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Fare la fila davanti agli store è ridicolo

E non per i motivi che pensate

Fare la fila davanti agli store è ridicolo E non per i motivi che pensate

Dopo aver letto il pezzo di Imran Amed Queuing Is Not A Luxury Experience pubblicato su BoF venerdì scorso, siamo andati a fare un giro a Montenapoleone per vedere quanta gente stesse effettivamente facendo la fila fuori dalle boutique. Tre indirizzi si sono distinti nello specifico per fila davanti alla porta: Goyard, Chanel e Dior. Alcuni clienti in piedi anche di fronte Rolex e Cartier. Una relativa minoranza rispetto al numero di boutique presenti, ma comunque indicativa di un fenomeno che è reale. Incidentalmente, se si volesse acquistare qualcosa da Napoleone Vintage a Milano nel corso del weekend, non sarebbe difficile trovare davanti al negozio la stessa fila di giovani che, sei o sette anni fa, sarebbe stata davanti allo store di Supreme. Stranamente, però, attendere di entrare in un negozietto vintage molto amato dai locals è parecchio più eccitante che aspettare di essere chiamati in una grandiosa boutique scortati a vista da un venditore che vi mostra i nuovi modelli sullo schermo di uno smartphone. 

@betapinheiro_ A responder a @Olga861 Totally agree! But still love Chanel! #chanel #luxury #viral #milano #milan #italia #luxurylifestyle #foryou #foryoupage #fyp som original - Roberta Pinheiro

Ora, entrambe le file possiedono quella che potremmo definire una propria mistica a causa del fattore di esclusività eppure, come Amed nota brillantemente, aspettare fuori da un negozio di lusso non ha niente di lussuoso – au contraire, è qualcosa di incredibilmente cheap. In uno scenario ordinato e per certi versi idilliaco come quello di Montenapoleone, vedere una fila di turisti assiepati sul marciapiede è qualcosa di improprio, di dissonante. Per Amed, sicuramente più abituato allo shopping di lusso, il principio che vale in questa situazione è che il tempo è il lusso definitivo e, dunque, far perdere tempo al potenziale cliente è fastidioso, specialmente se si tratta di un cliente più o meno abituale che vuole dare un’occhiata ma non entra nel negozio con la chiara intenzione di comprare. La fila, aggiungiamo noi, evita anche che la boutique si affolli troppo – mentre escludiamo a priori i timori del taccheggio che forse sono validi per i grandi magazzini ma che le boutique evitano con arsenali di telecamere, allarmi e addetti alla sicurezza piazzati in ogni angolo. Ora, da che mondo è mondo, far fare anticamera a qualcuno rappresenta una tattica di potere, quasi come se il brand volesse vedere questi individui danarosi aspettare in fila come in una specie di mensa. Non di meno, questo metodo più che creare hype, scoraggia i potenziali clienti.

Se infatti i clienti abituali (anche detti VIC) hanno il contatto del venditore che magari organizza per loro delle proposte specifiche prese dalla nuova collezione, il lusso ha iniziato a soffrire per l’assenza di clienti aspirazionali, ossia quelli per cui acquistare un prodotto di lusso è un’occasione e che cercano prodotti più accessibili come piccola pelletteria e eyewear. Dopo un periodo caratterizzato da una maggiore accessibilità e desiderio di consumo alimentato dalla pandemia, infatti, i brand hanno deciso di posizionarsi più in alto nel mercato aumentando i prezzi, incrementando l'esclusività sotto le spoglie del quiet luxury e corteggiando sempre di più i pochi clienti capaci di spendere molto, mettendo da parte gli occasionali. Il traballare economico della Cina e degli USA insieme alla sostanziale chiusura del mercato russo, hanno generato, secondo BoF, proprio l’assenza di clienti aspirazionali, creando difficoltà per numerosi brand di lusso negli ultimi tempi. Dopo tutto è un fatto assodato che il grosso degli introiti dei grandi brand provenga da prodotti dal prezzo più basso come profumi o accessori di pelletteria e l’abbigliamento è raramente l’unica locomotiva delle revenue.