamento di discuterlo o modificarlo in modo sostanziale. Questa modalità ha sollevato perplessità anche tra realtà solitamente vicine al governo, come l’associazione Coldiretti, che ha espresso pubblicamente il proprio dissenso nei confronti del decreto. Infine, secondo molti imprenditori del settore, l’efficacia del divieto è altamente discutibile. Poiché l’emendamento non vieta l’acquisto di prodotti a base di CBD provenienti dall’estero, i consumatori italiani potranno semplicemente rivolgersi a fornitori stranieri per continuare a ottenere la stessa merce – pratica prevista dalle norme comunitarie. Inoltre, una parte della domanda interna – quella che non potrà essere soddisfatta dal mercato legale estero – potrebbe finire per alimentare il mercato illegale, aggravando ulteriormente la situazione.